Vivere in farm dove il telefono non prende, la connessione Internet scarseggia in maniera sconfortante e disporre di tempo libero mi ha portato a finire una serie che avevo iniziato mesi fa ma che non ho mai avuto il tempo di finire. Sto per parlando di “Lie to me”. Probabilmente l’avrete già vista, altrimenti vi consiglio di darle una possibilità se vi piace risolvere casi di omicidi, rapine, etc. (inoltre dura solo tre stagioni quindi non è neanche troppo tragica pensando al tempo che ci vuole per vederla tutta).

1. Perché in ogni episodio, seppur affronti un caso diverso, è sempre figo vedere come Cal e i suoi colleghi riescono a capire chi dice la verità o meno, ma non solo. Da poche espressioni riescono a capire praticamente tutto quello che gli indiziati cercano di nascondere.

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2. Dopo i primi episodi tentiamo anche noi di analizzare le espressioni dei personaggi coinvolti nei casi presentati ma ovviamente senza successo. Ahimè capiamo che le nostre lezioni durate un paio di episodi non sono nulla in confronto all’esperienza decennale di Cal; ma nonostante ciò non smettiamo comunque di provarci fino alla fine.

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3. Alla fine della serie ci sentiamo dei geni della lettura delle espressioni facciali che iniziamo a sperimentare le conoscenze acquisite su parenti e amici, per il semplice piacere di sentirci brillanti.

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4. Il personaggio di Cal Lightman è troppo intrippante, nel senso che è imprevedibile. Praticamente si comporta come se fosse al di sopra di tutto e si caccia in situazioni assurde – rischiando anche in prima persona – pur di riuscire ad arrivare alla verità che si nasconde dietro a delle poker face non sempre efficaci.

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5. Il quinto motivo vorrei dedicarlo a Emily, ovvero la figlia di Cal, che poverina con un padre del genere non può neanche finire il vaso di Nutella in santa pace che lui se ne accorgerebbe subito.

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anna firma

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