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Review party: Ninfa dormiente di Ilaria Tuti

Buongiorno lettori! Sempre un po’ di corsa e in costante voglia di letargo visto il tempo fuori, oggi vi parlo di un libro che è uscito ieri e che ho avuto la fortuna di leggere in anteprima: Ninfa Dormiente di Ilaria Tuti, il nuovo thriller che vede protagonista il commissario Teresa Battaglia.

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Ninfa dormiente
di Ilaria Tuti
Serie:

Teresa Battaglia #2

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Editore:

Longanesi

Pagine:
480

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Uscita:
27 maggio 2019

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Li chiamano «cold case», e sono gli unici di cui posso occuparmi, ormai. Casi freddi, come il vento che spira tra queste valli, come il ghiaccio che lambisce le cime delle montagne. Violenze sepolte dal tempo e che d’improvviso riaffiorano, con la crudele perentorietà di un enigma. Ma ciò che ho di fronte è qualcosa di più cupo e più complicato di quanto mi aspettavo. Il male ha tracciato un disegno e a me non resta che analizzarlo minuziosamente e seguire le tracce, nelle valli più profonde, nel folto del bosco che rinasce a primavera. Dovrò arrivare fin dove gli indizi mi porteranno. E fin dove le forze della mia mente mi sorreggeranno. Mi chiamo Teresa Battaglia e sono un commissario di polizia specializzato in profiling. Ogni giorno cammino sopra l’inferno, ogni giorno l’inferno mi abita e mi divora. Perché c’è qualcosa che, poco a poco, mi sta consumando come fuoco. Il mio lavoro, la mia squadra, sono tutto per me. Perderli sarebbe come se mi venisse strappato il cuore dal petto. Eppure, questa potrebbe essere l’ultima indagine che svolgerò. E, per la prima volta nella mia vita, ho paura di non poter salvare nessuno, nemmeno me stessa.
Dopo Fiori sopra l’inferno – l’esordio italiano del 2018 più amato dai lettori – torna la straordinaria Teresa Battaglia: un carattere fiero e indomito, a tratti brusco, sempre compassionevole. Torna l’ambientazione piena di suggestioni, una natura fatta di boschi e cime montuose, di valli isolate e di bellezze insospettabili. Tornano soprattutto il talento, l’immaginazione e la scrittura piena di grazia di una grande autrice.

 

Libri nella serie:
[#1] Fiori sopra l’inferno
[#2] Ninfa dormiente

 

Attendevo le nuove avventure del commissario Battaglia dal momento in cui, quest’estate, avevo terminato Fiori sopra l’inferno. Per una volta, non erano la suspance o il finale aperto a rendermi impaziente, ma la semplice voglia di reimmergermi nella scrittura della Tuti e in questo suo favoloso personaggio.

Tempus valet, volat, velat. Il motto continua a girarmi in testa, penso si sia guadagnato un posto tra i ricordi di questo diario. A pensarci bene, l’attinenza all’indagine e` sorprendente. Il tempo vale, fugge, cela. Il tempo nasconde sempre qualcosa. Un segreto, un ricordo, una promessa mai mantenuta, il dolore. Si stende sui pensieri e sui sentimenti, languido li ricopre della bruma amabile dell’oblio, mentre li divora senza nemmeno che il loro padrone se ne accorga. Il tempo cela, anche i delitti. Sepolta sotto anni, decenni, di vita brulicante, la morte appare meno mostruosa, non fa paura. Scolora, si spoglia di emozione e viene infine dimenticata, e con essa le sue vittime.

In Ninfa dormiente Teresa si trova a fare i conti con una storia antica, un quadro ritrovato per caso e che porta con sé una storia di amore e omicidi rimasta sepolta per settant’anni. È da qui che si sviluppa la nuova indagine che tiene occupata la squadra della Battaglia, più unita che mai nonostante i problemi personali di tutti.

Non credo di potervi dire qualcosa della storia senza spoilerare, quindi mi limiterò a raccontarvi com’è stata la lettura.

In Fiori sopra l’inferno avevo adorato le descrizioni e la narrazione di Ilaria Tuti e Ninfa dormiente non ha fatto altro che confermare questo sentimento. È vero, è prolissa, ma le sue descrizioni, i contesti che crea, sono pura poesia. Il libro non sarebbe lo stesso senza, non sono descrizioni fini a loro stesse, messe lì per riempire pagine. Vi capita mai di voler saltare qualche riga ‘tanto non cambia la storia’? A me sì, lo ammetto, ma non con la Tuti.

L’attesa era stata lunga. Gli estranei si erano trattenuti fino al tramonto, troppo vicini a un segreto che doveva restare celato, troppo incauti per provare paura. Non si erano accorti che qualcuno li stava osservando. Cosı`il sole si era inabissato oltre il cerchio violaceo delle vette e il crepuscolo si era aperto all’oscurita` come un fiore notturno. La luce di Venere gia` rischiarava l’ovest: il suo nome era Lucifero, stella del mattino, e il suo nome era Vespero, stella della sera. In quel periodo dell’anno appariva nel delta blu cobalto tra due creste. Sotto la sua luce diafana, i villaggi della valle riposavano addormentati. Il campanile della chiesa svettava con il tetto di scandole di larice e la rosa dei venti al posto della croce, al di sopra dei profili lanceolati degli alberi. Oltre i prati, oltre la linea della selva, i passi erano fruscii sommessi nel sottobosco e si accompagnavano al canto di una civetta. Conoscevano il sentiero che occhi inesperti non avrebbero intravisto, tra ginestre bianche e lilla` selvatici. Lungo il pendio diventarono piccoli balzi, fino a quando trovarono la tomba.

Le sue descrizioni hanno la capacità di portarci dove si svolge la storia, di catapultarci nel presente della città, nel presente cristallizzato della Val Resia, nel 1945. Ilaria è in grado di farci sentire l’odore del bosco e la paura di un personaggio in maniera tangibile, come se fossimo lì.

Ninfa dormiente racchiude molte storie dentro di sé, oltre a quella dell’indagine. C’è un filone parallelo, in cui conosciamo a sprazzi gli avvenimenti del 1945. C’è la storia dell’ispettore Marini, lui con un passato travagliato che lo tormenta ogni giorno e che non gli permette di prendere in mano la sua vita e il suo essere adulto. E poi c’è la storia di Teresa, un personaggio allo stesso tempo complicatissimo e così umano. Il commissario Battaglia rientra tranquillamente nella mia top five di protagonisti preferiti: è una donna in grado di nascondere le sue debolezze, burbera e scontrosa al punto giusto, ma con una vena empatica che la porta a prendersi cura di chi le sta intorno con un affetto quasi materno. È una donna che ha sofferto (e soffre tanto), l’unica compagnia è la sua squadra e la sua più grande paura è quella di perderla, insieme al suo lavoro. La sua vita, però sembra puntare inesorabilmente in quella direzione.

Ho adorato i rapporti tra i componenti della squadra, soprattutto il legame che si sta creando tra la Battaglia e Marini. Un clima di fiducia, nonostante tutti sappiano che ci sono dei segreti che aleggiano tra loro.

Per quanto riguarda il caso, l’ho trovato mooolto più contorto del primo. In certi punti mi sono ritrovata a tornare indietro, per rileggere alcuni passaggi che mi ero resa conto di non aver colto appieno e ammetto di essere arrivata al momento della soluzione con le idee ancora ben confuse e senza un colpevole chiaro in testa.

Last but not least, ho apprezzato parecchio le parti di contesto, sia quelle dedicate alle origini degli abitanti della Val Riva, sia quelle legate allo sciamanismo femminile e alle società matriarcali. Ilaria Tuti è stata in grado di mettere nel libro tantissimo materiale, senza renderlo pesante e incuriosendo il lettore, invogliandolo a cercare maggiori informazioni, conferme e curiosità.

Per concludere, è un libro che vi consiglio se vi piacciono i thriller complessi, dove le indagini e la costruzione dei personaggi vanno di pari passo, fondendosi ad ogni pagina. Unico monito per chi proprio le descrizioni non le soffre, anche se…quelle di Ilaria potrebbero farvi cambiare idea. Io, personalmente, spero ci saranno altre avventure e che il commissario Battaglia non si faccia mettere in panchina dall’età che avanza.

Review Party: Un maledetto lieto fine di Bianca Marconero

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Buongiorno lettori. Li sentite i miei gridolini di gioia? Sapete cosa esce oggi? Un maledetto lieto fine, l’ultimo capolavoro di Bianca Marconero. Quindi, se non l’avete già fatto correte a comprarlo, e se non siete convinti…beh, da oggi a martedì potrete leggere un saaaaacco di belle recensioni che vi faranno assolutamente venire voglia di leggerlo.

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Un maledetto lieto fine
di Bianca Marconero
Editore:

Newton Compton Editori

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Pagine:
384

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Uscita:
7 febbraio 2019

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Link:

Amazon

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GoodReads

Agnese ha diciannove anni, è la figlia di un senatore piuttosto influente e ha ricevuto un’educazione rigida. Le piace disegnare ma ha messo i sogni nel cassetto e si è iscritta a Giurisprudenza. Dopo la morte della madre, ha imparato a nascondere a tutti i suoi veri sentimenti ed è diventata la classica ragazza ricca, perfetta, composta e fredda, ma in realtà piena di insicurezze. Quando la sua incapacità di lasciarsi andare allontana il ragazzo di cui è innamorata da anni, Agnese capisce di avere bisogno di aiuto. Vorrebbe qualcuno che le insegni a essere meno impacciata e Brando, il suo fratellastro appena acquisito, sembra proprio la persona giusta. Lui lavora di notte, suona in una band, e cambia ragazza ogni sera. Peccato che il bacio che i due si scambiano per “prova” sia lontano anni luce da un esercizio senza conseguenze. Così le loro lezioni di seduzione ben presto diventano qualcosa di più… Brando saprà insegnare ad Agnese che la lezione più importante di tutte è abbandonarsi alle emozioni?

 

 

Ammetto di essere in difficoltà. Un maledetto lieto fine è un libro complicato. Complicato e allo stesso tempo meraviglioso e come succede per i libri di questo tipo, recensirli è un casino. Si ha sempre la sensazione di non rendergli giustizia, di scrivere cose ridicole. Ma proviamo ad andare con ordine.

Se avete letto gli altri romance di Bianca – Marco e Marianna, Andrea ed Elisa, Fosco ed Emilia – siete abituati a dolcezza e delicatezza a palate. La storia di Brando e Agnese è diversa. È una storia che porta con sé un sacco di dolore, di rabbia e di frustrazione. Un maledetto lieto fine è difficile. Lo è per i protagonisti, così come per il lettore.

Brando e Agnese sono poco più che adolescenti ed hanno perso rispettivamente il padre e la madre. A causa del matrimonio tra i loro genitori, si trovano costretti a vivere sotto lo stesso tetto, ma non potrebbero essere più diversi.
Agnese sembra perfetta, la classica ragazza ricca, in grado di essere sempre gentile composta ed educata anche quando sta male. È una ragazza insicura, ma pochi se ne accorgono per via del muro di sorrisi che Agnese riesce ad elevare intorno a sé. Cerca, un po’ senza rendersene conto, la costante approvazione del padre, motivo per cui, tra le altre cose, ha messo da parte il suo amore per il disegno iscrivendosi a giurisprudenza.

Brando è un debosciato (cit.), impulsivo, arrabbiato col mondo, suona in una band e di musica vorrebbe viverci. Non nasconde ciò che pensa, sopporta il padre di Agnese tra un litigio e l’altro solo per amore di Isabella, sua madre.
Brando e Agnese si avvicinano per disperazione, per frustrazione, dopo la prima delusione d’amore di Agnese.
È a questo punto che iniziano i guai.
I due protagonisti, così orgogliosi, insicuri e scottati dalla vita non possono che farsi male. Un maledetto lieto fine è questo. È la storia di Brando e Agnese che si fanno male, che si chiedono se anche per loro ci sarà, appunto, un lieto fine.

L’idea del pezzo è che se niente resiste al tempo, allora tanto vale smascherare la bugia del per sempre. Aneliamo tutti a un maledetto lieto fine che non ci sarà.

Vi dicevo all’inizio che è un libro diverso dalle altre storie di Bianca, non è tutto rose e cuoricini, un protagonista da scrollare, un amore scritto dall’inizio. È una storia forte, profonda. È una storia che fa male mentre la leggi, che fa arrabbiare, che fa piangere. Eppure è perfetta in questa sua ‘imperfezione’, è reale. L’amore non manca, stiamo parlando di Bianca d’altronde, ma dobbiamo cercarlo tra le righe, tra le insicurezze dei protagonisti, tra le cose che vorrebbero dirsi ma non si dicono, a causa di un mix di convinzione di non essere abbastanza e orgoglio.

Una menzione a parte la merita Pier, paziente e leale, è l’amico migliore che Brando (e Agnese) potesse trovare. Mi è entrato nel cuore, con la sua presenza costante, il suo supporto e la capacità di arrabbiarsi quando serve.

Le scene intime tra i protagonisti confermano le capacità narrative di Bianca. Presenti, forti, ma non invadenti, mai ‘troppo’. Sono dure anche quelle, talvolta non condivisibili, ma inserite così bene nella storia da diventare fondamentali.

Quasi dimenticavo, il POV alternato. Adorato POV alternato che ci permette di conoscere i pensieri sia di Brando che di Agnese e che in una storia come questa diventa fondamentale.

Il finale è aperto, annegato in un mare di lacrime, dà alcune risposte lasciando mille domande che spero davvero un giorno trovino una risposta. Ho voglia di leggere ancora di Brando e Agnese, di vederli cresciuti e meno confusi, di capire se possono non farsi male.

Non posso far altro che consigliarvi questa lettura, così come vi ho consigliato mille volte gli altri titoli di questa autrice. E se lo leggete, poi venite a raccontarmi qui sotto – o dove volete – cosa ne pensate della lettura. Insomma, soffriamo un po’ insieme in attesa della novella.


Review Party: Il ladro gentiluomo di Alessia Gazzola

Buongiorno lettori! Iniziamo la settimana con il botto: ecco a voi la recensione de Il ladro gentiluomo di Alessia Gazzola, settimo (o ottavo, a seconda di come considerate Sindrome da cuore in sospeso) libro della serie di Alice Allevi in uscita oggi per Longanesi.

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Titolo: Il ladro gentiluomo (Alice Allevi #7)
Autore: Alessia Gazzola
Editore: Longanesi

Alice Allevi, finalmente Specialista in Medicina Legale, ha dovuto affrontare scelte difficili sia sul piano professionale che su quello sentimentale. Dopo un lungo e burrascoso corteggiamento, sembrava che tra lei e Claudio Conforti, l’affascinante e imprevedibile medico legale con il quale ha condiviso ogni disavventura dai tempi della specializzazione, fosse nato qualcosa. Per un attimo, Alice ha creduto finalmente di aver raggiunto un periodo di serenità, almeno al di fuori dell’Istituto di Medicina Legale. Ma in un momento di smarrimento sentimentale chiede un trasferimento. E lo ottiene: a Domodossola.
Per sua fortuna, o suo malgrado, Alice non avrà molto tempo per indugiare sul proprio destino, perché subito un nuovo caso la travolge. Durante quella che credeva essere un’autopsia di routine, Alice ritrova un diamante nello stomaco della vittima. Una pietra di notevole caratura e valore, ma anche una prova materiale importante per il caso. Per questo, Alice si premura di convocare un ufficiale giudiziario a cui consegnarlo in custodia. L’ufficiale che si presenta da lei è un uomo distinto ed elegante, dai modi cortesi ed impeccabili, e Alice non esita ad affidargli il diamante. Ed è a quel punto che il fantomatico ufficiale sparisce nel nulla e i guai per Alice iniziano a farsi enormi…

Inizio ringraziando infinitamente Longanesi per avermi permesso di leggere il libro in anteprima e Beatrice di Lily’s Bookmark per le splendide grafiche.

Avete letto bene, è più di una settimana che mi tengo la bocca cucita, tranne con la Mon e le altre partecipanti al Review Party, su questa lettura e finalmente è venuto il momento di parlarvene.

Aspettavo questo libro da 11 mesi, dal momento esatto in cui sono arrivata all’ultima riga di Arabesque, quella con la zampata meschina della Wally. Quello che vi posso assicurare è che non rimarrete delusi da questo nuovo capitolo delle avventure di Alice Allevi. Mi dovete però promettere che, una volta arrivati in fondo – ma in fondo anche ai ringraziamenti -, mi scriverete e ne parleremo insieme. L’alternativa è mettervi in un angolino, abbracciarvi le ginocchia e dondolarvi fissando il vuoto. Non dirò altro.

Da qui in poi non posso garantire l’assenza di spoiler relativi ai libri precedenti, mentre invece, come sempre, se vi manca solo l’ultimo potete leggere con tranquillità.

Ne Il ladro gentiluomo troviamo, come era stato per gli altri capitoli, la nostra Alice esattamente dove l’avevamo lasciata, appena uscita dall’ennesima crisi d’amore, non troppo pronta alla cattiveria che sta per farle la Wally. Se in un momento buio aveva chiesto un trasferimento alla temibile professoressa Boschi, ora che il suo futuro appare decisamente più roseo, Alice non è decisamente pronta a spostarsi, lasciare Roma, il suo istituto, i suoi amici, CC. Ovviamente non ha scelta e si ritrova così catapultata a Domodossola.
Il trasferimento di Alice è sicuramente una ventata d’aria fresca, sia nella sua vita che narrativamente parlando: pur restando presenti, Lara, Paolone, la Boschi e tutti gli altri sfumano un po’ in secondo piano, lasciando campo libero a nuovi personaggi che riescono ad incuriosirci evitando il rischio ‘stagno’ che insidia le serie lunghe.
Domodossola, e con lei i suoi protagonisti, è totalmente diversa da Roma e ci permette di scoprire nuovi aspetti del carattere di Alice che continua ad evolvere anche in questo libro, nonostante rimanga quel suo lato sbadato che abbiamo imparato ad amare.

Conosciamo un CC un po’ diverso, forse – e dico forse – un po’ più umano e più vero. Un CC che, udite udite, sembra provare delle emozioni.

Il caso l’ho trovato molto ben strutturato, in grado di incuriosire il lettore fino all’ultimo con più colpi di scena. Il colpevole è difficile da indovinare, ma Alice si dimostra cresciuta anche in questo senso. La sua curiosità non la abbandona, ma è in grado di tenerla a bada cercando di trarne solo il meglio. In questo libro, il caso risulta anche più presente rispetto agli ultimi volumi che erano maggiormente incentrati sulla vita di Alice.

Se devo trovargli un difetto, direi che ci sono stati alcuni passaggi un po’ veloci. Ormai mi sono affezionata ai miei protagonisti e vederli evolvere, in certi casi, così velocemente mi ha messo un po’ di tristezza, forse semplicemente perché avrei voluto che se ne parlasse di più, per sentirli ancora più vicini. Idem la vita sentimentale di Alice che vi ho già detto essere, in questo volume, un pochino meno totalizzante rispetto a come ci eravamo abituati. Anche in questo caso abbiamo delle svolte molto rapide, dei momenti che forse potevano essere approfonditi di più. Ma, ripeto, io non faccio testo perché veramente le avventure dell’Allieva le ho divorate e ridivorate e non ne ho mai abbastanza.

Nel complesso il libro mi è piaciuto moltissimo, il primo posto lo mantiene Arabesque, ma questo direi che si gioca tranquillamente la top 3. Tra qualche rilettura vi dirò che posto si è guadagnato.

Una cosa di cui sono certa è che la Gazzola, con questa serie, mi ha davvero stregata. Adoro gli standalone, le serie non sempre mi soddisfano soprattutto se superano i 3 libri. Ed invece Alessia ha costruito qualcosa di affascinante, sempre fresco e diverso, dinamico. Ora non ci resta che sperare che non sia finita qui, a prescindere dall’attesa.
Voi nel frattempo mettetevi in pari, e scrivetemi per dirmi che ne pensate di questo volume.


 

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Recensione: Isola di neve di Valentina D’Urbano

Buon pomeriggio!
Esce oggi per Longanesi un libro che ho avuto la fortuna di leggere in anteprima (ringrazio la casa editrice per avermelo fornito) e che mi ha dato la possibilità di conoscere l’autrice durante una cena. Valentina è davvero simpaticissima. Come al solito le abbiamo fatto la nostra domanda tipica, ovvero quale fosse la sua cioccolata preferita, e ha risposto al latte, escludendo in maniera definitiva quella fondente e elogiando quella Kinder. Ci siamo trovate d’accordo sull’amore per la cioccolata Kinder 😂
Vi lascio alla recensione del suo ultimo libro, sperando di convincervi a dargli una possibilità perché io l’ho amato.

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Titolo: Isola di neve
Autore: Valentina D’Urbano
Editore: Longanesi

2004. A ventotto anni, Manuel sente di essere già al capolinea: un errore imperdonabile ha distrutto la sua vita e ricominciare sembra impossibile. L’unico luogo disposto ad accoglierlo è Novembre, l’isola dove abitavano i suoi nonni. Sperduta nel mar Tirreno insieme alla sua gemella, Santa Brigida – l’isoletta del vecchio carcere abbandonato -, Novembre sembra a Manuel il posto perfetto per stare da solo. Ma i suoi piani vengono sconvolti da Edith, una giovane tedesca stravagante, giunta sull’isola per risolvere un mistero vecchio di cinquant’anni: la storia di Andreas von Berger – violinista dal talento straordinario e ultimo detenuto del carcere di Santa Brigida – e della donna che, secondo Edith, ha nascosto il suo inestimabile violino. Del destino di Andreas e del suo prezioso e antico strumento si sa pochissimo. L’unico indizio che Edith e Manuel hanno è il nome di una donna: Tempesta. 1952. A soli diciassette anni, Neve sa già cosa le riserva il futuro: una vita aspra e miserabile sull’isola di Novembre, senza alcuna possibilità di fuggire. Figlia di un padre violento e nullafacente, Neve è l’unica in grado di provvedere alla sua famiglia. Tutto cambia quando, un giorno, nel carcere di Santa Brigida viene trasferito uno straniero. Sull’isola non si fa che parlare del nuovo prigioniero, ma la sua cella si affaccia su una piccola spiaggia bianca e isolata sui cui è proibito attraccare. E proprio lì che sbarca Neve, contravvenendo alle regole, spinta da una curiosità divorante. Andreas è il contrario di come lo ha immaginato. E bellissimo, colto e gentile come nessun uomo dell’isola sarà mai, e conosce il mondo al di là del mare, quel mondo dove Neve non è mai stata. Separati dalle sbarre della cella di Andreas, i due iniziano a conoscersi, ma fanno un patto: Neve non gli dirà mai il suo vero nome. Sarà lui a sceglierne uno per lei.

“Isola di neve” è uno di quei libri che mi è capitato di leggere un po’ per caso e a cui forse non avrei dato troppa attenzione se non me lo avessero praticamente piazzato tra le mani. Mi vergogno un po’ a iniziare la recensione con un’affermazione del genere, ma la pubblico così per farvi sapere che avrei fatto un errore madornale a non leggere questo libro.

Non avevo mai letto nulla di Valentina e sinceramente non vedo l’ora di tuffarmi a pesce in tutti i suoi altri lavori perché “Isola di neve” mi ha tolto il sonno, letteralmente, per quanto è bello. Non riuscivo a posarlo.

Come si può capire dalla trama vengono raccontati due piani temporali, con due protagonisti in ognuno, che si intrecciano creando una storia ricca di dettagli e momenti che vi conquisteranno.

A fare da sfondo alle vicende di Neve, Andreas, Manuel e Edith ci sono due isole, piccole e isolate da tutto, Novembre e Santa Brigida. È incredibile come il solo fatto di essere in mezzo al mare amplifichi il senso di solitudine e “prigionia” che percepiscono i protagonisti, alcuni più di altri. L’autrice è riuscita a creare un paesaggio reale, tanto che sono andata a controllare se esistessero davvero le due isole (sono inventate purtroppo).

La musica è un’altra protagonista di questo libro e lega ogni personaggio in maniera indissolubile. Edith si è innamorata della musica di Andreas, scoperta anni e anni dopo la sua scomparsa, ma sa che mancano degli spartiti e non riesce a darsi per vinta. Manuel si intuisce che di musica ne capisce più di quanto non sembri. Andreas ovviamente vive per la sua musica e Neve, che di musica non sa proprio niente essendo sempre e solo vissuta su Novembre, rimane incantata dalle magie che Andreas riesce a creare con il suo violino.

“Isola di neve” è una caccia al tesoro in cui Edith e Manuel partono alla ricerca di una misteriosa donna chiamata Tempesta, probabilmente l’unica che potrebbe mai raccontare cosa sia davvero successo ad Andreas, musicista tedesco, imprigionato a Santa Brigida. Ho iniziato a intuire qualcosa sull’identità di Tempesta quasi alla fine quindi mi congratulo con l’autrice che è riuscita a sviare la mia attenzione e a confondermi in modo da non farmi capire nulla.

Dei due piani temporali mi è rimasto particolarmente impresso quello del 1952 perché Neve e Andreas, con la loro storia così travagliata e quasi proibita mi hanno conquistata. Leggevo aspettando di scoprire qualcosa in più della vita di entrambi, di veder crescere la loro complicità, di capire cosa fosse successo e perché nel futuro nessuno conosce il nome di Andreas e la sua musica.

Edith e Manuel, protagonisti del 2004, hanno un rapporto complicato, per l’ossessione di lei per Andreas e per tutti i problemi che ha Manuel nella sua vita e che sa risolvere solo affogandoli nell’alcool. Mi è piaciuto come i due abbiano legato subito e si siano piano piano aiutati a vicenda a superare ogni difficoltà. Hanno entrambi caratteri difficili e mi è piaciuto come l’autrice sia riuscita a renderli estremamente realistici, con i loro pregi e i difetti.

“Isola di neve” è un mattoncino di 500 pagine che però si leggono tutte d’un fiato, perché non sono assolutamente pesanti. Valentina ha creato un intreccio che non risulta mai noioso, mai lento. Ha un ritmo costante, che accompagna il lettore con piccole scoperte, descrizioni di vita quotidiana assolutamente necessarie per capire la mentalità dei protagonisti, teorie assurde. C’è amore, c’è amicizia, ci sono litigi, sacrifici, voglia di conoscere cose e posti nuovi. Non posso davvero fare altro che consigliarvelo caldamente, anche se vi sembra lungo. Dategli una possibilità, perché ne vale assolutamente la pena.
Ora che ho letto il mio primo libro firmato da Valentina, chi mi consiglia con quale altro suo libro procedere?


 

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