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Teaser Tuesday #186

Ciao lettori!
Sto leggendo un altro libro per la challenge #IGialliConDestinoDiCarta (qui tutte le info) e mi sta piacendo un sacco. Non avevo mai letto niente della Christie e mi vergogno parecchio. Il suo stile mi sta conquistando e conto di recuperare presto altri suoi lavori. Quali sono i lavori di quest’autrice che preferite?

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Al Tokatlian Hercule Poirot chiese una stanza con bagno. Si avvicinò quindi al banco del portiere per sapere se ci fossero lettere per lui.
Ce n’erano tre, e un telegramma. Alla vista di quest’ultimo le sue sopracciglia si sollevarono impercettibilmente. Non se lo aspettava.
Lo aprì con i suoi gesti precisi, senza fretta. Le parole che vi erano stampate erano inequivocabili.
SVILUPPO DA LEI PREDETTO NEL CASO KASSNER PRODOTTOSI INASPETTATAMENTE PREGO TORNI SUBITO.
«Voilà ce qui est embêtant» mormorò Poirot irritato. Alzò lo sguardo all’orologio.
«Dovrò proseguire questa sera» disse al portiere. «A che ora parte il Simplon Express?»
«Alle 9 in punto, monsieur.»
«Può procurarmi un posto in vagone letto?»
«Senza dubbio, monsieur. Non ci sono problemi in questa stagione. I treni sono quasi vuoti. Prima o seconda classe?»
«Prima.»
«Très bien, monsieur. Dove va?»
«A Londra.»
«Bien, monsieur. Le procurerò un biglietto per Londra e le prenoterò un posto nel vagone letto Istanbul-Calais.»
Poirot guardò di nuovo l’orologio. Mancavano dieci minuti alle otto.
«Faccio in tempo a cenare?»
«Senza dubbio, monsieur.»
Il piccolo belga annuì. Annullò la prenotazione della stanza e attraversò l’atrio entrando nel ristorante.
Mentre faceva l’ordinazione al cameriere, qualcuno gli appoggiò una mano sulla spalla.
«Ah, mon vieux, è un piacere inaspettato» disse una voce dietro di lui.
Chi aveva parlato era un uomo anziano, piccolo e robusto, con i capelli a spazzola. Sorrideva felice.
Poirot saltò in piedi.
«Monsieur Bouc.»
«Monsieur Poirot.»
Monsieur Bouc era un belga, direttore della Compagnia internazionale dei Vagoni letto, e la sua conoscenza con l’ex stella della polizia belga risaliva a molti anni prima.
«Si trova molto lontano da casa, mon cher» disse Monsieur Bouc.
«Una piccola faccenda in Siria.»
«Ah! E adesso torna a casa… quando?»
«Questa sera.»
«Magnifico! Anch’io. Cioè, vado fino a Losanna, dove ho qualche affare da sbrigare. Viaggia sul Simplon Express, immagino?»
«Sì. Ho appena chiesto che mi procurassero un posto nel vagone letto. Intendevo fermarmi qui per qualche giorno, ma ho ricevuto un telegramma che mi richiama con urgenza in Inghilterra.»
«Ah!» sospirò Monsieur Bouc. «Les affaires, les affaires! Ma lei, lei è arrivato sulla vetta, mon vieux!»
«Ho avuto qualche piccolo successo, forse.» L’investigatore cercò di assumere un’espressione modesta senza riuscirci affatto.
Bouc rise.
«Ci vedremo più tardi» disse.
Poirot si dedicò al compito di tenere i baffi fuori dalla minestra.
Portata a termine questa difficile impresa, si guardò intorno mentre aspettava la seconda portata.

L’HOTEL TOKATLIAN – Assassinio sull’Orient Express (Hercule Poirot #10) di Agatha Christie

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assassinio sull'orient-express cover
L’Orient Express, il leggendario treno delle spie e degli avventurieri internazionali, occupa un posto importante nell’immaginario collettivo degli appassionati della letteratura poliziesca. Il merito appartiene all’indimenticabile signora del mistero Agatha Christie e alla sua creatura, l’impareggiabile Poirot. In quella che rimane probabilmente una delle sue più celebri imprese, Poirot, salito a bordo di un vagone di prima classe partito da Istambul e diretto a Calais, è costretto ad occuparsi di un feroce delitto. Infatti, mentre il treno è bloccato dalla neve qualcuno tra i paseggeri pugnala a morte il signor Ratchett, un ricco americano. L’assassino deve per forza nascondersi fra i viaggiatori, ma nessuno di loro sembra avere avuto nessun motivo per commettere il crimine. Poirot compie le sue indagini e, come al solito, risolve brillantemente il caso, ma questa volta la soluzione è davvero sorprendente.

Teaser Tuesday #185

Buongiorno lettori! Il Teaser che vi lascio oggi è tratto da un libro che mi sta piacendo davvero molto: La stanza della tessitrice di Cristina Caboni. Mi sto appassionando alle storie di Camilla e Caterina e spero davvero di parlarvene presto. Voi l’avete letto??

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Marianne allungò la mano verso di lei che si affrettò a stringerla, poi l’avvolse in un lungo abbraccio. «Non potevo sopportare l’idea che ti fossi allontanata da me. Temevo che mi odiassi. Non sapevo cosa fare, non lo sapevo. Ero disperata all’idea di averti perduto per sempre, la mia preziosa bambina.»
Quelle parole la fecero sanguinare. Camilla ingoiò il nodo che le chiudeva la gola e si sforzò di sorridere. Non era quello che avrebbe immaginato di sentire. Poteva affrontare la rabbia di Marianne, poteva sopportare il biasimo e la lingua tagliente, ma non quella confessione piena di dolore. Si chiese se avesse sbagliato a giudicare Mamy, se si fosse sbagliata sul suo conto. E quello la riempì di paura. Perché un istante prima si era chiesta la medesima cosa nei confronti di Marco. All’improvviso non era più sicura di nulla. «Adesso calmati, finirà che starai nuovamente male, il dottore ci ripenserà e vorrà tenerti in questo posto per chissà quanto tempo. Agnese si infurierà, sono giorni che prepara la casa per il tuo ritorno.»
Marianne annuì, dopo un’ultima carezza si allontanò da Camilla. «Riprenderemo questo discorso in un altro momento. Ci sono delle cose che vorrei raccontarti, cose che ti serviranno quando… Bene, ne riparleremo.» Era tornata alla finestra, un lembo della tenda tra le dita, gli occhi oltre il vetro, su quella donna sconosciuta e le sue figlie.

Capitolo 4 – La stanza della tessitrice di Cristina Caboni

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la stanza della tessitrice cover
Bellagio è il luogo dove Camilla si è rifugiata per iniziare una nuova vita. Solo qui è libera di realizzare i suoi abiti capaci di infondere coraggio, creazioni che sono ben più di qualcosa da indossare e mostrare. Ma ora è costretta ad abbandonare tutto perché Marianne, la donna che l’ha cresciuta come una madre, ha bisogno del suo sostegno. È lei a mostrarle il contenuto di un antico baule, un abito che nasconde un segreto: vicino alle cuciture interne c’è un piccolo sacchetto che custodisce una frase di augurio per una vita felice. È l’unico indizio che Marianne possiede per ritrovare la sorella. Camilla non ha mai visto nulla di simile, ma conosce la leggenda di Maribelle, una stilista che, all’epoca della seconda guerra mondiale, era famosa come «Tessitrice di sogni». Nei suoi capi erano nascosti i desideri e le speranze delle donne che li portavano. Maribelle è una figura che la affascina da sempre: si dice che sia morta nell’incendio del suo atelier parigino, circondata dalle sue creazioni. Camilla non sa quale sia il legame tra Maribelle e la sorella che Marianne vuole ritrovare. Ma sa che è disposta a fare di tutto per scoprirlo. Sente che la sua intuizione è giusta: Parigi è il luogo da dove iniziare le ricerche; stoffe, tessuti e bozzetti la strada da seguire. Una strada tortuosa, come complesso è ogni filo di una trama che viene da lontano. Perché i misteri da svelare sono a ogni angolo. Perché Maribelle ha lottato per affermare le proprie idee. Perché seguirne le orme significa per Camilla scavare dentro sé stessa, dove batte un cuore che anche l’ago più acuminato non può scalfire.


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Teaser Tuesday #184

Ciao lettori!
È più di un anno che aspetto questo giorno. È finalmente uscito “Kingdom of Ash” e io mi ci sono buttata a pesce. Il Teaser Tuesday di oggi è però tratto da un altro libro, ovvero “Alaska”, che stiamo leggendo per la challenge #IGialliConDestinoDiCarta (qui tutte le info) e lo sto amando. Vediamo se intriga anche voi.

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Mentre lui la osservava, Evelyn non aveva osato muovere un muscolo. Aveva tenuto gli occhi chiusi, senza vedere quel che lui faceva. Ma sentiva che la stava fissando attentamente. Voleva la certezza che fosse morta.
Dall’istante in cui aveva sciolto la corda con cui l’aveva legata, Evelyn aveva riacquistato l’uso delle mani. Lo sforzo per non portarsele alla gola e tamponare il sangue che sgorgava dalla ferita era stato enorme. Riusciva a malapena a non gorgogliare quando respirava, e il fumo che si addensava nell’aria rendeva ancora più faticoso ogni suo fievole respiro. Aveva temuto di morire soffocata se non, prima ancora, dissanguata. Ma l’istinto le aveva detto che la sua unica e sola possibilità era convincerlo di aver portato a termine il lavoro che aveva iniziato tagliandole la gola.
«Così impari a farmi incazzare, troia» aveva borbottato lui quando finalmente era uscito dal capanno, consegnandola alle fiamme che aveva appiccato per cancellare le prove.
Non appena se n’era andato, Evelyn aveva provato ad alzarsi, ma doveva essere svenuta. C’era ancora luce, tanto che si era immaginata Jasper che correva a casa per non arrivare tardi all’allenamento di baseball. Mentre la teneva prigioniera nel capanno aveva continuato ad andare a scuola. E ogni sera al suo ritorno le raccontava ridendo come l’intera comunità stesse cercando disperatamente lei e le sue amiche – perfino quello che studenti e professori dicevano in classe –, come se trovasse il tutto elettrizzante. Le parlava dei gruppi di preghiera, dei nastri gialli e dei giornalisti impazienti che tormentavano chiunque lei conoscesse a caccia del più piccolo dettaglio. Quando Evelyn gli aveva chiesto come facesse ad assentarsi di continuo per venire al capanno, lui le aveva spiegato che usava la scusa che anche lui stava partecipando alle ricerche. Quella dell’innamorato in apprensione era una parte che sosteneva di recitare bene, e lei non ne dubitava. Jasper era capace di interpretare qualsiasi ruolo.
Di sicuro lei ci era cascata.
Se soltanto qualcuno avesse capito che le sue emozioni non erano sincere e l’avesse osservato meglio! Ma non sarebbe mai accaduto. Con i suoi lineamenti scolpiti, il corpo atletico, la mente acuta e i genitori ricchi, Jasper era così convincente, così credibile, così poco assassino. Nessuno lo avrebbe mai creduto capace di un simile crimine.
Serrando le palpebre, Evelyn si sforzò di ricacciare indietro le lacrime. A causarle la sofferenza peggiore era la crudeltà con cui lui aveva tradito il suo amore. Ma ora non poteva concentrarsi sul proprio cuore infranto. Avrebbe solo aggravato la situazione. Doveva pensare a respirare, o avrebbe semplicemente… smesso di farlo.
Con ogni probabilità le fiamme si erano spente da sole. Evelyn non sapeva come mai non l’avessero incenerita con tutto il capanno, come aveva programmato Jasper, ma sotto l’odore acre del fumo riconobbe un olezzo dolciastro e nauseante di carne in decomposizione. Il tanfo era peggiorato di giorno in giorno, diventando sempre più insostenibile. Jasper aveva detto che il pensiero delle sue amiche che assistevano alle sevizie con i loro occhi spenti glielo faceva rizzare. Era come se stessero facendo una scampagnata tutti insieme, divertendosi come ai vecchi tempi, con la differenza che adesso Marissa, Jessie e Agatha tenevano finalmente la bocca chiusa.

Prologo- Alaska (The Evelyn Talbot Chronicles #1) di Brenda Novak

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Stanno accadendo strane cose ad Anchorage, piccolo villaggio dell’Alaska ricoperto dai ghiacci. A Hanover House, una clinica psichiatrica di massima sicurezza aperta da soli tre mesi, sono sparite due donne, la cuoca e un’inserviente. Evelyn Talbot, psichiatra di soli trent’anni, teme che ci sia un killer in azione, un sospetto che risveglia in lei il suo incubo più nero: Jasper, il ragazzo che a sedici anni l’ha segregata e seviziata ripetutamente. Che sia di nuovo sulle sue tracce? Dopo la macabra scoperta dei cadaveri delle due donne, il giovane commissario Amarok vede confermato ciò che ha sempre intuito: quella clinica è un pericolo per il villaggio e deve essere chiusa. Ma la sua fermezza si scontra con il fascino fragile e seducente di Evelyn, a cui il commissario è tutt’altro che indifferente. E mentre una torbida rete viene alla luce minacciando la reputazione del direttore della clinica, Evelyn sente che sta rischiando più che mai di cadere nella trappola del suo persecutore…

Teaser Tuesday #183

Buongiorno lettori! Il teaser che vi lascio oggi non è tratto dal libro che ho in lettura, ma da quello che ho terminato nel week end. Si tratta de Il sogno della macchina da cucire di Bianca Pitzorno che ho scoperto per puro caso e mi ha letteralmente conquistata. È un libro particolare, che racconta la storia di una sartina a giornata di fine Ottocento, analizzando, in maniera romanzata, la situazione sociale di quel periodo vista dagli occhi di una persona del popolo. Vi lascio un pezzetto del primo capitolo, sperando di incuriosirvi. Se lo leggete, fatemi sapere se vi è piaciuto.

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Avevo sette anni quando mia nonna cominciò ad affidarmi le rifiniture più semplici dei capi che cuciva in casa per le sue clienti nei periodi in cui non aveva richieste di lavori al loro domicilio. Eravamo rimaste noi due sole di tutta la famiglia dopo l’epidemia di colera che aveva portato via senza fare preferenze di sesso i miei genitori, i miei fratelli e sorelle e tutti gli altri figli e nipoti di mia nonna, miei zii e miei cugini. Come avessimo fatto noi due a scamparla, ancora non me lo spiego.
Eravamo povere, ma lo eravamo state anche prima dell’epidemia. La nostra famiglia non aveva mai posseduto niente, tranne la forza delle braccia maschili e l’abilità delle dita femminili. Mia nonna e le sue figlie e cognate erano conosciute in città per la loro bravura e precisione nel cucito e nel ricamo, per la loro onestà, pulizia e affidabilità nei lavori domestici quando andavano a servizio nelle case dei signori, dove sapevano fare con una certa grazia anche le cameriere e occuparsi del guardaroba. Erano poi quasi tutte delle buone cuoche. Gli uomini lavoravano a giornata come muratori, facchini, giardinieri. Industrie che assumessero operai nella nostra città ancora non ce n’erano molte, ma il birrificio, il frantoio, il mulino e anche gli eterni lavori di scavo per l’acquedotto richiedevano spesso manodopera non specializzata. Che io mi ricordi, non abbiamo mai patito la fame, anche se dovevamo spesso cambiare casa e ammassarci per qualche tempo nei sottani o bassi del centro storico, quando non riuscivamo a pagare l’affitto dei modestissimi appartamenti in cui viveva la gente del nostro ceto.

Vita mia, cuor mio – Il sogno della macchina da cucire di Bianca Pitzorno

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C’è stato un tempo in cui non esistevano le boutique di prêt-à-porter e tantomeno le grandi catene di moda a basso prezzo, e ogni famiglia che ne avesse la possibilità faceva cucire abiti e biancheria da una sarta: a lei era spesso dedicata una stanza della casa, nella quale si prendevano misure, si imbastivano orli, si disegnavano modelli ma soprattutto – nel silenzio del cucito – si sussurravano segreti e speranze. A narrarci la storia di questo romanzo è proprio una sartina a giornata nata a fine Ottocento, una ragazza di umilissime origini che apprende da sola a leggere e ama le opere di Puccini ma più di tutto sogna di avere una macchina da cucire: prodigiosa invenzione capace di garantire l’autonomia economica a chi la possiede, lucente simbolo di progresso e libertà. Cucendo, la sartina ascolta le storie di chi la circonda e impara a conoscere donne molto diverse: la marchesina Ester, che va a cavallo e studia la meccanica e il greco antico; miss Lily Rose, giornalista americana che nel corsetto nasconde segreti; le sorelle Provera con i loro scandalosi tessuti parigini; donna Licinia Delsorbo, centenaria decisa a tutto per difendere la purezza del suo sangue; Assuntina, la bimba selvatica… Pur in questa società rigidamente divisa per classe e censo, anche per la sartina giungerà il momento di uscire dall’ombra e farsi strada nel mondo, con la sola forza dell’intelligenza e delle sue sapienti mani. Bianca Pitzorno dà vita in queste pagine a una storia che ha il sapore dei feuilleton amati dalla sua protagonista, ma al tempo stesso è percorsa da uno sguardo modernissimo. Narrare della sartina di allora significa parlare delle donne di oggi e dei grandi sogni che per tutte dovrebbero diventare invece diritti: alla libertà, al lavoro, alla felicità.


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