4 cupcakes

Recensione: Fight Club di David Fincher

Buongiorno a tutti! Questo weekend ho recuperato un’altra pietra miliare del cinema dopo mesi che tentavo di vederlo.Finalmente l’altro giorno ho sentito che non potevo più rimandare.
Prima regola del Fight Club, non si parla mai del Fight Club. Oggi però infrangerò questa regola parlandovi proprio di questo film.

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Titolo: Fight Club
Titolo originale: Fight Club
Regia: David Fincher
Anno: 1999
Durata: 139 min
IMDB

Il film vede come protagonista un normale impiegato che soffre d’insonnia da settimane. Riesce a trovare una soluzione al suo problema frequentando i più disparati gruppi di supporto, da quello del cancro ai testicoli a quello per i malati di tubercolosi, ecc. Ma dopo un paio di mesi è costretto ad abbandonarli a causa di Marla, una donna che li frequenta pur non essendo malata. La sua presenza però disturba il protagonista al punto tale che lui non riesce più a dormire.La soluzione arriva a seguito dell’incontro con Tyler, un venditore di sapone che gli offre una casa dopo che il suo appartamento viene incendiato. I due fondano il ‘Fight Club’, una sorta di club di box clandestino.

Sapevo più o meno di cosa parlasse il film ma non sapevo bene cosa aspettarmi. Non farò spoiler per coloro che ancora non l’hanno visto, ma posso garantirvi che il finale vi lascerà di sasso. Il motivo per cui è nato questo club, essenzialmente, è scaricare la tensione e le ansie della vita attraverso il combattimento, ma non solo. Tirarsi pugni fino allo sfinimento è il passo necessario per riuscire a conoscere pienamente sé stessi. E così, pian piano, inizia a unirsi a questo club gente di tutti i tipi ed estrazioni sociali.

Il protagonista vede in Tyler la persona che lui non è mai riuscito ad essere: spavalda, sicura di sé e libera di fare quello che vuole. La convivenza con Tyler e l’influenza che ne subisce stravolgono in pieno la regolare vita del personaggio principale (di cui non sappiamo il nome). Il Fight Club non si limita però al puro combattimento e. man mano che il tempo passa e i membri aumentano, Tyler assegna loro dei compiti da svolgere che diventano sempre più assurdi e rischiosi.

Edward Norton e Brad Pitt, che interpretano rispettivamente il protagonista e Tyler, sono veramente bravi nel rendere la complessità e le varie sfumature caratteriali dei personaggi. Durante il film vediamo come il protagonista venga trasportato dalla piega degli eventi fino ad arrivare a perdere la ragione e a trovarsi prigioniero di una realtà scomoda.

“È solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa.”

Ed è proprio così. Vediamo infatti come il protagonista, oltre a narrarci la storia, perda pian piano tutto quello che ha (dalla casa, al lavoro, gli amici, la ragione). È difficile attribuire un genere ad un film eclettico ed emblematico come questo: è un mix tra azione, dramma, thriller e a tratti grottesco. È una storia che parla di disagio sociale, di violenza e, anche se non sembra, di un pizzico di amore (intendiamoci, non nel senso convenzionale della parola).

Fight Club è uno di quei film che devono essere rivisti più volte per essere compresi ed apprezzati pienamente. A prima vista, infatti, può sembrare un film assurdo e un po’ crudo ma, in realtà, le brillanti scelte stilistiche, unite ad un’impeccabile recitazione da parte del cast hanno consacrato questo film inserendolo all’interno della lista dei must cinematografici da vedere.


Recensione: Desiderio di Natale di Alessia Esse

Rieccomi, dopo un po’ di blocco da pagina bianca, forse riesco a scrivere nuovamente qualcosa.
Il libro di oggi è ‘Desiderio di Natale’ di Alessia Esse, ovvero la novella che precede la sua nuova serie ‘Nel cuore di New York’.


Titolo: Desiderio di Natale (Nel Cuore di New York #0.5)
Autore: Alessia Esse
Editore: Self
Disponibile in italiano:
Goodreads

Violet Richmond è la proprietaria di World Toys, un negozio di giocattoli situato al centro di Manhattan. Ogni anno, in occasione del Natale, il World Toys si riempie di bambini pronti per la classica foto con Babbo Natale. Quest’anno, però, il solito Babbo Natale non può sedere sulla poltrona dorata, e Violet deve assumere un sostituto, David Connor. David è uno studente di architettura alla prima esperienza in un negozio di giocattoli.
Nonostante i dubbi iniziali, Violet si scopre felice di lavorare con David. Ma c’è dell’altro. Nel corso delle tre settimane che precedono la vigilia di Natale, Violet si scopre profondamente attratta dal ragazzo seduto sulla poltrona dorata.
Cosa succederà quando Violet e David rimarranno da soli nel negozio di giocattoli?

Ho conosciuto Alessia leggendo la Trilogia di Lilac. Tre libri che ho adorato e che mi hanno avvicinata senza possibilità di ritorno al mondo delle distopie.
Il suo lato legato alla romance l’ho scoperto grazie a ‘Vicini’ e ‘Ti ricordi di me?’.
Per una serie di motivi non ho letto subito Desiderio di Natale e oggi, dopo averla divorata in qualche ora, mi pento di non averlo fatto prima. Perché questa novella ha qualcosa di magico, qualcosa che ti tiene incollato alle pagine – che sono decisamente troppo poche – e che ti fa fare il conto alla rovescia in attesa del primo libro della serie.
Violet è la proprietaria di un grande negozio di giocattoli di New York che ha preso un consegna dai suoi genitori. Dopo l’ultima delusione d’amore ha deciso di affidarsi al galateo del sesso occasionale, che le permette di divertirsi senza però farsi male nella ricerca del significato della parola Amore.
Tutti gli anni, a dicembre, ospita nel suo negozio un Babbo Natale che faccia le foto con i piccoli clienti. Ma il Babbo Natale di quest’anno è diverso. Non fa parte di quel mercato ristretto di vecchietti con la pancia e la barba disposti a farsi assalire da centinaia di bambini per tre settimane. Decisamente no. Lui è bellissimo, con degli incantevoli occhi azzurri, i capelli spettinati e la voce che ti scioglie. E per di più è anche gentile, molto gentile.
Violet, quindi, non è più solo la giovane proprietaria del negozio di giocattoli, ma è una venticinquenne single che si è presa una cotta per Babbo Natale. E le cose si mettono male quando David, la sera della Vigilia, si ferma ad aiutarla a riordinare il negozio. Parlando scoprono che entrambi saranno soli quella sera e, complice una nevicata e la ‘sconcissima’ proposta di un panino al tacchino, si ritrovano nell’appartamento di lei.

Come reagirebbe, se gli togliessi il piatto dalle mani, salissi a cavalcioni su di lui e lo baciassi? Male, ecco come. Lascia perdere

Violet è rimasta scottata da una storia in cui pensava di aver trovato l’amore, e nonostante si trovi bene con David e la sua voce interiore continui a tentare di farla ragionare, si comporta in maniera decisamente vigliacca, provando a fuggire, forse più da sé stessa che qualcuno in particolare. David invece è impulsivo, crede che la ‘notte di solo sesso’ possa trasformarsi in qualcosa di più. E prova a trascinare con sé Violet, convincendola che possa realmente succedere qualcosa di bello.

E, chiamatela pure coincidenza, a New York, è Natale. Il giorno in cui i desideri e i sogni, se ci si crede davvero, si realizzano.
E se anche Babbo Natale non esiste, forse al suo posto esistono la magia e la felicità.

Lei dice che a Natale bisogna credere in qualcosa. Che Babbo Natale deve continuare a esistere anche quando sai che è solo una finzione, perché se continui a crederci, allora credi in una magia, e se credi in una magia hai la possibilità di realizzare ogni desiderio.

Vorrei ringraziare di cuore Alessia Esse per avermi regalato l’opportunità di leggere questa novella in cambio della mia onesta opinione.


Recensione: Il colore viola di Steven Spielberg

Buongiorno a voi fedeli lettori che continuate a spulciare i nostri articoli! Ultimi settimana di sessione per noi e poi per un po’ non ci sentirete parlare più di esami (almeno fino a giugno xD). Io intanto per un’altra manciata di giorni continuo la mia personale battaglia con la fisica sperando che si risolva con un esito positivo. Questa settimana la iniziamo parlando di un film che risale a un po’ di tempo fa e che ho scoperto su consiglio di un’amica che mi ha caldamente inviato a vederlo.

Siamo nella Georgia degli anni ‘20 e il film racconta della drammatica storia di Celie, un’adolescente di colore che viene violentata da quello che ritiene sia suo padre e dà alla luce due figli che le vengono portati via. L’uomo la cede in sposa ad Albert, un vedovo con quattro bambini, di colore anche lui, uomo violento e manesco. Celie si ritrova schiava di questo uomo che la disprezza, la maltratta e le nega il contatto con la sorella. Ma questo è solo l’inizio della storia, infatti col passare degli anni le vite di nuovi personaggi si intrecciano alle vicende di Celia che solo molto tempo dopo riuscirà a riscattarsi.



Titolo: Il colore viola
Titolo originale: The color purple
Regia: Steven Spielberg
Anno: 1985
Durata: 154 min
IMDB


Il tema della pellicola non è il razzismo contro le persone di colore come può sembrare a prima vista, ma il vero nucleo di tutto il film è racchiuso nella discriminazione con cui gli uomini trattano le donne, che non fa distinzione tra bianchi e neri. Le varie donne che si incontrano, man mano che si procede col film, hanno tutte subito soprusi o comunque lottato per cercare di farsi rispettare, per riuscire a guadagnare un po’ un’identità propria o la libertà di fare quello che vogliono.

La storia è di per sé molto intensa ma la ciliegina sulla torta è la recitazione di Whoopi Goldberg nei panni di Celie. Lei è una ragazza che difficilmente esterna quelli che sono i suoi veri pensieri, di conseguenza riusciamo a capire i sentimenti di lei grazie alla strabiliante ed espressiva interpretazione della Goldberg: le sue mimiche facciali e i primi piani dei suoi sguardi riescono davvero a penetrarti e farti percepire il suo stato d’animo, senza dover utilizzare troppe parole.

Il film procede con un ritmo abbastanza pacato, in modo da condurti lentamente nel mezzo dei fatti narrati e, senza neanche rendertene conto, sei lì sul divano che vivi il dramma in prima persona. Ma dopo la pioggia torna sempre il sole e tutta questa sofferenza permette alle nostre protagoniste di uscirne fortificate e vincenti; in particolar modo Celie riesce a dimostrare l’importanza del suo ruolo attraverso i ripetuti tentativi di affermazione di superiorità morale, sempre sostenuta dalla sua incrollabile fede. Queste donne sono le figure più forti del film, infatti con il passare degli anni gli uomini invecchiano soli, mentre Celie e le sue compagne riescono finalmente a conquistare una nuova vita felice e serena.

Molto importanti sono i colori, infatti il regista alterna sapientemente inquadrature di interni caratterizzati da colori spenti e tristi con riprese di ambienti esterni dai colori luminosi e vivaci. Perchè il film s’intitola “Il colore viola”? Il viola è il colore di un campo di fiori dove la storia ha inizio e dove questa finisce, ma in un certo senso è anche il colore che rappresenta la libertà tanto agognata dalle donne del paese dove vive Celie.

Con questo film Spielberg si stacca dal solito genere di avventura dando prova di riuscire a raccontare questa storia con una maestria tale che alla fine del film sono scoppiata a piangere perché le emozioni e la loro intensità erano veramente forti che alla fine mi sono lasciata andare.
Dopo quindi essere stata vittima di questo turbinio di emozioni, posso spuntare orgogliosamente dalla mia Movie Challenge “un film con un colore nel titolo”!


Recensione: Io sono il messaggero di Markus Zusak

In occasione del Messaggero Read Along organizzato da Please Another Book, ho letto – o meglio, abbiamo letto – ‘Io sono il messaggero’ di Markus Zusak. Mon mi aveva promesso che avremmo scritto la recensione insieme ma, finito il libro, mi ha comunicato che la recensione l’avrei scritta da sola. Oggi ho finito il libro anche io e ho capito perchè ha ben pensato di abbandonarmi. Ebbene sì, la cosa si sta rivelando più complicata del previsto.

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Titolo: Io sono il messaggero
Titolo originale: The messenger
Autore: Markus Zusak
Editore: Frassinelli
Disponibile in italiano:
Goodreads

L’esistenza di Ed Kennedy scorre tranquilla. Fino al giorno in cui diventa un eroe. Ed ha diciannove anni, una passione sfrenata per i libri, un lavoro da tassista piuttosto precario che gli permette di vivacchiare, e nessuna prospettiva per il futuro. Quando non legge, passa il tempo con gli amici giocando a carte davanti a un bicchiere di birra o porta a spasso il Portinaio, il suo cane, che beve troppo caffè e puzza anche quando è pulito. Con le donne non è particolarmente disinvolto, perché l’unica ragazza che gli interessi davvero è Audrey, la ragione per cui è rimasto in quel posto senza vie d’uscita. Capace di colpirlo al cuore con una frase: «Sei il mio migliore amico». Non serve una pallottola per uccidere un uomo, bastano le parole. Tutto sembra così tremendamente immutabile: finché il caso mette un rapinatore sulla sua strada, e Ed diventa l’eroe del giorno. Da quel momento, comincia a ricevere strani messaggi scritti su carte da gioco, ognuno dei quali lo guida verso nuove memorabili imprese. E mentre Ed diventa sempre più popolare, mentre nota una luce diversa negli occhi di Audrey e la gente lo saluta per strada, inizia a domandarsi: da dove arrivano i messaggi, chi è il messaggero? Come Storia di una ladra di libri, Io sono il messaggero è un romanzo pieno di poesia e ironia. Con il suo stile unico, Markus Zusak sa raccontare la vita delle persone comuni in modo straordinario, dando un senso speciale anche alla più ordinaria delle esistenze: perché sono i piccoli gesti di altruismo a renderci eroi quotidiani.

 

Cominciamo con la parte positiva. Lo stile di Zusak, il modo in cui è scritto questo libro. Ne ero già rimasta affascinata leggendo ‘La bambina che salvava i libri’ (narrato in prima persona dalla Morte) e qui non si è smentito per nulla. Ha un modo di scrivere che ti tiene incollato alle pagine e non ti fa quasi respirare. Ti fa immedesimare in tutto e per tutto nella storia, emozionandoti come non tutti i libri fanno. Mi piace molto quando si rivolge direttamente al lettore ponendogli domande, chiedendogli cosa farebbe lui. Zusak riesce, in un certo senso, a comunicare con il lettore come se stesse raccontando a voce una storia, qualcosa che ha vissuto in prima persona.
Ciò che invece ha fatto perdere una stellina – o cupcake – a questo libro, secondo me, è stato il finale. Magari è solo perchè mi aspettavo qualcosa di più, visto l’andazzo del libro. Ma sono dell’idea che il finale – parlo delle ultime due parti – sia un po’ troppo frettoloso, chiuso velocemente, senza che la storia abbia la possibilità di svilupparsi appieno. Sono rimasta un po’ delusa, soprattutto nel confronto con la prima metà della storia. Mi sarebbe piaciuto che l’autore avesse approfondito di più la parte relativa al protagonista ed ai suoi amici invece che svolgerla così rapidamente. In un certo senso ci potrebbe stare in quanto Ed è cresciuto ed ha capito i suoi compiti e riesce quindi a capire cosa fare e portare a termine i suoi compiti più velocemente. Però – casomai non si fosse capito – la cosa non mi ha convinta.

Soltanto in una società malata come la nostra si può perseguitare un uomo perché legge troppo.

Che dire dei personaggi (o per lo meno di alcuni)?
Ed mi è piaciuto, è ben caratterizzato e riesce sempre in quello che vuole. Quello che mi da un po’ fastidio è il fatto che riesca in tutto nonostante non ci creda per nulla e non abbia la benchè minima fiducia nelle sue capacità. Nel corso della storia, comunque, cresce e acquista più fiducia nelle sue capacità. Sempre per quanto riguarda il discorso del finale, mi sarei aspettata una svolta più decisa.
Marv, Ritchie e Audrey non potrebbero essere più diversi tra loro e da Ed stesso ed è probabilmente per questo motivo che riescono in un certo senso a sostenersi a vicenda. Ognuno ha i suoi problemi, che si scoprono essere più grossi di quanto ognuno di loro voglia mostrare agli altri. È solo alla fine del libro che si vedono crollare i muri dietro cui ciascuno si era nascosto per proteggersi dal mondo esterno.
Milla, Sophie, i Tatupu, Angie, Padre O’Reilly. Sono questi i personaggi ‘secondari’ che più mi sono piaciuti e che più hanno aiutato Ed a crescere e capire cosa fare della propria vita.

In sostanza, prima che mi perda nei meandri dei miei sproloqui, mi limito a consigliarvi di leggere questo libro – o perlomeno qualcosa di Zusak – lasciandovi prendere dal suo modo di narrare particolare e allo stesso tempo speciale.