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Recensione: Novemila giorni e una sola notte di Jessica Brockmole

Ciao a tutti! Sessione finita, o almeno io ne ho decretato la fine. Mi restano quindi 10 giorni di ‘vacanza’ prima di riprendere le lezioni e sto quindi sguazzando tra i libri con la stessa gioia di un maialino nel fango.
L’ultimo letto è ‘Novemila giorni e una sola notte’ di Jessica Brockmole. Letto tutto d’un fiato, non sono sicura di rendergli giustizia con uno dei miei soliti sproloqui. L’intenzione è comunque quella di convincere chi non l’ha ancora letto ad immergersi tra le pagine di questo libro.

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Titolo: Novemila giorni e una sola notte
Titolo originale: Letters from Skye
Autore: Jessica Brockmole
Editore: Editrice Nord
Disponibile in italiano:
Goodreads

Cara figlia mia,
tu non hai segreti, ma io ti ho tenuto nascosta una parte di me. Quella parte si è messa a raschiare il muro della sua prigione. E, nel momento in cui tu sei corsa a incontrare il tuo Paul, ha cominciato a urlare di lasciarla uscire.
Avrei dovuto insegnarti come indurire il cuore; avrei dovuto dirti che una lettera non è mai soltanto una lettera. Le parole scritte su una pagina possono segnare l’anima. Se tu solo sapessi…
E invece Margaret non sa. Non sa perché Elspeth, sua madre, si sia sempre rifiutata di rispondere a qualsiasi domanda sul suo passato, limitandosi a mormorare: «Il primo volume della mia vita è esaurito», mentre gli occhi le si velavano di malinconia. Eppure adesso quel passato ha preso la forma di una lettera ingiallita, l’unica che Elspeth ha lasciato alla figlia prima di andarsene da casa, così, improvvisamente, senza neppure una parola d’addio. Una lettera che è l’appassionata dichiarazione d’amore di uno studente americano, David, a una donna di nome Sue. Una lettera che diventa, per Margaret, una sfida e una speranza: attraverso di essa, riuscirà infine a svelare i segreti della vita di sua madre e a ritrovarla?
Come fili invisibili, tirati dalla mano del tempo, le parole di David conducono Margaret sulla selvaggia isola di Skye, nell’umile casa di una giovane poetessa che, venticinque anni prima, aveva deciso di rispondere alla lettera di un ammiratore, dando inizio a una corrispondenza tanto fitta quanto sorprendente.
La portano a scoprire una donna ostinata, che ha sempre nutrito la fiamma della sua passione, che non ha mai permesso all’odio di spegnerla.
La guidano verso un uomo orgoglioso, che ha sempre seguito la voce del suo cuore, che non si è mai piegato al destino.
Le fanno scoprire un amore unico, profondo come l’oceano che divideva Elspeth e David, devastante come la tragedia che incombeva su di loro, eterno come i novemila giorni che sarebbero passati prima del loro incontro.
Salutato da critica e lettori come il libro-evento dell’anno, Novemila giorni e una sola notte è un inno struggente alla magia delle parole e alla forza di un amore così grande da superare il tempo e la lontananza. Perché se una lettera non è mai soltanto una lettera, un romanzo non è mai soltanto un romanzo. È lo specchio della nostra vita.

 

Ho sempre adorato a prescindere i libri costruiti come raccolta di lettere, ma questo ha qualcosa di più.

È la storia di un amore. Un amore che si sviluppa attraverso uno scambio epistolare e che vede il susseguirsi di due guerre mondiali. Che supera paure e decisioni a volte sbagliate e si riempie ogni giorno di speranza.

Il libro si svolge su due piani temporali diversi, quello di Sue e David e quello di Margaret. Il primo pieno di amore, il secondo pieno di curiosità e di domande su un passato che vorrebbe rimanere nascosto ma non può farlo.
Sue e David si conoscono grazie a un libro di poesie scritto da lei e una lettera di complimenti che lui decide di scriverle. È da quella lettera che si sviluppa un grande amore che cresce e cambia insieme ai protagonisti, condizionato soprattutto dalla Grande Guerra.
Margaret è la figlia di Sue e non ha mai scoperto nulla sul suo passato, la madre non vuole raccontarle niente. Durante la Seconda Guerra Mondiale, grazie a una serie di coincidenze, comincia a scoprire qualcosa in più. Piccoli dettagli che alimentano la sua curiosità e la portano a scrivere a parenti sconosciuti e a viaggiare alla scoperta del suo passato.

A riflettere non si sbaglia mai. È ciò che distingue gli esseri umani dagli scarafaggi.

Ho adorato Sue e Davey, pieni di incertezze, domande e paure, così reali. Per certi versi molto simili, ma allo stesso tempo diversi, uno cresciuto a Urbana, l’altra sull’isola di Skye. Ho adorato Margaret, con la sua convinzione ad andare avanti nonostante gli ostacoli. Lo zio Finlay, necessario nonostante il suo essere assente e scorbutico. E la nonna, che sembra assente, distante dalla figlia e poi dalla nipote ed invece sa e osserva tutto ed è sempre pronta per un consiglio o un aiuto.
Nel finale manca un po’ la storia di Margaret, per questo avevo pensato di non dare il voto pieno. Mentre scrivevo, invece, mi sono resa conto di quanto questo libro mi abbia conquistata. Voto pieno quindi, con la speranza che lo apprezziate quanto me.

Recensione: Big Hero 6 di Don Hall & Chris Williams

Ciao a tutti! L’altra sera dovevo andare a correre con la mia coinquilina, ma l’aver fatto tardi in biblioteca e il freddino che c’era fuori ci hanno fortemente scoraggiate. Alla fine abbiamo optato per restare a casa e guardarci un film: la scelta è ricaduta proprio su “Big Hero 6”.

Ammetto che ero un po’ sul chi va là quando ho sentito dell’uscita di questo film perché si allontana da quello che secondo me è sempre stato lo stile Disney, essendo cresciuta con i grandi classici del geniale Walt. Inoltre non era facile superare il grande successo ottenuto dal penultimo film “Frozen” di cui mi ritrovo ancora oggi, dopo già un anno, a cantare a squarciagola le canzoni! Comunque essendo una grande fan Disney mi sono fidata dei creatori e sono rimasta incollata con gli occhi allo schermo per tutto il film continuando a ripetere “wow”.




Titolo: Big Hero 6
Titolo originale: Big Hero 6
Regia: Don Hall, Chris Williams
Anno: 2014
Durata: 102 min
IMDB


Big Hero 6 è una commedia d’avventura ricca d’azione sul ragazzo prodigio esperto di robot Hiro Hamada, che impara a gestire le sue geniali capacità grazie a suo fratello, il brillante Tadashi e ai suoi amici: l’adrenalica Go Go Tamago, il maniaco dell’ordine Wasabi No-Ginger, la maga della chimica Honey Lemon e l’entusiasta Fred. Quando una serie di circostanze disastrose catapultano i protagonisti al centro di un pericoloso complotto che si consuma sulle strade di San Fransokyo, Hiro si rivolge al suo amico più caro, un robot di nome Baymax, e trasforma il suo gruppo di amici in una squadra altamente tecnologica, per riuscire a rivolvere il mistero.

Una delle cose che mi ha fatto sorridere fin dall’inizio del film è che i protagonisti sono tutti dei nerd, quindi essendo io un po’ nerd, mi sono sentita subito coinvolta. Ognuno è particolare e un po’ disagiato a modo suo, ma sono delle persone affidabili e con un gran cuore, volendo essere di supporto a Hiro nel momento più drammatico, quello cioè della morte del fratello. Il tabù Disney della perdita di una persona cara viene presentato senza veli e costituisce il punto di partenza di una maturazione del protagonista.

Saltano all’occhio gli evidenti richiami con il Giappone, partendo dal nome della città, San Fransokyo, dagli occhi leggermente a mandorla di Hiro, fino ad arrivare una sorta di fusione del paesaggio urbano delle due metropoli, dove la modernità della capitale nipponica si fonde con la rilassata baia californiana. Ma è da questa sorta di fusione tra Occidente e Oriente che nasce Baymax, un robot infermiere che accudisce le persone e che ricorda un po’ il Totoro dello Studio Ghibli. Se a prima vista può sembrare una specie di omino Michelin con un volto inespressivo e senza niente di vagamente tenero, preparatevi a ricredervi: Baymax infatti conquista lo spettatore con il suo modo goffo e adorabile di prendersi cura di Hiro. La sua mole e il fatto di essere molto ingombrante fanno in modo che si muova in maniera molto buffa e lenta, dando luogo a scene davvero esilaranti.

Anche il modo in cui scansiona le persone per analizzarne la salute psico-fisica è originale e ben spesso porta a delle diagnosi inaspettate e formulate brillantemente. Il legame che si instaura tra Hiro e Baymax diventa sempre più forte e entrambi imparano l’uno dall’altro; diciamo che rappresenta un ideale compagno di avventure, la sua ingenuità e la sua dolcezza non ti danno alternative costringendoti ad amarlo e a desiderare di averne uno tutto per te!

Big Hero 6 costituisce anche la rivisitazione in chiave disneyana di un fumetto Marvel, quindi vedremo i protagonisti che si ritrovano a dover fronteggiare un grande pericolo e sfruttando il loro fattore nerd si creano degli equipaggiamenti davvero sorprendenti. Questa sorta di upgrade generale coinvolge anche Baymax che diventa un vero e proprio eroe.

Una carica supereroica insieme a quel pizzico di dramma e alla geniale sceneggiatura sono gli ingredienti che danno vita a una moltitudine di scene indimenticabili e ad un film d’animazione letteralmente spettacolare.


Recensione: Les Misérables di Tom Hooper

Bonjour à tous! Finalement il est temps pour moi, de parler de ce film que j’adore et que j’ai vu beaucoup de fois! Una delle tante rivisitazioni del musical (tra l’altro l’unica che ho visto), basato sul celebre romanzo di Victor Hugo. La storia gira intorno alle vite di diversi personaggi che hanno in comune una sola cosa: cercano di superare gli ostacoli della loro vita miserabile. Due parole soltanto e poi spazio alle emozioni, ecco per voi “Les Misérables”.


  • Titolo: Les Misérables
  • Titolo originale: Les Misérables
  • Regia: Tom Hooper
  • Anno: 2012
  • Durata: 158 min
  • IMDB

Siamo a Toulon nel 1815, Jean Valjean è il prigioniero numero 24601, condannato a diciannove inverni di lavori forzati per aver rubato un pezzo di pane sfamando un nipote affamato, a dimostrazione del fatto che la giustizia punisce ingiustamente coloro che non possono difendersi e che conducono una vita di stenti. Lungo tutta la storia, il secondino Javert continua a perseguitare il povero Jean Valjean, convinto che l’uomo non possa cambiare e rimarrà per sempre un ladro. A questo dramma si affianca quello della povera Fantine, licenziata perché madre non sposata e costretta a vendere capelli, denti e il suo stesso corpo prostituendosi per poter sfamare la figlia. Ma le loro sono solo alcune delle storie di un popolo francese ridotto alla fame. In tutta questa sofferenza, però, qualcuno ha la forza per tentare di cambiare le cose: Jean Valjean vuole riscattarsi dal suo passato e riesce a diventare sindaco della città, rispettato e amato. Per una serie di eventi l’uomo salva Fantine dalla prigione, promettendole di proteggere Cosette, la sua bambina, affidata alle cure di due malandrini locandieri. Alla morte della donna, Jean Valjean adotta Cosette diventandone il padre. Gli anni passano e Cosette cresce, così come l’ossessione di Javert che cerca in tutti i modi di catturare Valjean e riportarlo in prigione. La Storia poi si mette in mezzo, conducendo i due avversari al di là e al di qua delle barricate innalzate dai rivoluzionari repubblicani contro la monarchia. Mentre a Parigi inizia l’insurrezione, le ‘stelle’ in cielo vegliano misericordiose le sorti di Valjean e Javert.

Ora vi chiederete: ci sarà un happy ending? Morirà qualcuno? I ribelli riusciranno ad ottenere la libertà? A coloro che vogliono trovare risposta a queste domande, non resta che guardare il film perché non mi sono consentiti spoilers. Secondo me questo musical è un vero capolavoro. Non è possibile che dopo la quinta volta che lo vedo puntualmente, alla fine, diventi una fontana. Accumulo talmente tante emozioni che non mi è possibile non commuovermi.

Per quanto riguarda la scelta del cast non potrebbe essere stata più azzeccata, a mio parere. Non avevo mai sentito cantare Hugh Jackman, Russel Crowe o Anne Hathaway e devo ammettere che sono stati una vera e propria rivelazione. Non ci sono dialoghi recitati nel film. Il tutto ricorda un po’ un’opera lirica, in quanto la recitazione è cantata.
Ma se ad alcuni questa scelta può sembrare pesante, per me non è assolutamente vero; infatti, ogni canzone, una più bella ed emozionante dell’altra, è studiata in modo da coinvolgere fino al midollo.
Ci sarebbe da parlare per ore e ore di come ogni canzone sia essenziale ai fini della storia, ma qui mi limiterò solo a quelle che mi emozionano ogni volta che le ascolto:
“I dreamed a dream” interpretata da Anne Hathaway, che ha ricevuto l’Oscar per migliore attrice non protagonista pur avendo recitato in tutto il film solo una quindicina di minuti. La sua interpretazione è spettacolare; traspare tutta la sventura e la sciagura abbattutasi sul personaggio di Fantine e proprio in questa canzone si percepisce il culmine della sua afflizione che, nota dopo nota, vi lacererà il cuore. Se non avete ancora visto il film rimarrete sicuramente strabiliati dalla sua interpretazione.
“One day more” interpretata a più ripresa dai diversi protagonisti il giorno prima della rivolta. Un giorno in più in cui tutto sta per cambiare e bisogna aspettare il domani per scoprire cosa succederà: se i due amanti riusciranno a ritrovarsi, se i ribelli riusciranno a sopravvivere alla rivolta, se le fatiche di ognuno riusciranno ad avere un senso.
“Do you hear the people sing?” un canto intonato dai ribelli per farsi coraggio e in cui racchiudono la speranza di riuscire, un giorno, a conquistare la libertà e ad ottenere una realtà migliore. Ci si ritrova improvvisamente a cantare insieme a loro, proprio perché questa canzone è penetrante e non può fare a meno di farti sentir parte di qualcosa di grande.

Durante tutto il film vi è una costante opposizione tra bene e male che cambia continuamente posizione all’interno dei Miserabili, dando il via al duetto di Javert e Jean Valjean, schierati di fronte alla legge e alle sue ingiustizie. Questo loro confronto coinvolge al punto di far sussultare e trattenere il fiato.
Non da meno ovviamente sono le ambientazioni che si alternano tra zone di periferia della città, interni di locande, architetture imponenti, tutto realizzato con gusto teatrale. Fidatevi quando dico che questo sia il più bel musical trasposto in film che abbia mai visto e, ai non amanti dal musical, posso solo consigliare di dare una chance a questo film perché se la merita davvero.


Recensione: Million Dollar Baby di Clint Eastwood

Bonjour à tous! Nonostante il mio compleanno, lo studio e il Lucca Comics (immaginate me che gira il festival con occhi sognanti che continua a saltellare dalla felicità) non mi sono dimenticata che era il mio turno di recensire. Settimana scorsa ho avuto l’occasione di rivedere questo film stupendo, Million Dollar Baby, ispirato ai racconti dello scomparso F.X.Toole. Non ero pienamente sicura di parlare di questo film perché avevo paura di non riuscire a esserne all’altezza ma alla fine mi sono decisa ed eccomi qui.

 

  • Titolo: Million Dollar Baby
  • Titolo originale: Million Dollar Baby
  • Regia: Clint Eastwood
  • Anno: 2004
  • Durata: 127 min
  • IMDB

“Se c’è una magia nella boxe è la magia di combattere battaglie al di là di ogni sopportazione, al di là di costole incrinate, reni fatti a pezzi e retine distaccate. È la magia di rischiare tutto per realizzare un sogno che nessuno vede tranne te.”

Non è il solito film sulla boxe, come ci si potrebbe aspettare dal trailer o dalla frase tratta dal film con cui ho deciso di iniziare. Diciamo che Eastwood utilizza questo duro sport per raccontare temi quali la crudeltà dell’esistenza, ma anche la generosità e l’affetto ritrovati. E per fare ciò ecco che ci fa conoscere la storia dei tre protagonisti: Frankie, Scrap e Maggie.

Frankie è un vecchio allenatore frustrato, da una parte perché non è mai riuscito a portare uno dei suoi atleti a vincere il titolo mondiale, dall’altra perché ha perso il rapporto con sua figlia che costituisce l’unica famiglia che ha. Ogni giorno, da vent’anni, va in chiesa come per cercare di perdonarsi qualcosa senza però riuscirci veramente.

Scrap è un ex-pugile e l’unico amico di Frankie. Quando si rende conto che non poteva più combattere sul ring, decide di dare una mano a Frankie a portare avanti una fatiscente palestra di boxe. È una persona fedele, che non abbandona l’amico, ma cerca sempre di spronarlo e consigliarlo perché capisce quanto stia attraversando una sorta di crisi interiore, diciamo così.

Ed eccoci alla vera protagonista della storia: Maggie Fitzgerald, la ragazza da un milione di dollari. Una ragazza proveniente da una famiglia sgangherata, che ha sempre lavorato sodo per cercare di ottenere un posto in cui potesse sentirsi felice. Infatti, la voce narrante presente in tutto il film la presenta come una ragazza che ha sempre, saputo fin dalla nascita, di fare schifo. Ma come dice lei, l’unico momento in cui lei è veramente felice è quando si allena. La sua energia e forza di volontà fuori dal comune, riescono a convincere il vecchio e cocciuto Frankie a passare sopra il fatto che sia una donna e fuori età e a iniziare ad allenarla.

Inizia così il sodalizio tra Frankie e Maggie, che comprende la totale dedizione di lei all’allenatore, che rappresenta ormai l’unica persona che conta nella sua vita. D’altro canto, Frankie sembra quasi che riveda nella ragazza la propria figlia, tanto che se ne affezionerà sempre più. Infatti le regalerà successivamente una vestaglia in pura seta con cucito il soprannome gaelico Mo Cùishle, il cui significato verrà rivelato solo alla fine del film. Con l’aiuto di Scrap, Frankie decide di trasformare Maggie in una grande pugile pur avendo un breve di lasso di tempo per riuscirci. Nonostante le previsioni sfavorevoli, i tre riescono in quest’impresa tanto da far arrivare Maggie alla finale per il titolo mondiale.

Ma purtroppo la vita non va come sempre ci aspettiamo e il finale tragico di questa storia non potrà far altro che farvi scoppiare in un mare di lacrime come è successo a me, lasciandovi con un grande dolore. Eastwood racconta questa storia con la pacatezza e l’eleganza tipica dei suoi film. Vuole presentarci i vari personaggi, facendoci scoprire il loro passato e come sono diventati le persone che sono oggi. Vuole esaltare il coraggio e l’onestà dei protagonisti che si trovano a combattere sul “ring della vita”, trovandosi di fronte alla relatività del decidere: tra il giusto e l’ingiusto, tra il bene e il male. Tutto ciò reso ancora più brillante e commovente grazie alla spettacolare recitazione dello stesso Eastwood nei panni di Frankie, Morgan Freeman (Scrap e voce narrante) e Hilary Swank (Maggie).