Buongiorno lettori!
Come saprete se ci seguite su Instagram, qualche settimana fa ho avuto l’opportunità di incontrare Silvia Celani, insieme ad altri blogger. L’autrice ha risposto a tante domande relative a questo suo primo romanzo, di cui già vi avevo parlato qui.
Qui sotto vi riporto alcune domande e relative risposte, in modo che possiate conoscere anche voi qualcosa di più sul romanzo e su Silvia.

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Come è nato questo romanzo?

È stato un lampo. Una suggestione. Si potrebbe pensare che sia nato tutto da Vittoria, essendo lei la protagonista, invece l’idea è nata da Ion, che è ispirato ad una persona reale incontrata in un bar reale. Insieme a lui è poi nata Vittoria, due facce della stessa medaglia.

Ho scritto le prime trenta pagine di getto e poi mi sono fermata per chiedermi effettivamente cosa stessi scrivendo. Vittoria è entrata prepotentemente nella mia testa, ma non la conoscevo, non era un personaggio che avevo programmato e costruito, quindi ho dovuto imparare a conoscerla.

Qual è stato il personaggio più difficile di cui scrivere?

Sicuramente la madre, che è stata un personaggio chiave nella storia di Vittoria. Lei, con la sua mancanza di amore, ha reso Vittoria quello che è e l’ha spinta poi a cercare di migliorare e di scoprire la verità. È stata difficile sia a livello caratteriale, sia fisicamente e nei movimenti. Descrivere l’immobilità di questa donna in cui c’è tantissimo rancore è stato davvero complicato.

È stato più difficile portare avanti il rapporto tra Vittoria e Ion o quello tra Vittoria e la Dott.ssa? Sono due percorsi diversi, ma molto paralleli..

Sono le uniche due persone sincere con Vittoria. Quelle persone che incontri lungo la tua strada che ti servono perché ti dicono che stai sbagliando anche quando non vuoi sentirtelo dire. Il rapporto tra la Dott.ssa Rosario e Vittoria mi è venuto molto semplice. Con Ion c’è stato qualche momento di difficoltà in più perché Vittoria prende sempre il sopravvento. Era difficile non farlo soccombere. Dopo un po’ abbiamo trovato un equilibrio però.

Quanto c’era di te in Vittoria e come è cambiata questa cosa nel corso del tempo?

Vent’anni fa avremmo avuto molte cose in comune, soprattutto a livello di carattere. Ci accomuna la tendenza al voler essere perfetta rispetto a degli standard che non sono in grado di renderti felice, ma che senti di dover rispettare per farti accettare. In questo senso vent’anni fa ci saremmo assomigliate parecchio. Abbiamo poi avuto diversi percorsi, ma alla fine lo sviluppo del romanzo mi ha permesso di crescere insieme a lei. Mi ha permesso di focalizzarmi su alcuni cambiamenti della mia vita. Siamo anche tanto diverse però.

Il tema dell’interruzione è qualcosa che fa parte o ha fatto parte della tua vita o è qualcosa di legato a questo romanzo e basta?

Ho sempre pensato che ogni dolore di una persona nasca da un’interruzione, da una cosa che non hai portato fino in fondo o che sei riuscita a spiegarti. Da qualcosa che non si è conclusa. Vittoria è nata con un dolore già presente, il lutto vissuto quando era bambina. Non è tanto il lutto però che segna una persona, è quello che non si è detto o fatto in una determinata situazione il problema.

Nel mio caso personale, la scrittura è qualcosa che mi porto dietro fin da bambina. Era il mio sogno e mia madre ne era terrorizzata, diceva “Non è un lavoro”. Ho trovato un altro lavoro, ma una volta che i miei bambini sono diventati grandi e ho trovato un po’ di tempo per me stessa ho deciso di riprendere in mano quel sogno lasciato indietro. Ho capito che la vita è oggi, che posticipiamo sempre tante cose, ma se qualcosa ci piace lo dobbiamo fare ora. Quindi mi sono detta ok, mi siedo e ci provo. Questo, della scrittura, era un sogno interrotto, qualcosa che avevo lasciato appeso e l’ho ripreso ora che sono passati tantissimi anni. Quindi la necessità di non lasciare niente di interrotto mi ha spinta a provarci e a non privarmi di una cosa meravigliosa per la paura di non riuscire. È difficile dimenticarsi di quella vocina che ci dice che non saremo mai abbastanza, che ci sarà sempre qualcuno più bravo di noi, ma basterebbe accettarci per quello che siamo. Non serve essere sempre perfetti, a volte basta metterci tutto l’impegno che si ha e si ottiene comunque quello che si era desiderato.

La copertina come è nata? Perché una tazza e non un carillon?

È la tazza che fa cadere durante la festa nella villa a Viterbo ed è il momento in cui lei, attraverso il suono della tazza che si rompe, inizia a ricordare. Per me, personalmente, ci sono due ‘macchine’ che mettono in modo i ricordi e sono odori e suoni. Ci sono dei rumori che mi ricordavo dei momenti precisi della mia vita e quando ho pensato alla cosa che poteva innescare il ricordo del padre ho pensato alla tazza, essendo lo stesso tonfo che fa il carillon quando cade.

Chi è stata la prima persona a leggere il tuo libro?

La prima persona che ha letto il mio libro è stato un mio carissimo amico, del liceo addirittura con cui non mi sentivo da ben vent’anni. Ci siamo trovati su Facebook, ho capito che stava scrivendo qualcosa e siccome stavo scrivendo abbiamo deciso di darci una mano leggendo uno le cose dell’altro. All’inizio avevo bisogno di sapere che qualcuno mi avrebbe letto, per rimanere costante e continuare a scrivere. Quando gli ho mandato le prime pagine di questo romanzo si è arrabbiato tantissimo perché lui è una persona precisissima e diceva che avrei dovuto finire prima l’altro libro che stavo scrivendo. Quando poi ha letto le pagine ha cambiato idea e mi ha esortato a finire quello che poi è diventato ‘Ogni piccola cosa interrotta’.


Ringrazio Garzanti per l’opportunità di incontrare l’autrice di “Ogni piccola cosa interrotta” in un luogo bellissimo tra l’altro e ringrazio Silvia Celani per la gentilezza e le risposte che ci ha dato.

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