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#4 – 5 motivi per…. cui ci commuoviamo davanti ai film

5 motivi per

Vi è mai capitato di commuovervi davanti a un film? Oppure, vi è capitato di guardare un film con amici e di colpo scoppiare a piangere di fronte ad una scena e tutti i vostri amici si girano verso di voi sconvolti da tale reazione? In realtà a me capita spesso di commuovermi (meno male che la maggior parte delle volte sono da sola e quindi posso dar sfogo a tutte le mie emozioni senza problemi xD). Una volta non ero così, avevo un cuore d’acciaio ma, sarà il periodo, sarà la vecchiaia, ormai ci vuole poco per emozionarmi davanti a un film.
Detto questo, ecco i cinque motivi per cui, secondo me, i nostri cuori vacillano davanti al grande schermo:

    1. L’empatia che proviamo di fronte alla scena che stiamo guardando. Solitamente si tratta di un momento in cui qualcuno muore, oppure dove il protagonista, dopo mille peripezie, riesce a raggiungere il suo obiettivo. Insomma, deve essere una scena in cui troviamo una connessione con la storia, forse perché abbiamo vissuto quella situazione o perché ci ritroviamo nei personaggi.
    2. Le musiche sono la causa primaria, secondo me, di un momento di commozione. La musica arriva direttamente al cuore delle persone, molto più di mille parole. Attraverso le note si trasmette una quantità tale di pathos che non rimane via di fuga, nemmeno per il cuore più freddo.

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    1. Ovviamente, gioca un ruolo importante anche la recitazione degli attori perché non penso riuscirei a commuovermi se recitassero come delle sardine imbalsamate o come dei fenicotteri con l’artrosi. gif
    2. In realtà non c’è un vero e proprio quarto motivo, la commozione, infatti, dipende dalla sensibilità ed emotività dello spettatore nel momento in cui sta guardando il film. Quando sono andata a vedere “Colpa delle stelle” al cinema, c’erano la Kia e la Mon che hanno finito un pacchetto di fazzoletti a testa, mentre io non ho fatto una piega. Poi guardo Mulan e mi commuovo a caso. Già, sono fatta così xD.
    3. Titanic. C’è qualcuno che non si è mai commosso davanti al Titanic? Almeno una volta? Se quand’ero più giovane mi commuovevo quando Jack affondava nelle profondità dell’oceano, ora invece è la scena in cui Rose, in versione vecchietta, getta dal ponte il gioiello e si addormenta sognando come sarebbe stata la sua vita se Jack fosse sopravvissuto.

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E voi, siete persone dalla lacrimuccia facile o dei cuori di ghiaccio?

anna firma

Recensione: 12 anni schiavo di Steve McQueen

Buongiorno a tutti! È arrivato maggio e, con lui, anche l’ultimo mese di lezione prima degli esami. Ma non sono qui per parlare dell’università, bensì del film che ho avuto l’occasione di vedere sabato sera. In realtà avevo in mente di vederne un altro ma poi, mentre ero su YouTube, ho visto il trailer del film e ho deciso che dovevo assolutamente vedere questo.

12 anni schiavo
Titolo: 12 anni schiavo
Titolo originale: 12 years a slave
Regia: Steve McQueen
Anno: 2013
Durata: 134 min
IMDB

Stati Uniti, 1841. Solomon Northup è un musicista nero e un uomo libero nello stato di New York. Ingannato da chi credeva amico, viene drogato e venduto come schiavo a un ricco proprietario del Sud agrario e schiavista. Strappato alla sua vita, alla moglie e ai suoi bambini, Solomon infila un incubo lungo dodici anni provando sulla propria pelle la crudeltà degli uomini e la tragedia della sua gente. A colpi di frusta e di padroni vigliaccamente deboli o dannatamente degeneri, Solomon avanzerà nel cuore oscuro della storia americana provando a restare vivo e a riprendersi il suo nome. In suo soccorso arriva Bass, abolizionista canadese, che metterà fine al suo incubo. Per il suo popolo ci vorranno ancora quattro anni, una guerra civile e il proclama di emancipazione di un presidente illuminato.

 

L’Oscar che questo film ha vinto, se lo merita tutto. È stato impegnativo guardarlo, emotivamente parlando. Due ore in cui tutti i miei muscoli sono rimasti tesi mentre mi immergevo sempre più nella storia. Mi piacciono molto i film drammatici, che parlano di storie vere e che affrontano tematiche “toste”: questi film mi permettono di aprire una finestra sul mondo e attraverso queste storie ho la possibilità di capire meglio quello che da qualche parte è successo.

Sono il tipo che, ogni volta che guarda un film del genere, si immedesima con i personaggi. Questo perché voglio capire le dinamiche, voglio far tesoro delle emozioni che travolgono i protagonisti. In passato ho visto altri film sulla schiavitù, ma questo in particolare mi ha toccato. Ci sono delle scene dure da digerire ma il regista non vuole porre filtri, ci racconta l’odissea di Solomon, un uomo di colore a cui la libertà è stata tolta senza motivo e per 12 lunghi anni ha dovuto sopportare il giogo della schiavitù. La sua è una delle poche storie ad avere un lieto fine, alla fine riesce a far ritorno alla sua casa e alla sua famiglia.

Mi sono commossa vedendo le scene in cui uomini e donne privi della loro libertà intonano dei canti blues. Il blues è di per sé una musica che ti arriva dritta al cuore, trasmette le emozioni di chi la canta. Ho potuto capire, anche se solo in parte, cosa loro stessero provando e devo dire che è stato straziante. Quello che mi lascia l’amaro in bocca è che questa è solo una delle tantissime tragedie che sono avvenute e che attualmente avvengono nel mondo e ogni volta che ci penso mi chiedo: come può l’uomo non imparare mai dagli errori commessi?

La durata del film è significativa e le numerose scene in cui si vedono gli schiavi frustati sono tutti espedienti per far breccia nella sfera morale dello spettatore. La drammaticità e la pesantezza del film vengono ogni tanto acquietate con delle inquadrature notturne dei paesaggi della Louisiana. Il cast, composto da volti nuovi e abitué del cinema, ha dato prova di un’efficace recitazione. Alla grande resa del film hanno contribuito anche le musiche che “cullano” le sequenze. Se non l’avete ancora visto, guardatelo perché secondo me ne vale davvero la pena.

rating 4.5
anna firma

Recensione: Kyoukai no Kanata – I’ll be here: Kako-hen

Buongiorno a tutti! Sono molto emozionata di parlarvi del film di oggi. L’anno scorso ho scoperto per caso l’anime ‘Kyoukai no Kanata’, stavo infatti ascoltando un po’ di opening su YouTube quando ad un certo punto è partita la sigla di questo cartone. È stato amore a prima vista (tanto che per mesi la sigla è stata la mia suoneria del telefono xD). I disegni e le musiche dell’anime sono bellissimi, la trama effettivamente un po’ assurda ma mi è piaciuto un sacco! Il finale un po’ forzato mi aveva lasciata perplessa e quando ho sentito la notizia che avrebbero fatto il film ero in brodo di giuggiole. I produttori hanno diviso il film in due parti (Kako-hen e Mirai-hen): il primo, cioè quello di cui parliamo oggi, è un riassunto dell’anime, mentre il secondo racconta quello che avviene dopo il finale della serie. La recensione di oggi sarà, quindi, più che altro un commento sull’anime.
Kyoukai no Kanata
Titolo originale: Gekijouban Kyoukai no Kanata – I’ll be here
Regia: Taichi Ishidate
Anno: 2015
Durata: 82 min
MyAnimeList

Akihito Kanbara, per metà umano e per metà yōmu, è invulnerabile alle ferite per la sua capacità di guarigione rapida. Un giorno s’imbatte nella studentessa del primo anno Mirai Kuriyama, mentre questa è in procinto di buttarsi giù dal tetto della scuola. La ragazza è tenuta a distanza dagli altri studenti a causa della propria abilità nel manipolare il sangue. A seguito del salvataggio di Mirai da parte di Akihito, gli eventi prendono una piega inaspettata e turbolenta.

 

Kyoukai no kanata è un anime spettacolare: protagonisti con super poteri, scontri grandiosi, la nascita di una tenera storia d’amore (anche se ovviamente un bacio i produttori non ce lo vogliono concedere), momenti comici e personaggi bizzarri.
Akihito, un ragazzo apparentemente normale, in realtà è per metà yōmu e dentro di lui si nasconde questo demone che, se risvegliato, ha una forza distruttiva immensa. Inoltre è fissato con le ragazze che indossano gli occhiali ed è membro del club di letteratura. Gli altri membri di questo club sono Hiroomi e Mitsuki, rispettivamente fratello e sorella che appartengono alla famiglia dei Nase e hanno l’abilità di creare delle barriere per riuscire a respingere gli attacchi degli yōmu. Infine incontriamo Mirai, una dolce ragazzina che indossa degli occhiali rossi, che scopriamo essere stata ingaggiata per uccidere Akihito. Ma è proprio la difficoltà di portare a termine la missione affidatale che porteràcomplicazioni all’interno della storia.

Per coloro che hanno visto l’anime questo film sarà principalmente un tuffo indietro, grazie al quale ripercorrere le tappe fondamentali della storia (non ci sono scene nuove, sono infatti tutte tratte dagli episodi). Per quelli che invece non l’hanno visto, sarà un po’ difficile seguire tutti i passaggi tra le scene, perché alcuni nessi non sono ben chiari avendo dovuto riassumere 13 episodi in un’oretta e mezza scarsa.

Quello che personalmente non mi ha convinto di questa serie animata è stato il finale un po’ forzato. Non sembra esserci una spiegazione logica e sembra costruito in modo da rendere felici gli spettatori. Di conseguenza alla notizia che ci sarebbe stato un film, tutti noi fans abbiamo esultato perché forse il finale avrebbe potuto avere un senso. Questo non è ancora dato saperlo, in quanto è necessario aspettare l’uscita del prossimo film sottotitolato. Per fortuna, dopo i titoli di coda di questa prima parte, c’è una preview di quello che succederà nel seguito e da quelle poche immagini si preannuncia un film fenomenale.

rating 4
annafirma

Recensione: Lezioni di piano di Jane Campion

Buongiorno a tutti! L’altro giorno ho assistito all’esame finale di una mia amica che ha frequenta l’accademia di musical ed è stata una grande emozione per me aver visto come è cresciuta in questi anni. Mi mancano un po’ le nostre canticchiate insieme durante i cambi dell’ora, ma per fortuna ci sono i messaggi audio su whatsapp che mi permettono di condividere le canzoni che mi attraversano le mente xD.
Ma torniamo al film di oggi. Guardando tra quelli diretti da donne – per spuntare la voce nella Movie Challenge – ho trovato questo film della regista neozelandese Jane Campion che mi ha incuriosito subito e quindi ora potete leggere cosa ne penso.

lezioni di piano
Titolo: Lezioni di piano
Titolo originale: The piano
Regia: Jane Campion
Anno: 1993
Durata: 121 min
IMDB

Siamo nel 1852. La protagonista è una donna con problemi di comunicazione con gli altri. È muta, vedova con una figlia, e per convenienza familiare deve sposare uno sconosciuto. Si trasferisce quindi dalla Scozia per raggiungere il nuovo marito in un’isola sperduta in Nuova Zelanda, portando con sé il suo prezioso pianoforte. Non le è però concesso di suonare il piano, sua unica consolazione. Un vicino di casa, maori convertito, l’aiuta a recuperare il piano che il marito rifiuta, e diventa il suo amante tra lo scandalo della piccola comunità locale. Dopo colpi di scena degni di un melodramma, il lieto fine è d’obbligo.

 

La storia di per sé è molto intrigante ma è stata sviluppata male. Il matrimonio con uno sconosciuto che abita dall’altra parte del mondo è un qualcosa che abbiamo visto in altri film, la cosa “nuova” è il fatto che lei fosse muta e che solo tramite la figlia che funge da interprete riesce a comunicare con gli altri. Ma non mi sono piaciute le forzature della storia, come il nuovo marito sembra fregarsene di lei fino a che non scopre di essere tradito, o come lei, inizialmente sotto ricatto del vicino maori, di colpo se ne innamora e si concede a lui. Sono molte le scene che non si incastrano bene l’una con l’altra, sembra quasi che non ci sia stato abbastanza tempo per raccontare tutta la storia e quindi la regista abbia saltato dei pezzi e reso tutto più veloce.

Durante il film c’è un’atmosfera gotica che avvolge la protagonista: il dramma della perdita del marito, il ritrovarsi sposata a uno uomo che non ha mai visto, il disagio del posto in cui vivono, il non poter suonare liberamente il pianoforte. Sembra quasi che non ci sia possibilità, per lei, di riuscire a ottenere una vita serena. Dopo sofferenze varie ed eventuali, la regista le concede comunque il suo happy ending. Non vuole essere un film pessimistico, ma questo finale così pieno di voglia di vivere che ci viene raccontato negli ultimi cinque minuti del film, non saprei, mi è sembrato un po’ forzato.

Nonostante la trama sia stata portata avanti in maniera un po’ confusa, la recitazione era davvero buona, tanto che sia l’attrice che interpreta la protagonista che quella che fa la figlia hanno vinto un Oscar. Nonostante questo, non sono riuscita a farmi coinvolgere dal film; solitamente mi immedesimo nei personaggi o mi immergo nella storia rimanendone affascinata o schifata a seconda che il film mi sia piaciuto o meno. Questa volta però niente, solo una delusione nei confronti di un film che,secondo me, poteva dare di più. Cosa veramente mi è piaciuto del film sono la colonna sonora (e ovviamente i pezzi in cui la protagonista suona il pianoforte) e le inquadrature dei paesaggi spettacolari della Nuova Zelanda.

rating 2
annafirma