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In vetrina: Andare avanti di Christian Cappello

Buon pomeriggio. Secondo post di oggi e siamo qui a presentarvi un libro un po’ differente dal solito. Un libro che esce oggi e che racconta una storia vera,
la storia di un viaggio – fatto rigorosamente a piedi – che attraversa tutta italia visitando centri di ricerca sulla fibrosi cistica e ospedali, alla ricerca di fondi per dare un sorriso a tante persone che soffrono.

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Titolo: Andare avanti
Autore: Christian Cappello
Editore: Mondadori
Data di pubblicazione: 10 ottobre 2017

«A un certo punto Marta mi prese la mano e mi confessò: “Nulla mi fa più felice che aiutare il prossimo, Christian. Credo che sia doveroso far qualcosa in più per sostenere chi ha bisogno. Mi sta girando nella testa un’idea: un viaggio itinerante in Italia per raccogliere fondi per la ricerca sulle malattie rare. Sarebbe anche un modo per farle conoscere alla gente”. La sua mano mi trasmetteva un’incredibile energia, i suoi occhi erano colmi d’amore, l’amore per il prossimo.»
Christian Cappello e Marta Lazzarin sono una giovane coppia all’apice della felicità: insieme hanno girato il mondo, insieme hanno creato un coinvolgente lavoro nella new economy e costruito la loro casa. E ora aspettano il loro primogenito di cui hanno già deciso il nome: Leonardo. Tutto procede per il meglio, ma all’improvviso Marta muore in modo fulminante. E con lei se ne va anche il bambino che porta in grembo. Dopo settimane di sorda disperazione, Christian si ritrova a camminare lungo un sentiero, come in trance, per diverse ore. Quando rientra in sé, sente di essere preda di un’insolita euforia fisica e di una nuova consapevolezza: il progetto che Marta gli aveva accennato a Natale – aiutare le persone colpite dalle malattie rare – sarà anche quello della sua rinascita.
Christian fonda quindi la onlus Marta4kids e si mette in cammino. Impiegherà quasi un anno per visitare di persona i ventisette centri di ricerca sulla fibrosi cistica sparsi in tutto il territori italiano. Camminerà a costo zero, raccogliendo soldi per la onlus e ospitalità per sé. Incontrerà migliaia di persone, malati di ogni tipo, familiari, medici, giornalisti, sindaci e semplici curiosi. A tutti racconterà che il senso della vita, anche quando è la vita stessa ad apparire ingrata e ingiusta, è l’amore per gli altri: l’ultima, semplice lezione di Marta. Questo libro è il diario di una avventura vera, partita da Bassano il 2 aprile 2016 e continuata per oltre quattromila chilometri di eccezionale solidarietà.

 

Christian Cappello

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Christian Cappello (Bassano, 1977) è un celebre blogger di viaggi. È il fondatore di blogdiviaggi.com.

Recensione: Guida Galattica per gli Autostoppisti di Douglas Adams

Buongiorno! È giunta l’ora di rimboccarmi le maniche e scrivere sta benedetta recensione che rimando da troppo tempo. Per darmi una mossa settimana scorsa ho deciso che avrei pubblicato oggi, in occasione nientepocodimeno del Towel Day che ho scoperto cadere proprio il 25 maggio!
Qualcuno di voi forse ha già capito di che libro vi voglio parlare: Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams.

guida galattica per gli autostoppisti cover
Titolo: Guida galattica per gli autostoppisti
Titolo originale: The Hitch Hiker’s Guide to the Galaxy
Autore: Douglas Adams
Editore: Mondadori
Disponibile in italiano:
Goodreads

Lontano, nei dimenticati spazi non segnati sulle carte del limite estremo e poco à la page della Spirale Ovest della Galassia, c’è un piccolo e insignificante sole giallo.
A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c’è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro-verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano una brillante invenzione…

 

Ebbene sì. Sono arrivata a scrivere questa recensione, anche se non sono ancora convinta che riuscirò a scrivere delle cose interessanti/sensate. Per il sensate poco male, sarei in linea con il libro. Per l’interessanti potrebbe essere più un problema. Ma, come mi ha insegnato la Guida Galattica, ‘Don’t panic.’.

Partiamo dal presupposto che da sola non credo mi sarei mai imbattuta in questo libro (o nel film) senza una spintarella. E qui potrei perdermi ore a raccontarvi di quanti elogi a questo libro ho sentito, quante citazioni buttate lì in ogni contesto nella speranza di incuriosirmi. Potrei raccontarvi della nonchalance con cui mi è stato mostrato il film, ben sapendo che non mi sarei fermata lì. Ma mi limiterò a parlarvi del libro, mentre cerco il coraggio di affrontare gli altri 4 volumi.

Fantastico, veniamo a noi. Questo libro è follia allo stato puro. Credo dovrò leggerlo almeno altre due o tre volte prima di cogliere tutto – ce la posso fare, eh – ma per il momento va bene così. Si tratta però, secondo me, di una follia superficiale, nel senso che se la prima impressione è quella di trovarci a un racconto completamente sensa senso, in realtà non è proprio così. O meglio, il non-sense la fa da padrone, ma in realtà la storia ha delle basi più solide.

Douglas Adams, nascondendosi dietro un mondo e dei personaggi immaginati e una discreta dose di humor (inglese) vuole però portarci a pensare al senso della vita e dell’universo. Lo fa in modo non convenzionale, ma lo fa. Anche le risposte che ci dà non sono decisamente quelle che ci aspettiamo – o che vorremmo sentirci dare – ma ci sono e ci spingono ancora di più a cercare di farci un’idea nostra, magari considerando aspetti cui prima non avevamo mai pensato.

In Guida Galattica per gli autostoppisti ci sono poi alcuni aspetti che mi hanno fatto allo stesso tempo sorridere e pensare. Uno tra tutti il grande computer. Per farla breve e non spoilerare troppo, nell’astronave in cui si trovano i protagonisti troviamo un computer che risponde salutando e chidendo in cosa può essere utile se qualcuno lo chiama dicendo ‘Computer’. Ora, ai giorni nostri, la cosa ci sembra normalissima, siamo abituati a Siri/Ok Google/Cortana e quindi la cosa non ci crea problemi. Calcolate però che il libro è uscito nel 1979. Non so voi che ne pensate, ma la cosa mi è rimasta piuttosto impressa. Non stento a credere che al tempo il libro fosse fantascientifico in tutto e per tutto. Ora lo è un po’ meno…

Prima di piantarla con questi deliri, volevo spendere due parole sul mio personaggio preferito in assoluto: Marvin. Marvin è un robottino maniaco depressivo che semplicemente adoro. È così triste e abbattuto in ogni occasione che non può che fare tenerezza, oltre a far spesso ridere per come esagera le situazioni.

– Non sentirti in dovere di prestarmi un po’ di considerazione, ti prego – disse Marvin con un ronzio soffocato.
– Ma come stai, robot?
– Sono molto depresso.
– Cosa ti bolle in pentola?
– Non lo so – disse Marvin. – Non uso mai le pentole.
Ford, tremando dal freddo, si accovacciò accanto al robot.
– Perché stai sdraiato a faccia in giù nella polvere? – disse.
– Perché è un ottimo modo per sentirsi ancora più disgraziati di quello che si è. Non far finta di provare desiderio di parlarmi, so che mi odii.

Piccola nota sulla traduzione. Cosciente di non parlarne mai, stavolta mi è venuto il pallino di chiedere ad una fonte di cui mi fido – e che l’ha letto sia in originale che tradotto in italiano – una delucidazione. Durante la lettura mi sono infatti ritrovata a pensare alla complessità di una traduzione piena di parole composte e inventate che hanno senso solo se unite e prese così come sono. Il verdetto è che sia stato tradotto molto bene, mantenendo il senso originale anche dei dettagli.

Un’altra cosa che era stata dimenticata era che, contro tutte le probabilità, un capodoglio era stato d’un tratto portato in vita molte miglia sopra la superficie di un pianeta alieno.
E poiché quella di stare sospese in aria non è una peculiarità delle balene, la povera creatura innocente ebbe ben poco tempo di riflettere sulla propria identità di balena, prima di accettare il fatto di non essere che un’ex-balena.
Qui di seguito riportiamo i suoi pensieri dal momento in cui la sua vita cominciò fino al momento in cui finì.
– Ah…! Cosa succede?
– Ehm, scusate, chi sono?
– Ehi?
– Perché sono qui? Qual è lo scopo della mia vita?
– Cosa intendo dire con chi sono?
– Calmati ora, controllati… oh! questa è una sensazione interessante… cos’è? È una specie di… di formicolio nel… nel… be’, immagino sia meglio cominciare a dare dei nomi alle cose, se voglio far progressi in quello che chiamerò mondo… Allora dirò che il formicolio è nello stomaco.
– Bene. Ohhh, si sta facendo molto forte. E, ehi, cos’è questo fischio che mi passa accanto a quella che chiamerò subito testa? Lo chiamerò… lo chiamerò vento! Che sia un nome adatto? Ma sì, per il momento può andare, poi gli troverò un nome migliore quando capirò a cosa serve. Dev’essere molto importante, questo vento, perché mi pare che ce ne sia un casino, qua. Ehi! Cos’è questa? Questa… la chiamerò coda, sì, coda. Ehi! La posso agitare in qua e in la! Wow!
– Wow! Che bello! Non mi pare che si ottenga gran che agitandola, ma scoprirò poi a cosa serve.
– Dunque… a questo punto sono riuscita a farmi una rappresentazione coerente delle cose, o no?
– No.
– Non importa, in fondo è eccitante dover scoprire tante cose, non vedo l’ora di scoprire altre cose, ah! sono stordita dalla voglia di scoprire…
– O dal vento?
– Ce n’è davvero moltissimo di vento, vero? E wow! Ehi! Cos’è quella cosa che mi viene incontro a tutta velocità? È così grande, uniforme, rotondeggiante che ha bisogno di un bel nome sonante come… come… come terra! Sì! Che bel nome, terra!
– Di’, saremo amici, terra?

E il resto, dopo una botta tremenda, fu silenzio.

Curiosamente, l’unica cosa che pensò il vaso di petunie cadendo fu: “Oh no, non un’altra volta!” Molte persone hanno riflettuto che se noi sapessimo esattamente perché il vaso di petunie pensò così, sapremmo molte più cose sulla natura dell’universo di quante non ne sappiamo attualmente.

Dopo questa citazione – lunghetta sì, ma che porto nel cuore – non penso di dover aggiungere altro. Vi consiglio di leggerlo? Of course. Ma siate aperti e un po’ nerd, altrimenti finirà nel dimenticatoio dopo poche pagine.
Io intanto cerco il coraggio di iniziare gli altri visto che mi hanno detto che ‘Dopo aver letto i seguiti, Guida Galattica ti sembrerà avere senso.’.


kiafirma

Recensione: Cose che non voglio dimenticare di Lara Avery

Buongiorno! Vi dirò che tutti i viaggi in treno di aprile un po’ mi mancano. Senza quelli ho decisamente meno tempo per leggere, ma posso farcela. L’ultima vittima è stata ‘Cose che non voglio dimenticare’ di Lara Avery.
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Titolo: Cose che non voglio dimenticare
Titolo originale: The memory book
Autore: Lara Avery
Editore: Mondadori
Disponibile in italiano:
Goodreads

“Se stai leggendo queste parole, probabilmente ti stai chiedendo chi sei. Sei me, Samantha Agatha McCoy, in un futuro non troppo lontano. Sto scrivendo queste righe per te. Dicono che la mia memoria non sarà più la stessa, che comincerò a dimenticare le cose. Per questo ti scrivo. Per ricordare.” Samantha aveva in testa un piano ben preciso. Per prima cosa vincere il campionato nazionale di dibattito, poi trasferirsi a New York e diventare un affermato avvocato per i diritti umani. E infine, ovviamente, conquistare Stuart Shah, il ragazzo di cui è pazza.

Tra lei e i suoi progetti però si mette in mezzo la rara malattia genetica di cui è affetta e che poco alla volta – così dicono i medici – le porterà via la memoria e la salute.

Ma tutto si può dire di Sammie tranne che sia una diciassettenne che si abbatte facilmente. A un destino tanto assurdo, infatti, decide di opporsi con tutte le sue forze. E lo fa nell’unico modo che conosce: scrivendo. In un diario assolutamente non convenzionale, indirizzato alla sua futura sé e ribattezzato Libro delle cose che non voglio dimenticare, inizia ad annotare tutti i momenti belli (e meno belli) della sua vita: dal riavvicinamento al suo più vecchio e caro amico ai mille modi che lui si inventa per farla ridere, al primo romanticissimo appuntamento con il suo grande amore. E poi, ancora, dalle persone che le hanno spezzato il cuore e quelle che glielo hanno “aggiustato”. Perché se davvero lei dovrà andarsene presto, almeno lo farà con la consapevolezza di aver prima assaporato tutto ciò che la vita poteva regalarle. Un romanzo tenero e delicato, una storia struggente che non abbandonerà facilmente il lettore, neanche dopo che avrà letto l’ultima pagina e riposto il libro sullo scaffale.

 

Ho preso in mano questo libro perché trovo che abbia una copertina davvero bellissima. Chi mi conosce/legge sa che sono particolarmente sensibile sul discorso copertine e, se una mi prende, non c’è trama che mi possa far desistere. Con questo è stata proprio così, anzi, tanto per cambiare la trama non l’avevo nemmeno letta. Quindi non sapevo bene cosa aspettarmi.
L’idea, la base del libro, comunque, è delineata fin dalle prime pagine.

Samantha, la protagonista, si ritrova all’improvviso a dover fare i conti con una malattia genetica – la Niemann-Pick di tipo C – che le toglierà più o meno velocemente la memoria e la capacità di muoversi autonomamente. Ma Sammie ha già grandi progetti per il suo futuro: vuole andare al college alla New York University, studiare giurisprudenza e entrare nell’ONU.
Oltre ovviamente a fare quello che fanno i ragazzi della sua età: scoprire l’amore.
Ma la malattia si mette in mezzo, accartoccia le certezze e i progetti di Sammie come fossero un foglio di carta e li calpesta. La mette di fronte all’incapacità di gestire appieno la sua vita, di essere padrona delle sue scelte e di seguire i suoi sogni.
Non è mai stata brava ad aprirsi, parla solo nei dibattiti della squadra scolastica. E quindi scrive. Inizia a tenere una specie di diario in cui racconta alla futura sè tutto quello che le sta succedendo e alcuni aneddoti dei suoi primi 17 anni di vita.

Dal diario è evidente l’avanzare della malattia. Quello che è un racconto dettagliato, schematico e coerente all’inizio, perde sempre più la sua perfezione, fino a trasformarsi in frasi sconnesse e senza senso verso la fine del libro, sopratutto durante gli attacchi di perdita di memoria di Samantha.

“Non lo so, mamma. Adesso che sto per diplomarmi, conto di essere più spontanea.”
La mamma ha aperto gli occhi ed è scoppiata a ridere.
Ho aggiunto: “Ho messo la spontaneità in calendario per martedì prossimo”.

I personaggi, protagonisti e non, soprattutto i giovani, sono secondo me molto stereotipati. Nel senso che ognuno rappresenta una figura che possiamo trovare in ogni scuola del mondo e che si porta dietro caratteristiche precise.
La secchiona asociale, quello sensibile che per nasconderlo fuma erba, quello figo e misterioso e via dicendo. Sono figure che non sono propriamente descritte nel dettaglio, ma il loro essere figure ‘di default’ ce li fa sembrare conosciuti e in un certo senso familiari.

Devo ancora effettivamente capire se mi è piaciuto questo libro. Mi spiego meglio. L’ho letto volentieri e lo consiglierei. Ci fa pensare a quello che abbiamo, alle cose che diamo per scontate ogni giorno, ma che potrebbero mancarci da un momento all’altro. Dall’altro non mi ha convinta. Trovo che l’idea di fondo dell’autrice sia molto buona, interessante e ricca di spunti, ma che non sia stata sviluppata al massimo delle sue potenzialità, anzi. Molti argomenti importanti vengono accennati, ma abbandonati senza dettagli. Prima tra tutte la malattia di Samantha, di cui non sappiamo quasi nulla alla fine, così come la sofferenza della protagonista per il fatto di vivere in montagna e quindi fuori dal mondo, l’omosessualità della sua migliore amica, l’incapacità di farsi accettare a scuola all’interno di un gruppo.
L’altra cosa che non mi ha convinta è stata la velocità della conclusione. Nel momento in cui la lettura ti prende ti ritrovi con il finale ’bomba a mano sui sentimenti’ e finisce tutto. Magari sono io che mi aspettavo qualcosa di diverso, ma ci ho trovato troppa Sammie sana che prevedeva di stare male e troppo poca Sammie che vive effettivamente questo gigantesco ostacolo che le piomba nella vita.

Credo che molte volte la gente faccia finta di divertirsi nelle foto in modo che gli altri pensino che si stanno divertendo. Bè, quella non è vista, giusto?
A volte la vita è davvero terribile. A volte ti porta una malattia strana.
Altre volte invece è davvero bella, ma mai in modo semplice.
E quando mi guarderò indietro, saprò che almeno ci ho provato.

In conclusione, quindi, trovo che sia un bel libro, ben scritto e scorrevole ma che purtroppo non mi ha convinta completamente.

E voi l’avete letto? Fatemi sapere che ne pensate 🙂

kiafirma

Recensione: The Mortal Instruments Series di Cassandra Clare

Buondì!
Oggi sono qui con una recensione diversa da solito. Non parlo di un libro solo, ma di una serie. Scrivere tutte le trame sarebbe stato troppo, quindi ho messo solo quella del primo volume, ma se cliccate sul link di GoodReads vi rimanda alla pagina dedicata alla serie dove potete leggere tutte le trame. Potrebbero esserci spoiler quindi leggete a vostro rischio e pericolo.

[ALT COPERTINA]
Titolo #1: Città di Ossa
Titolo #2: Città di Cenere
Titolo #3: Città di Vetro
Titolo #4: Città degli Angeli Caduti
Titolo #5: Città delle Anime Perdute
Titolo #6: Città del Fuoco Celeste
Autore: Cassandra Clare
Editore: Mondadori
Disponibile in italiano:
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La sera in cui la quindicenne Clary e il suo migliore amico Simon decidono di andare al Pandemonium, il locale più trasgressivo di New York, sanno che passeranno una nottata particolare ma certo non fino a questo punto. I due assistono a un efferato assassinio a opera di un gruppo di ragazzi completamente tatuati e armati fino ai denti. Quella sera Clary, senza saperlo, ha visto per la prima volta gli Shadowhunters, guerrieri, invisibili ai più, che combattono per liberare la Terra dai demoni. In meno di ventiquattro ore da quell’incontro la sua vita cambia radicalmente. Sua madre scompare nel nulla, lei viene attaccata da un demone e il suo destino sembra fatalmente intrecciato a quello dei giovani guerrieri. Per Clary inizia un’affannosa ricerca, un’avventura dalle tinte dark che la costringerà a mettere in discussione la sua grande amicizia con Simon, ma che le farà conoscere l’amore.

 

Di solito non scrivo recensioni di una saga intera, perché mi piace raccontare qualcosa di ogni libro della saga, trovare il modo di confrontarli, distinguerli. Con la saga di Shadowhunters – The Mortal Instruments, mi è risultato impossibile. I sei libri mi hanno dato la sensazione di essere stati scritti tutti insieme e poi essere stati spezzati perché pubblicare un libro di 3000 pagine non sembrava il caso.

The Mortal Instruments è una saga diversa da quelle che ho letto nel corso degli anni, sia come tematiche che come lunghezza. È una storia complessa e articolata che parla dei Nephilim, mezzi uomini mezzi Angeli che combattono per salvaguardare la terra dai demoni. Niente di nuovo, ma la Clare ha uno stile che cattura e non ti lascia staccare dalle pagine. Non si può però negare che abbia dei difetti.

La serie è stata scritta per un pubblico probabilmente più giovane di me, ma a volte ci sono stati momenti in cui mi stavano per cascare le braccia. Non sto a parlare di ogni singolo libro perché per ora, almeno nella mia mente, sono un libro solo diviso in capitoli. Il problema principale ce l’ho avuto con i due protagonisti che veramente arrivano a livelli ridicoli di paranoie e sdolcinatezze e tentativi poco riusciti di proteggere la propria età.
Le interminabili descrizioni di Jace come ragazzo perfetto me l’hanno fatto risultare un po’ insopportabile, ma ammetto che probabilmente qualche anno fa avrei sbavato anche io al sentir nominare capelli d’oro, occhi bellissimi e un fisico da favola tutto completato da un carattere da guerriero un po’ sarcastico e arrogante.

Clarissa non è l’eroina che mi aspettavo quando ho iniziato a leggere i libri, ma non si fa disprezzare. Ha voglia di mettersi in gioco, ha voglia di imparare ed è disposta, anche in maniera piuttosto stupida, a mettersi in pericolo per aiutare le persone che ama.

Incredibilmente ho apprezzato molto di più i personaggi secondari se così vogliamo chiamarli. Non so se grazie agli attori della serie tv o semplicemente perché sono carini insieme, shippo i Malec a livelli molto molto alti. Magnus è un personaggio assurdo ed è divertente e imprevedibile stargli attorno e seguirlo nella sua vita. Alec d’altro canto è uno Shadowhunters con i fiocchi, ligio alle regole che scopre piano a piano cosa vuol dire innamorarsi e lasciarsi un po’ andare. Capisce anche cosa vuol dire sbagliare e ferire qualcuno in modo quasi irreparabile e impara a chiedere scusa. Trovo che Alec sia il personaggio con un’evoluzione maggiore all’interno dei vari libri, cosa che non si può dire di Clary e Jace.

Isabelle e Simon, insieme a Luke, Jocelyn, i Lightwood, Maia e Jordan sono stati piacevoli da avere intorno e personaggi di cui ho letto molto volentieri. Trovo che la Clare non abbia dato abbastanza spazio a determinate questioni, come la morte degli amici o di persone conosciute, lasciando che i protagonisti superassero la cosa con qualche parola di conforto e basta. Non dico che dia un insegnamento sbagliato su come gestire il dolore di una perdita, ma trovo che non sia stata sfruttata l’occasione di mostrare come una perdita crei un vuoto nelle persone. Fa quasi sembrare normale che un branco di adolescenti veda morte e distruzione praticamente ogni giorno.

Insomma, i libri mi sono tutto sommato piaciuti e li consiglierei anche se con certi dubbi. Trovo che, per esempio, la saga della Clare ambientata a Londra, The Infernal Devices, sia nettamente superiore come qualità e crescita dei personaggi. Quei tre libri sono stati un piacere da leggere, ma magari ne parlerò più avanti. The Mortal Intruments rimane una serie che ha fatto un po’ la storia nel mondo dell’urban fantasy e in molti l’hanno apprezzata e la amano così com’è. Io l’ho trovata una serie molto carina e sono contenta di aver avuto finalmente l’occasione di finirla.


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