reading challenge 2016

Recensione: Hania. Il Cavaliere di Luce

Con la laurea alle porte e la tesi da scrivere, se si lavora bene durante il giorno, la sera sono quasi convinta che si possa leggere senza avere troppi rimorsi. Ovviamente, nel momento in cui posso leggere, inizio a storcere il nasino davanti a tutto. Ah, la vita dei lettori. Questa volta ho deciso di buttarmi sul primo capitolo di una serie per bambini. Sì, avete letto bene. Vi do due indizi: adoro alla follia l’autrice di questa serie e ho già recensito un suo libro. È proprio lei, Silvana De Mari, e il libro di oggi è Hania: Il Cavaliere di Luce, il primo libro della sua nuova trilogia.
hania
Titolo: Hania: Il Cavaliere di Luce (Hania #1) & Hania: Il Regno delle Tigri Bianche (Hania #0.5)
Autore: Silvana De Mari
Editore: Giunti Junior
Disponibile in italiano:
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Il Cavaliere di Luce è il primo romanzo di Hania, la trilogia di libri fantasy per ragazzi che racconta le avventure di Haxen, la principessa del regno delle Sette Cime, e di sua figlia Hania.

L’Oscuro Signore decide di dannare l’umanità e sceglie Haxen per dare alla luce la sua creatura. Per far sopravvivere la figlia Hania, Haxen è costretta a fuggire lontano, nel deserto.
La sua bambina, infatti, è una creatura straordinariamente intelligente e con capacità fuori dal comune, ma pur sempre una figlia del demonio. Per questo motivo le due sono braccate da inseguitori che vogliono la morte della figlia dell’Oscuro Signore.
Dalla loro parte c’è Dartred, un valoroso guerriero da sempreinnamorato della principessa.
Riusciranno il coraggio di Haxen e il valore di Dartred a tenere testa a chi vuole la morte di Hania e all’Oscuro Signore?

 

Partiamo da presupposto che adoro come scrive questa autrice. Ho riletto la serie dell’Ultimo Elfo alla noia, in particolare il primo volume. Amo le sue descrizioni, la sua capacità di farci sentire all’interno del suo libro. Ogni ambientazione è descritta nei minimi dettagli ma questo non rende minimamente noioso il racconto, anzi. Così come i paesaggi, anche i personaggi sono descritti molto bene, sia fisicamente che caratterialmente. È vero, è un libro per bambini, quindi i caratteri non hanno chissà quali sfaccettature complesse, si identificano senza grossi problemi buoni e cattivi, azioni giuste e sbagliate. Nonostante questo, come vi avevo già detto per l’Ultimo Elfo, sono convinta che le storie di questa autrice siano pienamente apprezzabili anche da parte di persone adulte. Trovo che la De Mari sia fantastica nel descrivere le emozioni e nel riuscire a farle provare a chi legge.
In termini di emozioni, secondo me, in questo libro ha dato moltissimo. L’amore di Haxen per la figlia, nonostante sia figlia del Male, che la porta a provare ad aiutarla. La bambina che nasce conoscendo solo il male e conosce tutte le altre emozioni mano a mano che cresce, vedendole in chi la circonda, soprattutto in sua madre.

Il libro racconta del percorso di Hania e sua madre, Haxen, attraverso il Regno delle Sette Cime. Fisicamente è questo. Ma in realtà è un percorso in un certo senso spirituale, in primis per la bimba, ma anche per la madre. Nata principessa, in mezzo agli agi, si ritrova presto senza il padre e con il nonno che muore lasciando dietro di sè solo una profezia oscura. Da lì in poi tutto va a rotoli, ovviamente, per poi, altrettanto ovviamente, riprendersi nel finale per dare una specie di lieto fine. Dico ‘una specie’ perché il finale è aperto al punto giusto da lasciarci sospesi in attesa del prossimo volume.

Haxen non è la solita principessa delle fiabe, però. Lei è un po’ stupida, non gliene va mai bene una e il cavaliere non arriva proprio subito a salvarla. Anzi, quando arriva le crea anche qualche problemino in più. Il tutto si fa più divertente perché visto dagli occhi malvagi ma allo stesso tempo ironici della figlia, Hania.

Quella che parlava quindi era una donna anziana e con una corona sulla testa. Quindi, quella era una regina. Da cui si deduceva che la donna in cui la bimba era stata concepita, Haxen si chiamava, essendone la figlia, doveva essere una principessa.
Perlomeno suo padre aveva scelto gente del fior fiore del patriziato, l’apogeo dell’aristocrazia: apprezzò la cortesia. Era già un’ignominia per lei, figlia dell’Oscurità più alta, essere esiliata in mezzo a quell’umanità lagnosa e fondamentalmente demente, che almeno ci si potesse stare con qualche comodità.
Haxen era in piedi, davanti alla propria madre, la regina. La bambina usò senza difficoltà la parola “madre” per l’anziana femmina, quella cioè che aveva concepito e partorito la femmina dentro cui lei si trovava.
Dovette invece fare uno sforzo per usarla per quest’ultima. Lei aveva un padre, un Padre e basta. Alla fine decise di chiamarla Haxen e pensare a lei come madre, con la prima lettera assolutamente minuscola.

La bambina mette un po’ d’ansia, a dirla tutta. Ok che è figlia del male in persona. Ma una bimba muta che piange e si dispera per le coccole della madre e che trova soddisfazione e divertimento nel catturare, scuoiare e mangiare i ratti ancora caldi un po’ di perplessità la lascia. Ma fa tutto parte del personaggio. Non fosse stata dipinta in maniera un po’ esagerata all’inizio tutto il processo di trasformazione che da un senso al libro sarebbe molto meno evidente e meno profondo. Quindi, pensandoci bene, ci sta.
E poi la bambina è uno spasso, perché d’accordo, è malvagia e dipinta come tale, però resta sempre un libro per bambini. E di un’autrice che sono convinta che sappia quello che fa. Quindi il tutto è portato un po’ al limite ma non un limite cattivo, un limite che sconfina nell’assurdo e nel divertente. Hania è un personaggio, insomma, un caratterino tutto suo ma in grado di farsi amare dai lettori così come, in fin dei conti, dalla madre.

Mi sento in dovere rendervi nota la necessità di leggere il prequel della serie ‘Hania: Il regno delle Tigri Bianche’, altrimenti si rischia di rimanere perplessi davanti a certi particolari della storia. È uno di quei prequel che secondo me potrebbero tranquillamente essere i primi capitoli del libro in sè, ma sono scelte.

hania il regno delle tigri bianche

Che altro dire? Il libro non mi ha entusiasmato tanto quanto la serie del piccolo Yorsh, ma devo dire che mi ha affascinata. Non so se il merito è della storia in sé o semplicemente dello stile unico dell’autrice, ma resta il fatto che non vedo l’ora che esca il secondo capitolo di questa serie.

rating 3.5

kiafirma

Recensione: A Season To Love di Nicole Deese

Nuova recensione ragazzi! Ammetto di aver fatto fatica a scriverla, ma mi sono ripromessa di scrivere recensioni anche quando sono senza ispirazione, altrimenti ne leggete una all’anno, considerano il periodaccio in cui siamo con l’università. Il libro viene da Netgalley e mi è davvero piaciuto. Spero vi possa interessare 😉

a season to love
Titolo: A Season To Love
Autore: Nicole Deese
Editore: Waterfall Press
Disponibile in italiano: No
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At this point in her life, bravery is not a trait Willa Hart would readily claim. She believes her seven-year-old daughter, Savannah, who never knew her father and successfully tackled chemotherapy, is truly the courageous one. Yet after Willa has a fateful encounter with handsome young doctor Patrick McCade, her outlook—and her view of herself—begins to change.

Patrick, a thrill-seeking world traveler and temporary resident of Lenox, Oregon, sets out to show Willa the value of adventure, even within her tiny town. But just when their friendship shows signs of turning into something more, Patrick’s life as a traveling doctor calls him back. Will his last days in town signal the end of their journey, or will Patrick and Willa find the courage to transform a single season into a lifetime?

I want to thank Netgalley for the opportunity to read this book in exchange for my honest opinion.

A Season To Love mi ha attirata su Netgalley principalmente per la sua copertina. Non è niente di particolarmente elaborato o strano, ma mi ha colpita e sono andata a leggere la trama. Poco dopo, il libro era sul mio Kindle. Per ora il mio proposito di leggere libri da Netgalley si sta realizzando, ma siamo solo ai primi mesi del 2016 quindi aspetto, giustamente, a cantare vittoria.

Il libro è uno standalone, quindi niente serie, niente trilogie, che negli ultimi mesi non reggo proprio più. Pare che scrivere più di un libro per raccontare una storia sia una moda e tutti cercano di allungare il brodo il più possibile, ma per fortuna non è questo il caso.

A Season To Love è una storia di crescita e sono rimasta piacevolmente colpita dal fatto che questa volta non sia una ragazzina ad intraprendere tale percorso, ma una donna adulta che deve imparare ad affrontare la vita a testa alta.
Willa ha affrontato cose che nessuno dovrebbe essere costretto ad affrontare, come la morte del marito giovanissimo e la diagnosi di cancro per la figlia. Dopo essere riuscite ad affrontare la malattia insieme, Willa e Savannah tornano a casa e devono cercare di rimettere insieme la propria vita. La piccola affronta ogni giorno nuovo con l’entusiasmo tipico dei bambini, mentre Willa fa fatica a mettere da parte la paura che la assale ad ogni nuovo cambiamento nelle loro giornate. La donna ha paura di perdere il controllo, teme che succeda nuovamente qualcosa alla figlia se si distrae anche solo per un attimo e, in fondo in fondo, è ingiustamente convinta che la malattia di Savannah sia stata una conseguenza di una sua svista.
Quando la piccola si prende un raffreddore, Willa si precipita dal loro medico di fiducia, ma al suo posto trova Patrick.
Giovane e attraente, si capisce fin da subito dopo la storia andrà a parare, ma da letttrice non mi è interessato. Sapevo sarebbero finiti insieme, perché queste storie sono così, ma mi interessava particolarmente sapere come sarebbe successo.

I personaggi sono tutti molto ben sviluppati e ognuno di loro, dai due protagonisti ai vari personaggi secondari, ha un suo scopo e una personalità perfettamente distinta, cosa non facile da ottenere nei libri che leggo ultimamente. Patrick è determinato ad aiutare Willa a ritrovare sè stessa e a godersi quel poco tempo che ha a disposizione in quella piccola cittadina. È un medico, un artista, un uomo costantemente alla ricerca di avventura. Mi è piaciuto molto vedere come un uomo così attivo e sempre alla ricerca di azione, abbia piano piano imparato che amare qualcuno e stargli accanto è un viaggio molto impegnativo e probabilmente tanto avventuroso quanto la scalata di una montagna o un tuffo da un aereo.
Willa capisce, un passo alla volta, come lasciare che le persone che le stavano vicino potessero aiutarla a vivere una vita migliore, senza paura e come il coraggio non si possa trovare da un giorno all’altro.

Il libro racconta una storia semplice, ricca di metafore e frasi molto belle che invitano a riflettere sul senso dell’amore e della vita. È pieno di personaggi meravigliosi, come Weston, il fratello di Willa, o Alex, la ragazzina che Willa decide di prendere sotto la sua ala e aiutare.
Se avete voglia di un libro scritto davvero bene e che racconti una storia dolce e non particolarmente impegnativa, questo potrebbe essere il libro per voi.
Ogni tanto magari può risultare un po’ lento o ripetitivo, ma alla fine non è quello il ricordo che avrete di questa storia. Io, che come Willa sono appassionata di tramonti, posso dirvi che dopo averlo letto mi era quasi venuta voglia di salire in cima ad una montagna solo per poterne vedere uno mozzafiato come quello descritto nelle pagine del libro. Peccato che io sia affetta da un grave caso di divanite acuta e in cima ad una montagna non ci salirei nemmeno sotto tortura se non trasportata da un elicottero o una seggiovia.

Se leggerete A Season To Love sarei davvero curiosa di sapere le vostre impressioni, quindi non esitate a commentare o a mandare un messaggio. Io e Kia siamo sempre contente di leggere le vostre opinioni in merito ai libri che consigliamo.

rating 4.5

mon firma

Recensione: Tatiana e Alexander di Paullina Simons

Ciaoo 🙂
Chi ha bisogno di almeno 15 giorni su un’isola sconosciuta circondata da mare-spiaggia-sole e basta? IO!
E invece nulla mi tocca accontentarmi delle vacanze giornaliere in biblioteca. Vabbè, speriamo che sia ancora per poco. Ma non sono qui per sognare, quanto per lasciarvi il mio pensiero sul libro che ho appena finito: ‘Tatiana e Alexander’ di Paullina Simons, ovvero il secondo libro della serie ‘Il Cavaliere d’Inverno’. È una settimana che rompo le scatole alla Mon sostenendo che mi scoccia da matti scrivere la recensione del secondo libro senza aver scritto quella del primo, ma l’ho letto parecchio tempo fa, quindi nada. Vi posso dire solo che ho adorato Il Cavaliere d’Inverno, ma Tatiana e Alexander mi è forse piaciuto anche di più.

tatiana e alexander
Titolo: Tatiana e Alexander (Il cavaliere d’inverno #2)
Titolo originale: Tatiana and Alexander
Autore: Paullina Simons
Editore: BUR
Disponibile in italiano:
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Tatiana ha diciotto anni ed è incinta. E’ riuscita miracolosamente a scappare da una Leningrado sconvolta dall’assedio dei nazisti e a rifugiarsi in America. Il suo cuore però è a pezzi, ha perso Alexander l’uomo della sua vita. Eppure qualcosa le dice che il padre del suo bambino non può averla abbandonata in quella nuova patria…

 

Visto che vi siete evitati la recensione del primo, inizio dicendovi qualcosa in generale. Il Cavaliere d’Inverno è ambientato durante l’assedio tedesco a Leningrado durante la Seconda Guerra Mondiale. Tatiana e Alexander si conoscono il primo giorno di guerra, per caso. E, chiaramente, è subito amore. Ovviamente non può andare tutto bene, ma non sarò io a farvi rischiare lo spoiler di questo capolavoro. Posso però dirvi che l’ho davvero adorato, l’amore tra loro che supera la guerra, il freddo e la fame. Il loro cercare di aiutarsi pur non avendo nulla. I brividi nel leggere i racconti della vita a Leningrado durante l’assedio. Il ‘rispetto’ per Tatiana, una ragazzina che si ritrova con responsabilità enormi. L’avanzare dei tedeschi, la follia dell’Unione Sovietica. Sono 600 pagine, è vero, ma valgono tutte la pena. Un concentrato di emozioni i cui protagonisti sono così ben raccontati e caratterizzati che ci sembra di conoscerli da sempre, di averli davanti in carne ed ossa.

Ma tornando a Tatiana e Alexander – il secondo volume – , che dire di questo libro? L’ho adorato forse di più del primo. Avevo visto commenti non troppo positivi, in particolare riguardanti il numero infinito di flashback all’interno del libro. Sì, Tatiana e Alexander sono sostanzialmente uno per parte del mondo e ogni volta che si pensano ci viene riportato un flashback relativo a un loro momento passato insieme.
Al contrario di molti, io li ho apprezzati. Un po’ perché Tatiana e Alexander insieme sono l’Ammmmmore e l’idea di un intero libro con loro due divisi mi avrebbe spaventata parecchio di più di una serie di flashback. Un po’ perché la maggior parte di questi stralci della loro vita insieme fanno parte del tempo che loro due hanno passato insieme dopo il matrimonio, a Lazarevo. Nel primo libro questa era stata forse la parte che avevo apprezzato di meno, troppo veloce ma al tempo stesso lenta. Provo a spiegarmi. Quel periodo viene raccontato incentrandosi solo su loro due, sulla loro vita insieme. Ciò che li circonda non è caratterizzato quasi per nulla, a differenza di tutto il resto del libro. Questo, secondo me, aveva portato a una certa lentezza nella narrazione. Nello stesso momento, però di quel mese di narrazione non sappiamo nulla, solo dei momenti felici dei due. E questo lo fa sembrare quasi ‘buttato lì’ rispetto al resto del libro. Non so se mi sono fatta capire e vi chiedo scusa per la poca chiarezza.

Quello non era un arrivederci, ma un addio.
Era come se una parte di lei stesse per partire con lui. Non diceva addio solo a lui, ma anche a quella parte di sé. Ecco, sembravano dirsi l’un l’altra, prendi una parte di me e vattene.
Ne avrai bisogno quando non sarà rimasto nient’altro e io ne farò crescere una parte nuova. La Tania che ami sarà sempre con te. Prendila. E lui lo fece, finché non rimase più nulla. Né di lei né di lui.

Comunque, nel secondo libro la maggior parte dei flashback è relativa a questo periodo. Tutti questi stralci, ci permettono quindi di conoscere meglio anche quel pezzo di storia dei nostri due protagonisti, dando loro una vita più completa. Vengono inseriti in uno scenario più ampio e ci vengono riportati sentimenti ed emozioni di entrambi in maniera molto più dettagliata.
Il loro amore che resta forte fino a far male pur dopo troppo tempo che non si vedono e senza sapere se l’altro è ancora vivo assume sempre più senso. Mano a mano che l’autrice ci rende partecipi della loro vita insieme, ci rendiamo conto che quello tra loro non è un sentimento che può finire da un giorno all’altro, anzi.
Un altro aspetto che mi è particolarmente piaciuto di questo libro è la narrazione che, ovviamente, segue due filoni. O meglio. Segue la storia di Tatiana in ordine cronologico, mentre quella di Alexander è a sua volta divisa, alternando capitoli sulla sua infanzia e il suo arrivo in Unione Sovietica e capitoli relativi al presente. Mi sono sempre piaciuti i libri che seguono diversi piani temporali e questo non poteva essere da meno.

A parte i miei sproloqui dai quali si capisce quando ho amato questo libro, anche in questo caso la Simons ci caratterizza e ci descrive tutto nei particolari. Dalla nostalgia dei due protagonisti alle difficoltà di Tatiana nel costruirsi una nuova vita a New York, dalla voglia di vivere di Alexander che lotta per poter un giorno rivedere Tatia agli orrori della guerra e dei campi di sterminio nazisti. In particolare questo argomento trovo che sia raccontato dall’autrice con una delicatezza tutta sua che riesce a farci entrare più in sintonia coi prigionieri e che allo stesso tempo contiene una denuncia feroce nei confronti della storia. Ci aveva abituati in questo modo raccontandoci l’assedio e la fame a Leningrado, e non ci ha delusi nel passare a un altro tasto particolarmente dolente di quegli anni.

“Quanto crede che gli ci sia voluto?” chiese Ouspenskij.
“Il campo di Majdanek è diventato operativo otto mesi fa.
Duecentoquaranta giorni. In un periodo più breve di quello che ci vuole a una donna per creare la vita, sono riusciti a eliminare un milione e mezzo di esseri umani.”

Non penso ci sia altro da dire. Il mio consiglio è quello di leggere questa serie. A breve leggerò anche il terzo e ultimo volume. Vi farò sapere.

rating 5

kiafirma

Recensione: Teorema Catherine di John Green

Premessa triste: se un libro non mi piace non riesco a scriverne. Parlarne forse sì, ma non è nemmeno lontanamente la stessa cosa. Quindi approcciatevi alla lettura preparati.
Il libro di cui vi parlo oggi è ‘Teorema Catherine’ di John Green.

teorema catherine
Titolo: Teorema Catherine
Titolo originale: An Abundance of Katherines
Autore: John Green
Editore: Rizzoli
Disponibile in italiano:
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Da quando ha l’età per essere attratto da una ragazza, Colin, ex bambino prodigio, forse genio matematico forse no, fissato con gli anagrammi, è uscito con diciannove Catherine. E tutte l’hanno piantato. Così decide di inventare un teorema che preveda l’esito di qualunque relazione amorosa. E gli eviti, se possibile, di farsi spezzare il cuore un’altra volta. Tutto questo nel corso di un’estate gloriosa, passata con l’amico Hassan a scoprire posti nuovi, persone bizzarre di tutte le età, ragazze speciali che hanno il gran pregio di non chiamarsi Catherine.

Allora. Di John Green avevo letto solo ‘Colpa delle stelle’: lacrime a fiumi, occhi a cuoricino e immenso amore per quel libro.
Insieme alla Mon ho scelto ‘Teorema Catherine’ come libro per il primo mese della nostra Book Jar Challenge (qui il regolamento) e devo dire che ci sono rimasta male. Un po’ perché non è piaciuto a me – e voi direte chissenefrega – ma soprattutto perché l’ho ‘consigliato’ a una ventina di persone. Partecipanti alla Book Challenge, non vogliatemene. I rating erano mooolto alti e ci siamo fidate. Poi non escludo che vi sia piaciuto, sia chiaro.

Tornando al libro.
La storia di per sè, devo dire la verità, non è per niente male, un romance come un altro. Anzi forse un po’ diverso, un po’ meno pieno dei soliti clichè tipici degli Young Adult che leggiamo normalmente. La trama mi aveva attirato e, ripensandoci a posteriori, il libro – appunto – è anche piacevole. John Green, in Teorema Catherine, ci racconta una storia non del tutto surreale, uno stralcio di vita di 3 ragazzi che si incontrano per caso e finiscono per passare l’estate godendo della reciproca compagnia.
Non riesco a definire perfettamente quindi il problema di questo libro. Credo che la pecca principale sia il protagonista – Colin – che, per citare il suo amico Hassan, ‘non è interessante’. Mi spiego meglio. Colin, come ci dice la trama, è un bambino prodigio. E la cosa può sembrare interessante. Per qualche motivo, non lo è. Sarà la sua natura, ma pensa troppo e risulta – secondo me – piuttosto noioso. La storia incentrata sostanzialmente solo su di lui, inoltre, non aiuta.

I prodigi riescono a imparare rapidamente ciò che altri hanno già capito; i geni scoprono ciò che nessun altro ha scoperto prima. I prodigi imparano, i geni fanno.

Come vi ho già detto lo spunto non è male. L’idea di Colin di analizzare matematicamente le sue relazioni per creare una funzione che gli permetta di prevedere come andranno le prossime è effettivamente divertente.
Ma manca qualcosa, e probabilmente c’è qualcosa di troppo.
Manca probabilmente un po’ di suspence, un po’ di amore in più. Si capisce da subito come andrà a finire, ma non si rimane col fiato sospeso, come in molti romance, ad aspettare che la coppia di turno apra finalmente gli occhi. Non so se riesco a spiegarmi, in effetti ne dubito.

E poi i racconti delle interviste, i pianti di TUTTE le nonnine disperate perché non vedono Lindsey da tempo, da quando sta col suo nuovo fidanzato. Ok una, ok due, poi basta.
La funzione, tutti i giorni quella. L’asocialità di Colin, idem. Ok che deve essere il ragazzo prodigio, asociale, intrattabile e escluso. Ma a un certo punto la trasformazione uno se la aspetta. E sicuramente prima delle ultime 4 pagine.

Voleva piangere, ma invece sentiva solo un dolore dietro il plesso solare. Piangere è aggiungere qualcosa: piangere è tu-più-le-lacrime. Ma la sensazione che Colin provava era l’esatto – e orribile – contrario del pianto. Era tu-meno-qualcosa. Continuava a pensare a una sola parola, sempre, e sentiva quel dolore bruciante proprio sotto la cassa toracica.

Detto questo, non mi sento di sconsigliarvelo, ne ho sentito parlare bene. Ma per me rimane un nì, più no che sì. La verità? Mi ha piuttosto annoiata.

rating 2.5
kiafirma