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Recensione: Big Hero 6 di Don Hall & Chris Williams

Ciao a tutti! L’altra sera dovevo andare a correre con la mia coinquilina, ma l’aver fatto tardi in biblioteca e il freddino che c’era fuori ci hanno fortemente scoraggiate. Alla fine abbiamo optato per restare a casa e guardarci un film: la scelta è ricaduta proprio su “Big Hero 6”.

Ammetto che ero un po’ sul chi va là quando ho sentito dell’uscita di questo film perché si allontana da quello che secondo me è sempre stato lo stile Disney, essendo cresciuta con i grandi classici del geniale Walt. Inoltre non era facile superare il grande successo ottenuto dal penultimo film “Frozen” di cui mi ritrovo ancora oggi, dopo già un anno, a cantare a squarciagola le canzoni! Comunque essendo una grande fan Disney mi sono fidata dei creatori e sono rimasta incollata con gli occhi allo schermo per tutto il film continuando a ripetere “wow”.




Titolo: Big Hero 6
Titolo originale: Big Hero 6
Regia: Don Hall, Chris Williams
Anno: 2014
Durata: 102 min
IMDB


Big Hero 6 è una commedia d’avventura ricca d’azione sul ragazzo prodigio esperto di robot Hiro Hamada, che impara a gestire le sue geniali capacità grazie a suo fratello, il brillante Tadashi e ai suoi amici: l’adrenalica Go Go Tamago, il maniaco dell’ordine Wasabi No-Ginger, la maga della chimica Honey Lemon e l’entusiasta Fred. Quando una serie di circostanze disastrose catapultano i protagonisti al centro di un pericoloso complotto che si consuma sulle strade di San Fransokyo, Hiro si rivolge al suo amico più caro, un robot di nome Baymax, e trasforma il suo gruppo di amici in una squadra altamente tecnologica, per riuscire a rivolvere il mistero.

Una delle cose che mi ha fatto sorridere fin dall’inizio del film è che i protagonisti sono tutti dei nerd, quindi essendo io un po’ nerd, mi sono sentita subito coinvolta. Ognuno è particolare e un po’ disagiato a modo suo, ma sono delle persone affidabili e con un gran cuore, volendo essere di supporto a Hiro nel momento più drammatico, quello cioè della morte del fratello. Il tabù Disney della perdita di una persona cara viene presentato senza veli e costituisce il punto di partenza di una maturazione del protagonista.

Saltano all’occhio gli evidenti richiami con il Giappone, partendo dal nome della città, San Fransokyo, dagli occhi leggermente a mandorla di Hiro, fino ad arrivare una sorta di fusione del paesaggio urbano delle due metropoli, dove la modernità della capitale nipponica si fonde con la rilassata baia californiana. Ma è da questa sorta di fusione tra Occidente e Oriente che nasce Baymax, un robot infermiere che accudisce le persone e che ricorda un po’ il Totoro dello Studio Ghibli. Se a prima vista può sembrare una specie di omino Michelin con un volto inespressivo e senza niente di vagamente tenero, preparatevi a ricredervi: Baymax infatti conquista lo spettatore con il suo modo goffo e adorabile di prendersi cura di Hiro. La sua mole e il fatto di essere molto ingombrante fanno in modo che si muova in maniera molto buffa e lenta, dando luogo a scene davvero esilaranti.

Anche il modo in cui scansiona le persone per analizzarne la salute psico-fisica è originale e ben spesso porta a delle diagnosi inaspettate e formulate brillantemente. Il legame che si instaura tra Hiro e Baymax diventa sempre più forte e entrambi imparano l’uno dall’altro; diciamo che rappresenta un ideale compagno di avventure, la sua ingenuità e la sua dolcezza non ti danno alternative costringendoti ad amarlo e a desiderare di averne uno tutto per te!

Big Hero 6 costituisce anche la rivisitazione in chiave disneyana di un fumetto Marvel, quindi vedremo i protagonisti che si ritrovano a dover fronteggiare un grande pericolo e sfruttando il loro fattore nerd si creano degli equipaggiamenti davvero sorprendenti. Questa sorta di upgrade generale coinvolge anche Baymax che diventa un vero e proprio eroe.

Una carica supereroica insieme a quel pizzico di dramma e alla geniale sceneggiatura sono gli ingredienti che danno vita a una moltitudine di scene indimenticabili e ad un film d’animazione letteralmente spettacolare.


Recensione: Quartet di Dustin Hoffman

Buongiorno a tutti! Siamo ormai in pieno periodo esami e spesso dopo una pesante giornata di studio ti trovi sdraiato sul letto e quel film che da tanto avevi progettato di guardare dopo cena, diventa di colpo mission impossible. Il film di oggi è un filmetto leggero e simpatico che ho visto in una di queste ‘sere da coma’.

Un angolo felice della campagna inglese ospita Beecham House, casa di riposo per musicisti e cantanti. Ogni anno, in occasione dell’anniversario della nascita di Giuseppe Verdi, gli ospiti organizzano un gala e si esibiscono di fronte ad un pubblico pagante per sostenere Beecham e scongiurarne lo smantellamento. Ma ecco che la routine di Reggie, Wilf e Cissy viene sconvolta dall’arrivo a pensione di Jean Horton, elemento mancante e artista di punta del loro leggendario quartetto, nonché ex moglie di un Reggie ancora ferito.


  • Titolo: Quartet
  • Titolo originale: Quartet
  • Regia: Dustin Hoffman
  • Anno: 2012
  • Durata: 98 min
  • IMDB

Ebbene sì, questo film si svolge proprio all’interno di una casa di riposo e i nostri protagonisti sono dei simpatici vecchietti. Posso già immaginare come a molti, un film come questo possa sembrare noioso e smorto ma fidatevi che invece è divertente e piacevole. Dustin Hoffman si propone al pubblico per la prima volta come regista proprio con questo film: non ci sono pretese, non si vogliono lanciare messaggi e non ci sono grandiosi effetti speciali. La narrazione è semplice e un po’ sbrigativa ma le battute sono buone e frizzanti.


Effettivamente, non dobbiamo dimenticare che non è una normale casa di riposo in quanto coloro che vi abitano sono tutti cantanti lirici e musicisti che una volta si esibivano nei teatri più importanti. E’ molto buffo infatti quando, all’inizio, questi vecchietti vengono inquadrati nel loro tempo libero e cosa fanno? Tutti insieme provano un aria di un’opera ma nella maniera più tranquilla e rilassata, chiacchierando nel mentre e prendendosi in giro su chi sia calante o meno preciso degli altri. La resa di queste scene ma anche del film nel suo complesso, è data dall’utilizzo di veri e proprio cantanti e musicisti. L’unica pecca è che se uno spera di sentir cantare Jean (Maggie Smith) che viene presentata come stella della lirica, le sue aspettative purtroppo verranno inevitabilmente deluse. Ciò non toglie però che l’interpretazione del personaggio sia elegante e degna di rispetto.

L’arrivo di Jean nella casa rappresenta un evento di sconvolgimento per i protagonisti, in quanto lei e l’ex marito, che non l’ha ancora perdonata per averlo lasciato molti anni addietro, non possono sopportarsi a vicenda. Nonostante alcune note di malinconia rivolte al passato, Wilf e Cissy cercano di aiutare Jean e Reggie a cercare di superare i loro diverbi, anche perchè un tempo loro erano il quartetto diventato famoso grazie alla spettacolare esecuzione del Rigoletto di Verdi. E quale migliore occasione dell’annuale concerto della casa per eseguire questo brano in memoria delle glorie del passato? Quest’impresa non sarà facile perchè i nostri adorabili vecchietti sono anche delle persone piuttosto cocciute.

Il film è in un certo senso atipico e a prima vista può sembrare non convincente, ma è molto carino e, passatemi il termine, “dolce” in quanto questi vecchietti ti mettono davvero un sacco di tenerezza. A mio parere rappresenta una valida alternativa per quelle serate in cui si vuole guardare un bel film non impegnativo e l’occasione giusta per lasciare che una piacevole storia ti scaldi il cuore.


Recensione: You’re not you di George C. Wolfe

Ciao a tutti e buon anno! Tra i miei propositi per quest’anno ho inserito la Movie Challenge e con il mio primo post del 2015 depenno soddisfatta “Un film di un attore/attrice che ami e che non hai ancora visto”. L’attrice in questione è Hilary Swank e il film che vi propongo dovrebbe uscire a marzo al cinema, ma avendolo trovato in internet in inglese non sono riuscita a resistere e l’ho guardato. Quindi in anteprima per voi “You’re not you”.

Kate è una pianista a cui viene diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica. Suo marito Evan cerca di trovare qualcuno che si prenda cura di sua moglie. Bec, uno studentessa di college, si offre per il lavoro, nonostante la sua mancanza di esperienza. Kate vede qualcosa di speciale in Bec e vuole avere lei come assistente per le sue cose quotidiane. Kate e Bec si aiuteranno a vicenda a vivere la loro vita e trovare la loro strada nel mondo.



  • Titolo originale: You’re not you
  • Non ancora disponibile in italiano.
  • Regia: George C. Wolfe
  • Durata: 102 min
  • Anno: 2014
  • IMDB

Il film inizia con Kate che si prepara per questo cocktail party che lei e suo marito hanno organizzato nella loro impressionante e bellissima casa. Tutto procede bene ma quando gli amici di Kate le chiedono di suonare il pianoforte e lei si inceppa una volta nell’esecuzione e nota come la sua mano destra inizi a tremare. Poi, il film si proietta un anno e mezzo dopo e vediamo che viene ripetuta la scena in cui Kate si prepara per la sua giornata, solo che questa volta è il marito che la lava, la veste e la trucca;la malattia di Kate, infatti, è progredita molto velocemente.
Ha appena licenziato la sua infermiera perché la faceva sentire ‘una paziente’ e la persona che si presenta per prendere il suo posto è Bec, che, nonostante l’impatto iniziale negativo, viene assunta.


La prima cosa che si percepisce durante la visione del film è il grande contrasto che c’è tra queste due donne: Kate è una persona fortemente ferita dalla sua attuale condizione e controllata dal marito, Bec invece è una ragazza molto istintiva che riesce a malapena a gestire la sua vita super incasinata. Ma forse è proprio il fatto che sono così diverse tra loro che permette a entrambe di avere una crescita lungo il film. Bec impara innanzitutto ad avere rispetto per sé stessa e ad essere una persona affidabile, mentre Kate riesce a dare voce alle sue emozioni e sentimenti attraverso il supporto di Bec, sopratutto nel momento in cui scopre che il marito l’ha tradita.

Una scena che mi è rimasta impressa è quando Kate chiede di prendere in braccio il figlio appena nato di una sua amica, ma inizia a tossire convulsamente e il bambino, che piange, sta quasi per cadere. In disparte, lei confessa a Bec che vorrebbe urlare perché non ce la fa più a sostenere il peso delle delusione che sta dando alle persone a lei care, ma le difficoltà respiratorie non glielo permettono, quindi la ragazza si offre di urlare per lei. Kate si sforza di essere “normale” ma gli altri non riescono ad andare oltre quella che è la sua malattia, a vederla per la persona che è veramente.

La malattia tronca alcune sue relazioni, ma le permette di conoscere nuove persone genuine che le portano serenità nella sua routine. Soprattutto una stravagante signora che ha la stessa malattia, la quale al loro primo incontro durante una sessione di esercizi in piscina le propone una cura non proprio consigliata dai medici e alla fine si ritrovano a fumare erba in salotto.

Il titolo “You’re not you” secondo me si riferisce al fatto che la malattia non permette a Kate di essere sé stessa e di fare le cose che le piacciono. In un certo senso si sente estraniata da quella che era la sua realtà quotidiana e si trova prigioniera in un corpo che non risponde ai suoi comandi. Si sente invisibile e l’unica che sembra vederla veramente è Bec, che ha imparato a conoscerla e a capire quello che Kate vuole veramente. Le due riescono a trarre il meglio l’una dall’altra e a costruire un’amicizia che supera i confini della malattia.


La trama ricorda un po’ quella del film ‘Quasi amici’ e alcuni potranno dire che è un po’ banale. La grandezza del film però sta nel come viene narrata l’incapacità della protagonista dovuta alla malattia. La performance superba di Hilary Swank riesce davvero a trasmettere tutte le differenti e complesse sfumature emotive del personaggio di Kate. Inoltre l’attrice riesce a dipingere il declino delle caratteristiche fisiche con incredibile dettaglio, al punto dove lei diventa incomprensibile a causa delle sempre più crescenti difficoltà nel parlare. Il suo sguardo di rassegnazione quando si sforza di girare la pagina di una rivista o lo sconforto quando gli sconosciuti tentano di stringerle la mano sono i particolari che fanno capire come la Swank sia riuscita a dare consistenza e profondità al suo personaggio.

Vorrei tanto dire qualcosa sul finale ma mi trattengo perché vorrei che anche voi possiate guardare questo film e immergervi in questa storia toccante. Posso solo assicuravi che il finale non è banale e sarà degno delle vostre aspettative. Vi lascio solo come indizio questo pezzo tratto dalla canzone cantata da Bec con cui si chiude il film:

“And guess what – life is messy
And if I learned anything
At least I’m falling forward
Because of you”.


Recensione: Interstellar di Christopher Nolan

Buongiorno a tutti! Eccoci qui con la mia ultima recensione per quest’anno 2014. Spero che i film proposti finora vi siano interessati altrimenti ci rivediamo l’anno prossimo con altri film emozionanti! Per concludere, vorrei sottoporvi una pellicola che è uscita nelle sale il mese scorso e una settimana fa ho avuto la fortuna di vedere al cinema: “Interstellar”.

Un piaga sta uccidendo i raccolti della Terra, da diversi decenni l’umanità è in crisi da cibo e quasi tutti sono diventati agricoltori per supplire a queste esigenze. La scienza è ormai dimenticata e anche ai bambini viene insegnato che l’uomo non è mai andato sulla Luna, si trattava solo di propaganda. L’ex astronauta Cooper, mai andato nello spazio e costretto a diventare agricoltore, scopre grazie all’intuito della figlia che la NASA è ancora attiva in gran segreto, che il pianeta Terra non si salverà, che è comparso un warmhole vicino Saturno in grado di condurli in altre galassie e che qualcuno deve andare lì a cercare l’esito di tre diverse missioni partite anni fa. Forse una di quelle tre ha scoperto un pianeta buono per trasferire la razza umana e in quel caso è già pronto un piano di evacuazione. Andare e tornare è l’unica maniera che Cooper ha di dare un futuro ai propri figli.


  • Titolo: Interstellar
  • Titolo originale: Interstellar
  • Regia: Christopher Nolan
  • Durata: 169min
  • Anno: 2014
  • IMDB

Quando uno pensa a Nolan, pensa a grandiose ambientazioni, inquadrature efficaci e studiate per esaltare l’azione. Dopo i grandi successi come ‘The prestige’, ‘Inception’ e la trilogia di ‘Batman’, con questo film Nolan si riconferma regista di gran talento e fama.
Il punto di forza del film sono appunto le scenografie spettacolari che permettono di vivere appieno l’avventura che il regista ci propone. La cosa del film che mi ha colpito più di tutto sono i silenzi spaziali. Mi spiego meglio: ci sono dei momenti in cui viene ripreso lo spazio e vi è l’assenza totale di rumori, anche quando esplode qualcosa. Questo silenzio assordante è strano e assurdo, decisamente un’idea geniale. É un espediente di grande impatto sul pubblico e mi è piaciuto un sacco.

Per quanto riguarda la trama, intrigante e affascinante si, ma troppo. Nel senso che secondo me ha abusato di trovate fanta-scientifiche perché un po’ ci sta ma sono troppe cose insieme e alla fine del film, ti trovi li seduto sulla sedia e ti chiedi: “Ma che cosa è successo??” Hai tipo una sensazione di sbandamento e senti il bisogno di chiarire le idee. Ma alla fine non puoi che ammettere che è stato davvero un gran film.
Un po’ mi ha lasciato di stucco il personaggio interpretato da Matt Damon, che per la prima volta ho visto recitare un ruolo perfido. Il suo personaggio è un tale infame, mentre lui bellino, che boh, ti lascia un che di amaro in bocca.

Detto questo, il film merita di essere visto perché è davvero un’ottimo connubio tra scenografie, musiche e recitazione. Preparatevi perché 2h e 40 di film vanno affrontati con una serie di snack a portata di mano per poter sempre tenere alto il livello di concentrazione!