3 cupcakes

Recensione: Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore di Wes Anderson

Buongiorno a tutti! Oggi pomeriggio ho l’orale di un esame ma sono riuscita l’altra sera a ritagliarmi del tempo per vedere un film e scriverne la recensione (so che non potete iniziare la settimana senza il nostro appuntamento con un nuovo film xD). È stata una settimana intensa tra studio e cose varie, anche a livello emotivo in quanto la mia coinquilina, che era qui in Erasmus, è tornata a casa e mi manca un sacco. Chi ascolterà pazientemente i miei concerti live a casa d’ora in poi? Tornando a noi, il film di cui vi parlo me l’hanno consigliato in tanti e finalmente sono riuscita vedere “Moonrise Kingdom”.

Estate 1965. Su un’isola del New England vive la dodicenne Suzy, preadolescente incompresa dai genitori. Sulla stessa isola si trova in campeggio scout il coetaneo Sam, orfano affidato a una famiglia che lo considera troppo ‘difficile’ per continuare ad occuparsene. I due si sono conosciuti casualmente, si sono innamorati e hanno deciso di fuggire insieme seguendo un antico sentiero tracciato dai nativi nei boschi. Gli adulti, ivi compreso lo sceriffo Sharp, si mettono alla loro ricerca anche perché é in arrivo una devastante tempesta.




Titolo: Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore
Titolo originale: Moonrise Kingdom
Regia: Wes Anderson
Anno: 2012
Durata: 94 min
IMDB

Premetto che di Wes Anderson ho visto solo ‘Grand Budapest Hotel’ quindi non conosco troppo bene il suo stile, ma se non avete mai visto niente di suo, preparatevi, perché è sicuramente un regista non convenzionale. Ha uno stile che può essere definito poetico, creato tramite delle inquadrature molto fotografiche (saltano subito all’occhio per il loro essere piatte, simmetriche con questi colori pastello opachi) che si fondono con una scelta molto attenta delle colonne sonore che contribuiscono a creare una grande atmosfera.

Questo film racconta di questa bizzarra storiella d’amore tra due ragazzini particolari: entrambi, infatti, hanno problemi a relazionarsi con la persone. Lui un ragazzino adottato che fa parte di una squadriglia scout, lei primogenita di una normale famiglia dell’isola dalla personalità disturbata. Interessante come il regista vogliaintrodurci alle loro vite. Prima ci fa conoscere Suzy e ce la presenta all’interno di una casa delle bambole, poi ci ritroviamo nel mezzo di questo campo scout dove tutti i ragazzini adempiono ai loro doveri quotidiani. La routine giornaliera di tutti i personaggi viene sconvolta dalla fuga dei due ragazzini che vogliono sentirsi liberi, sperimentare l’avventura, essere in qualche modo indipendenti: entrambi trovano l’uno nell’altra qualcuno che li accetta per quello che sono, senza mettere in discussione i loro comportamenti non del tutto ordinari.

Ogni tanto compare un abitante dell’isola che ci introduce sui fatti locali e durante il film compare a caso (passatemi l’espressione) per tenerci aggiornati sul tempo e su dove sono i due ragazzini. La sua presenza non me la spiego in realtà, potrebbe essere un narratore dando quindi l’impressione che la storia che a cui stiamo assistendo sia una sorta di pièce teatrale. Ma probabilmente è solo uno dei tanti espedienti che rendono davvero particolare e insolito questo film.

Apprezzo l’originalità del film e dello stile del regista e sono contenta di aver visto questo film perché mi piace esplorare nuovi generi e scelte stilistiche diverse. Ma devo dire che non mi è piaciuto granché in quanto non mi ha lasciato niente alla fine (quando è finito mi sono detta ‘what?’). E’ un film a cui non si può assegnare un genere, infatti i film di Anderson rappresentano un genere a sé stante che può piacere o meno.

Rispetto a Grand Budapest Hotel questo film mi è piaciuto di meno, forse per la trama a mio parere piatta o per il fatto che le interpretazioni dei vari attori erano più o meno sulla stessa lunghezza d’onda, non c’era niente che spiccasse o catturasse la mia attenzione. Probabilmente avevo grandi aspettative siccome coloro che me l’hanno consigliato me ne avevano parlato molto bene o forse l’ho visto nel momento sbagliato. Sta di fatto che ora come ora mi sentirei di assegnarli due cupcakes e mezzo, ma nella fiducia che riguardandolo prossimamente io possa coglierne le varie sfumature, gliene assegno tre.


Recensione: Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro

Ciao a tutti! Mi sono appena ripresa da una settimana di esami non intensa, di più. Una di quelle settimane dalle quali esci sfiancato sia mentalmente che fisicamente. Ma adesso, nonostante ci siano i prossimi esami da preparare, me la posso prendere con un filino più di calma. Questo significa che riesco a leggere e scrivere qualcosa, finalmente. Il libro che sono finalmente riuscita a finire è ‘Non lasciarmi’ di Kazuo Ishiguro.

20901080

Titolo: Non lasciarmi
Titolo originale: Never let me go
Autore: Kazuo Ishiguro
Editore: Einaudi
Disponibile in italiano:
Goodreads

Kathy, Ruth e Tommy sono cresciuti in un collegio immerso nella campagna della provincia inglese. Sono stati educati amorevolmente, protetti dal mondo esterno e convinti di essere speciali. Ma qual è, di fatto, il motivo per cui sono lì? E cosa li aspetta oltre il muro del collegio? Solo molti anni più tardi, Kathy, ora una donna di trentun anni, si permette di cedere agli appelli della memoria. Quello che segue è la perturbante storia di come Kathy, Ruth e Tommy si avvicinino a poco a poco alla verità della loro infanzia apparentemente felice, e al futuro cui sono destinati.

Ho fatto un po’ di fatica a finire il libro, e ancora non riesco a capire se a causa del periodo, che magari richiedeva un libro un po’ più leggero, o se proprio per via del libro.
Per farla breve, ‘Non lasciarmi’ non mi ha esaltata, anzi. Credo che sia dovuto in particolare al modo in cui è scritto. Il libro è raccontato in prima persona da Kathy che, giunta ad una svolta nella sua vita, si fa in un certo senso prendere dalla nostalgia e ripercorre la sua vita, in particolare la storia della sua amicizia con Ruth e Tommy. Kathy, ormai adulta, si sta quindi preparando a vivere quella che sa essere l’ultima fase della sua vita e l’avvicinarsi di questo cambiamento la porta a ricordare diversi aneddoti, dalla sua infanzia al presente. Spesso, soprattutto nella prima parte del libro, quella ‘più vecchia’, troviamo dei passaggi in cui la narratrice stessa ci dice di non ricordare bene cosa fosse accaduto in quella particolare situazione. Mano a mano che racconta aneddoti più recenti, i ricordi si fanno più vividi, più dettagliati e in qualche modo più personali. Nei racconti di lei bambina ci sono molti fatti e avvenimenti, a differenza dei ricordi della sua adolescenza che sono pieni di pensieri e di momenti di solitudine in cui esce la personalità della protagonista.
Kathy è sempre stata una ragazzina tranquilla e socievole, senza troppe pretese nei confronti della vita e senza troppe domande. Esattamente il contrario della sua migliore amica Ruth, più curiosa e testarda, oltre che in grado di litigare e far litigare chiunque. Ruth, mano a mano che cresce, perde sempre più fiducia nella vita e nel futuro, e si trova ad avere bisogno di omologarsi ai ragazzi più grandi per avere la certezza di farsi accettare. Questo comportamento la porta però a litigare con i sui amici d’infanzia Kathy e Tommy.
Tommy è un ragazzino che cresce con la convinzione di essere problematico e diverso. Non ha una vena artistica di nessun tipo e si ritrova costretto a vivere a Hailsham, una specie di collegio in cui tutti i bambini disegnano, fanno sculture e scrivono poesie.
Kathy, Ruth e Tommy crescono insieme, provando a scoprire cosa li aspetta fuori dalle mura di Hailsham e cosa la vita abbia in serbo per loro. I tutori sono reticenti nel rispondere alle loro domande, e mano a mano che i ragazzini crescono si rendono conto che meno domande fanno e meglio è. Un po’ alla volta scoprono di aver sempre saputo a cosa erano destinati, senza però esserne davvero coscienti. Ognuno, ovviamente, la prende a modo suo e questo porta a litigi e diverbi con gli altri.
Su tutta la storia aleggia un senso di malinconia e angoscia, aiutato probabilmente dal fatto che la trama ha un che di surreale, ma, se ci si ferma a pensarci, potrebbe essere vera.
Dopo tutto questo sproloquio, sono giunta alla conclusione che magari non era il momento giusto, per me, per leggere questo libro. Probabilmente avrei dovuto affrontarlo con un’altra mentalità. L’ho trovato abbastanza impegnativo, sia come scrittura che come storia. Gli argomenti trattati non sono dei più felici e leggeri. Dalla crescita dei bambini, completamente distaccati dal mondo esterno, che arrivano a desiderare di poter lavorare in un ufficio con le pareti di vetro alla donazione degli organi vera e propria.
Dal libro è stato tratto anche l’omonimo film che, da quello che ho letto, potrebbe essere uno di quei rari casi in qui la trasposizione merita più del libro. Staremo a vedere.


Recensione: Quartet di Dustin Hoffman

Buongiorno a tutti! Siamo ormai in pieno periodo esami e spesso dopo una pesante giornata di studio ti trovi sdraiato sul letto e quel film che da tanto avevi progettato di guardare dopo cena, diventa di colpo mission impossible. Il film di oggi è un filmetto leggero e simpatico che ho visto in una di queste ‘sere da coma’.

Un angolo felice della campagna inglese ospita Beecham House, casa di riposo per musicisti e cantanti. Ogni anno, in occasione dell’anniversario della nascita di Giuseppe Verdi, gli ospiti organizzano un gala e si esibiscono di fronte ad un pubblico pagante per sostenere Beecham e scongiurarne lo smantellamento. Ma ecco che la routine di Reggie, Wilf e Cissy viene sconvolta dall’arrivo a pensione di Jean Horton, elemento mancante e artista di punta del loro leggendario quartetto, nonché ex moglie di un Reggie ancora ferito.


  • Titolo: Quartet
  • Titolo originale: Quartet
  • Regia: Dustin Hoffman
  • Anno: 2012
  • Durata: 98 min
  • IMDB

Ebbene sì, questo film si svolge proprio all’interno di una casa di riposo e i nostri protagonisti sono dei simpatici vecchietti. Posso già immaginare come a molti, un film come questo possa sembrare noioso e smorto ma fidatevi che invece è divertente e piacevole. Dustin Hoffman si propone al pubblico per la prima volta come regista proprio con questo film: non ci sono pretese, non si vogliono lanciare messaggi e non ci sono grandiosi effetti speciali. La narrazione è semplice e un po’ sbrigativa ma le battute sono buone e frizzanti.


Effettivamente, non dobbiamo dimenticare che non è una normale casa di riposo in quanto coloro che vi abitano sono tutti cantanti lirici e musicisti che una volta si esibivano nei teatri più importanti. E’ molto buffo infatti quando, all’inizio, questi vecchietti vengono inquadrati nel loro tempo libero e cosa fanno? Tutti insieme provano un aria di un’opera ma nella maniera più tranquilla e rilassata, chiacchierando nel mentre e prendendosi in giro su chi sia calante o meno preciso degli altri. La resa di queste scene ma anche del film nel suo complesso, è data dall’utilizzo di veri e proprio cantanti e musicisti. L’unica pecca è che se uno spera di sentir cantare Jean (Maggie Smith) che viene presentata come stella della lirica, le sue aspettative purtroppo verranno inevitabilmente deluse. Ciò non toglie però che l’interpretazione del personaggio sia elegante e degna di rispetto.

L’arrivo di Jean nella casa rappresenta un evento di sconvolgimento per i protagonisti, in quanto lei e l’ex marito, che non l’ha ancora perdonata per averlo lasciato molti anni addietro, non possono sopportarsi a vicenda. Nonostante alcune note di malinconia rivolte al passato, Wilf e Cissy cercano di aiutare Jean e Reggie a cercare di superare i loro diverbi, anche perchè un tempo loro erano il quartetto diventato famoso grazie alla spettacolare esecuzione del Rigoletto di Verdi. E quale migliore occasione dell’annuale concerto della casa per eseguire questo brano in memoria delle glorie del passato? Quest’impresa non sarà facile perchè i nostri adorabili vecchietti sono anche delle persone piuttosto cocciute.

Il film è in un certo senso atipico e a prima vista può sembrare non convincente, ma è molto carino e, passatemi il termine, “dolce” in quanto questi vecchietti ti mettono davvero un sacco di tenerezza. A mio parere rappresenta una valida alternativa per quelle serate in cui si vuole guardare un bel film non impegnativo e l’occasione giusta per lasciare che una piacevole storia ti scaldi il cuore.


Recensione: The One di Kiera Cass

Ciao a tutti! Eccoci qui con il primo libro dell’anno, che tra il resto mi permette di cominciare a spuntare la Reading Challenge. In particolare, depenno il numero 5: il libro con un numero nel titolo. Sto infatti per parlarvi di The One di Kiera Cass, il terzo (e si pensava conclusivo) capitolo della serie The Selection.

20901080
Titolo: The One (The Selection #3)
Autore: Kiera Cass
Editore: Sperling & Kupfer
Disponibile in italiano:
Goodreads

La Selezione che ha cambiato per sempre la vita di trentacinque ragazze sta per concludersi. E l’emozione e la confusione del primo giorno, quando America Singer ha percorso la scalinata del Palazzo, sono ormai solo un ricordo. Di certo America non avrebbe mai immaginato di arrivare così vicino alla corona, o al cuore del principe Maxon. Eppure per lei non è stato facile. Divisa tra i suoi sentimenti per Aspen, guardia a Palazzo e suo primo amore, e la crescente attrazione per Maxon, ha dovuto lottare con tutta se stessa per essere dov’è ora. A un passo dalla fine della Selezione, America però non può più permettersi incertezze. Deve scegliere. Prima che qualcuno lo faccia per lei.

Come vi ho già detto per i primi due libri, per quanto riguarda i contenuti e la storia in sè, anche questo capitolo non è nulla di eclatante. Mi sento però di consigliarvi tutta la serie, non come grande lettura ma come passatempo per un pomeriggio sul divano con una bella tazza di tè cado. La lettura scorre veloce e senza intoppi. Alcuni passaggi non sono ben definiti, ci sono alcuni avvenimenti messi lì un po’ a caso e senza grandi circostanze. Trovo anche che il finale sia stato chiuso un po’ troppo in fretta. Per il colpo di scena è necessario aspettare le ultime 35 pagine. Ci sta, ma avrei lasciato un po’ più di spazio.
America passa il 90% del libro a far venire voglia di prenderla a sberle, come il solito. Non prende una decisione, fa la testarda, cambia idea ogni 2 pagine. Non che il Principe non le faccia compagnia, ci sarà un motivo per cui vanno d’accordo quando sono insieme.
Mi sarebbe piaciuto che il personaggio della Regina fosse stato definito meglio, per quel po’ che si riesce a conoscerla, mi è sembrata interessante; lo stesso non si può dire del re. Non l’ho proprio potuto soffrire.
Dopo avere parlato degli altri due libri non mi resta molto da dirvi di questo, come già detto America è sempre la stessa, non cambia e, nonostante sia evidente la sua crescita nel corso dei libri, non posso dire che mi sia piaciuta. Il Principe è adorabile, anche se, pure lui, ha degli alti e dei bassi. Aspen non riesce a stare al suo posto.
Nel corso del libro scopriamo anche dei nuovi aspetti dei carattere di alcune delle ragazze dell’Elite, emergono nuove personalità che finora erano rimaste nascoste o comunque oscurate vuoi dall’ansia della competizione, vuoi dalla chiusura che le ragazze avevano adottato come corazza per ripararsi dalle altre.
Rispetto ai primi due capitoli si comincia a capire qualcosa di più dei ribelli, troppo poco considerando che non se ne sarebbe dovuto più parlare dopo questo libro.
A maggio 2015 uscirà The Heir, il nuovo capitolo della serie. Ho visto su GoodReads che ne è previsto anche un quinto: spero proprio che non degeneri portata dall’entusiasmo del successo.
Finchè si leggono così bene, però, non ho nessuna intenzione di abbandonare la serie. Intanto mi accontento delle varie novelle. Ho infatti scovato ieri The Queen (#0.4), un epilogo a The One reperibile a fatica in internet. Inoltre a marzo uscirà The Favourite (#2.6). Ok, la smetto di dare i numeri e torno a studiare.