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Recensione: Tatiana e Alexander di Paullina Simons

Ciaoo 🙂
Chi ha bisogno di almeno 15 giorni su un’isola sconosciuta circondata da mare-spiaggia-sole e basta? IO!
E invece nulla mi tocca accontentarmi delle vacanze giornaliere in biblioteca. Vabbè, speriamo che sia ancora per poco. Ma non sono qui per sognare, quanto per lasciarvi il mio pensiero sul libro che ho appena finito: ‘Tatiana e Alexander’ di Paullina Simons, ovvero il secondo libro della serie ‘Il Cavaliere d’Inverno’. È una settimana che rompo le scatole alla Mon sostenendo che mi scoccia da matti scrivere la recensione del secondo libro senza aver scritto quella del primo, ma l’ho letto parecchio tempo fa, quindi nada. Vi posso dire solo che ho adorato Il Cavaliere d’Inverno, ma Tatiana e Alexander mi è forse piaciuto anche di più.

tatiana e alexander
Titolo: Tatiana e Alexander (Il cavaliere d’inverno #2)
Titolo originale: Tatiana and Alexander
Autore: Paullina Simons
Editore: BUR
Disponibile in italiano:
Goodreads

Tatiana ha diciotto anni ed è incinta. E’ riuscita miracolosamente a scappare da una Leningrado sconvolta dall’assedio dei nazisti e a rifugiarsi in America. Il suo cuore però è a pezzi, ha perso Alexander l’uomo della sua vita. Eppure qualcosa le dice che il padre del suo bambino non può averla abbandonata in quella nuova patria…

 

Visto che vi siete evitati la recensione del primo, inizio dicendovi qualcosa in generale. Il Cavaliere d’Inverno è ambientato durante l’assedio tedesco a Leningrado durante la Seconda Guerra Mondiale. Tatiana e Alexander si conoscono il primo giorno di guerra, per caso. E, chiaramente, è subito amore. Ovviamente non può andare tutto bene, ma non sarò io a farvi rischiare lo spoiler di questo capolavoro. Posso però dirvi che l’ho davvero adorato, l’amore tra loro che supera la guerra, il freddo e la fame. Il loro cercare di aiutarsi pur non avendo nulla. I brividi nel leggere i racconti della vita a Leningrado durante l’assedio. Il ‘rispetto’ per Tatiana, una ragazzina che si ritrova con responsabilità enormi. L’avanzare dei tedeschi, la follia dell’Unione Sovietica. Sono 600 pagine, è vero, ma valgono tutte la pena. Un concentrato di emozioni i cui protagonisti sono così ben raccontati e caratterizzati che ci sembra di conoscerli da sempre, di averli davanti in carne ed ossa.

Ma tornando a Tatiana e Alexander – il secondo volume – , che dire di questo libro? L’ho adorato forse di più del primo. Avevo visto commenti non troppo positivi, in particolare riguardanti il numero infinito di flashback all’interno del libro. Sì, Tatiana e Alexander sono sostanzialmente uno per parte del mondo e ogni volta che si pensano ci viene riportato un flashback relativo a un loro momento passato insieme.
Al contrario di molti, io li ho apprezzati. Un po’ perché Tatiana e Alexander insieme sono l’Ammmmmore e l’idea di un intero libro con loro due divisi mi avrebbe spaventata parecchio di più di una serie di flashback. Un po’ perché la maggior parte di questi stralci della loro vita insieme fanno parte del tempo che loro due hanno passato insieme dopo il matrimonio, a Lazarevo. Nel primo libro questa era stata forse la parte che avevo apprezzato di meno, troppo veloce ma al tempo stesso lenta. Provo a spiegarmi. Quel periodo viene raccontato incentrandosi solo su loro due, sulla loro vita insieme. Ciò che li circonda non è caratterizzato quasi per nulla, a differenza di tutto il resto del libro. Questo, secondo me, aveva portato a una certa lentezza nella narrazione. Nello stesso momento, però di quel mese di narrazione non sappiamo nulla, solo dei momenti felici dei due. E questo lo fa sembrare quasi ‘buttato lì’ rispetto al resto del libro. Non so se mi sono fatta capire e vi chiedo scusa per la poca chiarezza.

Quello non era un arrivederci, ma un addio.
Era come se una parte di lei stesse per partire con lui. Non diceva addio solo a lui, ma anche a quella parte di sé. Ecco, sembravano dirsi l’un l’altra, prendi una parte di me e vattene.
Ne avrai bisogno quando non sarà rimasto nient’altro e io ne farò crescere una parte nuova. La Tania che ami sarà sempre con te. Prendila. E lui lo fece, finché non rimase più nulla. Né di lei né di lui.

Comunque, nel secondo libro la maggior parte dei flashback è relativa a questo periodo. Tutti questi stralci, ci permettono quindi di conoscere meglio anche quel pezzo di storia dei nostri due protagonisti, dando loro una vita più completa. Vengono inseriti in uno scenario più ampio e ci vengono riportati sentimenti ed emozioni di entrambi in maniera molto più dettagliata.
Il loro amore che resta forte fino a far male pur dopo troppo tempo che non si vedono e senza sapere se l’altro è ancora vivo assume sempre più senso. Mano a mano che l’autrice ci rende partecipi della loro vita insieme, ci rendiamo conto che quello tra loro non è un sentimento che può finire da un giorno all’altro, anzi.
Un altro aspetto che mi è particolarmente piaciuto di questo libro è la narrazione che, ovviamente, segue due filoni. O meglio. Segue la storia di Tatiana in ordine cronologico, mentre quella di Alexander è a sua volta divisa, alternando capitoli sulla sua infanzia e il suo arrivo in Unione Sovietica e capitoli relativi al presente. Mi sono sempre piaciuti i libri che seguono diversi piani temporali e questo non poteva essere da meno.

A parte i miei sproloqui dai quali si capisce quando ho amato questo libro, anche in questo caso la Simons ci caratterizza e ci descrive tutto nei particolari. Dalla nostalgia dei due protagonisti alle difficoltà di Tatiana nel costruirsi una nuova vita a New York, dalla voglia di vivere di Alexander che lotta per poter un giorno rivedere Tatia agli orrori della guerra e dei campi di sterminio nazisti. In particolare questo argomento trovo che sia raccontato dall’autrice con una delicatezza tutta sua che riesce a farci entrare più in sintonia coi prigionieri e che allo stesso tempo contiene una denuncia feroce nei confronti della storia. Ci aveva abituati in questo modo raccontandoci l’assedio e la fame a Leningrado, e non ci ha delusi nel passare a un altro tasto particolarmente dolente di quegli anni.

“Quanto crede che gli ci sia voluto?” chiese Ouspenskij.
“Il campo di Majdanek è diventato operativo otto mesi fa.
Duecentoquaranta giorni. In un periodo più breve di quello che ci vuole a una donna per creare la vita, sono riusciti a eliminare un milione e mezzo di esseri umani.”

Non penso ci sia altro da dire. Il mio consiglio è quello di leggere questa serie. A breve leggerò anche il terzo e ultimo volume. Vi farò sapere.

rating 5

kiafirma

Recensione: Quando c’era Marnie di Hiromasa Yonebayashi

Buongiorno a voi! Sono settimane intense per noi e quindi per rilassarmi questa volta ho visto un film che era uscito per un paio di giorni al cinema ad agosto (e che mi ero persa purtroppo). Si tratta dell’ultimo film dello Studio Ghibli prima dell’annuncio della chiusura dello studio e del ritiro del grande maestro Hayao Miyazaki.

Quando c'era marnie
Titolo: Quando c’era Marnie
Titolo originale: Omoide no Mani
Regia: Hiromasa Yonebayashi
Anno: 2014
Durata: 103 min
IMDB

Anna, una ragazzina timida e solitaria di 12 anni, vive in città con i genitori adottivi. Un’estate viene mandata dalla sua famiglia in una tranquilla cittadina vicina al mare ad Hokkaido. Lì Anna trascorre le giornate fantasticando tra le dune di sabbia fino a quando, in una vecchia casa disabitata, incontra Marnie, una bambina misteriosa con cui stringe subito una forte amicizia.

 

‘Quando c’era Marnie’ racconta di Anna, una bambina che ci appare molto introversa che passa il suo tempo a disegnare. Soffre d’asma e viene mandata dai suoi genitori adottivi per un periodo da dei parenti che abitano in un paesino di mare per curarsi. Quello che preoccupa Yoriko (la madre adottiva di Anna) è il fatto che non dimostri più le sue emozioni e si sia rinchiusa in se stessa. Durante uno dei suoi giri esplorativi Anna scopre una casa abbandonata su un’insenatura e incuriosita si reca lì. La sera stessa le appare in sogno una bellissima bambina bionda con cui giocare insieme. Il giorno dopo ritorna alla casa e proprio li incontra la stessa bambina del sogno che scopriamo chiamarsi Marnie. Marnie è una bambina allegra e socievole e le due stringono immediatamente amicizia, solo che non devono rivelare a nessuno di questa cosa.

Tra le due bambine si instaura subito un forte legame che permette a entrambe di aprirsi e confidarsi l’una con l’altra. Entrambe vivono un grande conflitto interiore, ovvero si sentono abbandonate dai loro genitori, Anna perchè rimasta orfana e Marnie per la continua assenza dei suoi. Solo riuscendo a capirsi e discutendo insieme le due si trovano ciascuna a invidiare la vita dell’altra. Il film ci racconta la semplicità di un’amicizia nata un po’ per caso, dell’importanza di avere degli amici con cui condividere momenti della propria vita e qualcuno a cui voler bene. Questo significa diventare vulnerabili a volte ma è proprio grazie alle gioie e ai problemi che si possono creare con le altre persone che riusciamo a maturare e a diventare più forti. E grazie all’amicizia di Marnie, Anna riesce a superare i propri ostacoli e ritornare ad essere una bambina gioviale e capace di avere fiducia nelle persone.

Come tutti i film dello Studio Ghibli, i personaggi sono caratterizzati da sconvolgimenti emotivi e le storie ci offrono una lezione su come riuscire a superare le difficoltà dei protagonisti che possiamo ritrovare in ciascuno di noi. Anna e Marnie che non riescono a integrarsi con gli altri, riescono a trovare nell’altra qualcuno in grado di comprendere e capire il loro stato d’animo. Il tutto viene raccontato con i tratti tipici e immediati che caratterizzano i disegni dei film Ghibli e le musiche delicate che ti arrivano direttamente al cuore (e che nel mio caso le riascolto a loop infinito).

Il film rappresenta un altro capolavoro (e probabilmente l’ultimo) di una lunga serie di film di animazione che sono delle vere e proprie opere d’arte; di conseguenza vi invito davvero a vedere non solo questo film ma anche tutti quelli usciti prima. Ma c’è una cosa che non ho detto fin’ora cioè: “Chi è veramente Marnie?” Non spetta a me rivelarvi tale verità ma scopritelo da soli guardando il film.

rating 5
anna firma

Recensione: L’Ultimo Elfo di Silvana De Mari

Visto che settimana scorsa sono riuscita magicamente a scrivere qualcosa che somigliasse a una recensione, questa settimana, finito un altro libro, ho deciso di riprovare. Il libro di cui vi parlo oggi è ‘L’ultimo elfo’ di Silvana De Mari.

l'ultimo elfo
Titolo: L’ultimo elfo
Autore: Silvana De Mari
Editore: Salani
Disponibile in italiano:
Goodreads

In una landa desolata, annegata da una pioggia torrenziale, l’ultimo Elfo trascina la propria disperazione per la sua gente. Lo salveranno due umani che nulla sanno dei movimenti degli astri e della storia, però conoscono la misecordia, e salvando lui salveranno il mondo. L’elfo capirà che solo unendosi a esseri diversi da sé – meno magici ma più resistenti alla vita – non solo sopravviverà, ma diffonderà sulla Terra la luce della fantasia.

 

Quella di oggi, comunque, non sarà tanto una recensione obiettiva ma un elogio al libro in questione. Penso che sia questo il libro che più degli altri mi ha legata in maniera assoluta alla lettura. Fin da quando mi è stato letto, da piccola, l’ho adorato. E da allora, almeno una volta all’anno, puntualmente lo rileggo. Ogni volta scopro nuove sfaccettature, nuove emozioni. Ogni volta che lo leggo mi ritrovo a ridere, emozionarmi, commuovermi, piangere e chiudere il libro con un sorriso ebete in faccia. Un misto di soddisfazione e pace interiore insomma.

‘L’ultimo elfo’ è il primo libro dell’omonima serie che si compone di 4 libri: ‘L’ultimo orco’, ‘Gli ultimi incantesimi’ e ‘L’ultima profezia del mondo degli uomini’. Devo dire la verità, tutta la serie è molto molto bella, ma questo primo volume in particolare trovo sia davvero un capolavoro.

Fin dai primi capitoli scopriamo che ciò che è dentro la testa dell’elfo – Yorshkrunsquarkljolnerstrink – è anche fuori. I suoi sentimenti vanno quindi a condizionare ciò, ma soprattutto chi, gli sta intorno. E in un certo senso, secondo me, condiziona anche chi sta leggendo il libro, facendo immedesimare ulteriormente il lettore nella sua storia.

«Qualcuno può spiegarmi cosa è successo e perché siamo ancora vivi e in buona salute?» chiese il cacciatore.
Sajra aveva il sorriso saggio della persona che ha capito: «Quello che è dentro la testa del piccolo viene fuori ed entra nella testa di chi lo ascolta» spiegò. «Quando Yorsh è disperato per noi è insopportabile, e quando ha paura comincia a venirci il panico, ma comunque continuiamo a pensare. Con le menti… semplici quello che il piccolo dice è una specie di inondazione: gli riempie la testa. Lui ha detto ‘bello’ e
‘buoni’ e loro si sono… come dire… adattati alla definizione».
«Menti semplici?» chiese Monser.
«Menti semplici» confermò lei.

Conosciamo l’elfo quando è ancora un bambino, un cucciolo, uno nato da poco e sta per morire di fame e freddo in una landa desolata dalla pioggia e ricoperta di fango. In un mondo dove gli elfi sono odiati da tutti perché ritenuti pericolosi e malvagi. Per fortuna Yorsh incontra un uomo e una donna che, nonostante le sue origini non-umane, decidono di aiutarlo e salvarlo dal mondo che lo circonda. Della trama non vi dico altro altrimenti vi rovino la sorpresa.

Quello che vi posso dire è però che l’autrice, in questo libro, riesce a inserire di tutto. Ci sono parti divertenti, che fanno proprio ridere, parti che fanno pensare molto e parti che invece commuovono proprio. La descrizione dei luoghi viene intrecciata ai sentimenti e all’azione in modo da essere dettagliata ma senza diventare noiosa.

Il drago sembrava seccato.
Era veramente vecchio e non è facile decifrare l’espressione di un drago, soprattutto se è un drago molto vecchio e se è la prima volta che se ne incontra uno, però era evidente quanto fosse seccato.

È un libro per bambini, d’accordo, ma sono dell’idea che, se letto da – o ad – un bambino, sia semplicemente una bellissima storia con un giusto tocco di magia e azione e un bel finale. Ma per una persona più adulta si fa molto più profondo ed è in grado anche, nel suo piccolo, di far pensare.

«Sai accendere un fuoco senza esca?»
«Sìiiiiiiiiiiiiiiiiii».
«Perché non me lo hai detto?»
«Tu non chiestuto».
«Ti ho chiesto se avevi dei poteri!»
«Sì. Io risponduto: parlato grandi poteri: respirare, mangiare, stare vivo. Il fuoco accenduto è un piccolo potere. Basta alzare temperatura e fuoco nasce. Tutti sapere fare questo».

Consiglio questo libro a tutti, anche a chi non ama il fantasy, perché comunque la componente non è esagerata. È un libro piacevole, dolce e profondo allo stesso tempo. Io lo adoro, spero sia così anche per voi.

rating 5
kia firma

Recensione: Lo stagista inaspettato di Nancy Meyers

Buongiorno a tutti!

Vorrei iniziare ringraziando la mia coinquilina che l’altra sera mi ha portato al cinema a vedere un film davvero promettente dal trailer: “Lo stagista inaspettato”. Era da un po’ che non mi capitava di andare due volte al cinema in meno di una settimana… sento che dovrei farlo più spesso se solo i prezzi non fossero esorbitanti. Detto questo, spero che questa recensione riesca ad esprimere quanto il film mi sia piaciuto!

lo stagista inaspettato
Titolo: Lo stagista inaspettato
Titolo originale: The Intern
Regia: Nancy Meyers
Anno: 2015
Durata: 121 min
IMDB

Una società di moda assume uno stagista decisamente fuori dagli schemi: Ben Whittaker (Robert De Niro) un settantenne pensionato che ha scoperto che in fondo la pensione non è come immaginava e decide così di sfruttare la prima occasione utile per rimettersi in pista. Nonostante le diffidenze iniziali, Ben dimostrerà alla fondatrice della compagnia (Anne Hathaway) di essere una valida risorsa per l’azienda e tra i due nascerà un’inaspettata sintonia.

La storia inizia presentandoci il protagonista del film ovvero Ben, un vecchietto di settant’anni che si tiene sempre impegnato nelle più svariate attività. Si iscrive infatti a tutti i corsi possibili perché ama il contatto con la gente e perché vuole cercare colmare il vuoto lasciato dalla perdita della moglie.
Dopo aver risposto ad un annuncio si ritrova a fare lo stagista presso la start-up di un e-commerce di abbigliamento. Qui gli viene affidato il ruolo di assistente del capo, ovvero Jules, una donna che ha appena superato i trent’anni, intraprendente e ambiziosa. A questo punto allo spettatore si chiede “cosa può fare un vecchietto di utile senza saper usare un computer?” Ecco, la stessa domanda se la pone anche Jules, ma ovviamente il nostro Ben ha molta voglia di mettersi in gioco e imparare anche a usare le nuove tecnologie. Ben riesce a conquistare tutti e a dimostrarsi una risorsa preziosa per l’azienda e per Jules stessa, che può contare su un bagaglio di esperienze decennali.

Il segreto di questo film sono i paradossi comici che riesce a creare, solo partendo dalla premessa che un vecchietto si metta a fare lo stagista. Epica è la scena in cui al nuovo gruppo di stagisti (vecchi e giovani) mostrano le scrivanie con sopra i mac: il ventenne apre lo zaino e mette sul tavolo, cellulare, mp3, cuffiette e inizia tranquillamente a lavorare, poi vediamo Ben che dalla sua ventiquattr’ore tira fuori gli occhiali, la penna, un orologio e inizia a fissare lo schermo nero del computer (per fortuna i suoi colleghi stagisti lo aiutano ad approciarsi con Internet e le nuove tecnologie).
In realtà questa è solo una delle mille mila scene esilaranti che si succedono durante il film. Ma se la comicità e il continuo scambio frizzante di battute tra i personaggi sono il punto di forza di questo film, questo è supportato dalla recitazione magnifica di due grandi attori che personalmente amo molto: Robert De Niro (Ben) e Anne Hathaway (Jules). Presi singolarmente sono di per sé due attori fenomenali, ma la loro combo è il tocco per rendere questo film davvero brillante e capace di trasportarti in questa storia e farti ridere proprio di gusto!

Ma non vuole essere solamente un film che fa ridere lo spettatore, veniamo anche a conoscere le paure e le insicurezze dei nostri protagonisti, vedendoli in momenti di fragilità. Dietro alle risate e alle situazioni più insolite si vengono a creare dei legami solidi e importanti che li aiutano ad affrontare i vari ostacoli per sentirsi bene con loro stessi.
Molti di noi sono stati o sono ora stagisti/tirocinanti o comunque l’ultimo arrivato in un contesto lavorativo e quindi per forza di cose non possiamo non amare e voler bene a questo vecchietto pimpante alle prese con un capo tutt’altro che facile e con mille pretese.
‘Lo stagista inaspettato’ è un film immediato, semplice e la sensazione che ho provato dopo averlo visto è stata quella di una bella ventata d’aria in una calda giornata estiva, nel senso che è un toccasana per l’umore! Ve lo consiglio perché veramente se volete vedere un film divertente e che sappia far ridere senza cadere nel volgare, questo sicuramente soddisferà pienamente le vostre aspettative, d’altronde un vecchietto stagista può solo che riservare sorprese a non finire!

rating 5
anna firma