Recensione: The Elite di Kiera Cass

Ciao a tutti! Per prima cosa mi scuso per l’assenza infinita. Diciamo che gli esami – e lo stress causato dalla sessione invernale – hanno avuto la meglio. Aggiungiamoci pure la lettura di Trentatrè che mi ha distrutta mentalmente e fisicamente. Resta però che non riesco a stare senza leggere, nemmeno quando devo studiare tutto il giorno. In quei casi mi serve un libretto non impegnativo e in italiano, proprio per scaricarmi quando inizio a delitrare. Ho quindi deciso di continuare con una delle serie iniziate, optando per The Elite – il secondo libro della serie The Selection – di Kiera Cass.

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Titolo: The Elite (The Selection #2)
Autore: Kiera Cass
Editore: Sperling & Kupfer
Disponibile in italiano:
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Trentacinque ragazze. Così era cominciata la Selezione. Un reality show che, per molte, rappresentava l’unica possibilità di trovare finalmente la via di uscita da un’esistenza di miseria. L’occasione di una vita. L’opportunità di sposare il principe Maxon e conquistare la corona. Ma ora, dopo le prime, durissime prove, a Palazzo sono rimaste soltanto sei aspiranti: l’Elite. America Singer è la favorita, eppure non è felice. Il suo cuore, infatti, è diviso tra l’amore per il regale e bellissimo Maxon e quello per il suo amico di sempre, Aspen, semplice guardia a Palazzo. E più America si avvicina al traguardo più è confusa. Maxon le sa regalare momenti di pura magia e romanticismo che la lasciano senza fiato. Con lui, America potrebbe vivere la favola che ha sempre desiderato. Ma è davvero ciò che vuole? Perché allora ogni volta che rivede Aspen si sente trascinare dalla nostalgia per la vita che avevano sognato insieme? America ha un disperato bisogno di tempo per riflettere. Mentre lei è tormentata dai dubbi, il resto dell’Elite però sa esattamente ciò che vuole e America rischia così di vedersi scivolare via dalle dita la possibilità di scegliere… Perché nel frattempo la Selezione continua, più feroce e spietata che mai.

 

Sostanzialmente, nella trama, è raccontato tutto il libro. Ci aggiungo una cosa, America è insopportabile. Non so se sono io che ultimamente faccio fatica ad entrare in sintonia con i personaggi femminili dei libri che leggo – escludiamo Grace di Trentatrè, per favore – o se sto proprio cercando col lanternino i libri cha hanno protagoniste senza un carattere definito. America è a palazzo, ha la benevolenza di tutti eppure non riesce a prendere una decisione. Continua a pensare a Aspen che, detto tra noi, mi sembra un filo troppo possessivo. Si limita a denigrare tutto ciò che ha a vedere con la possibile vita a Palazzo, compresa America, quando gli chiede se la vedrebbe come principessa.
Maxon nel primo libro mi era piaciuto, qui fa un po’ troppo il bambinone: ‘Tu non mi vuoi? Io vado con le altre ragazze e ti ignoro così tu ti ingelosisci e torni da me’. Tutto sommato resta ancoratra i personaggi a cui voler bene.
Chi si prende il primato e vince come personaggio migliore, secondo me, è il padre di America. Lui che con la sua calma e le sue riflessioni riesce sempre ad avere una buona parola per tutti. Con le sue lettere riesce a dare una mano a America che altrimenti comincerebbe a sbattere la testa nei muri definitivamente. Le è sempre vicino, prova ad aiutarla in ogni situazione ed è pronto ad accettare qualsiasi cosa per il bene di sua figlia.
Ma veniamo alla spina nel fianco: America. Su forza, non si può stare perennemente – scusatemi il francesismo – con il culo su due sedie. Ok la confusione, ok i cambiamenti improvvisi, ok la paura di non farcela una volta principessa, ok che la serie in qualche modo deve andare avanti, ma così no. Non può cambiare idea ogni cinque minuti.
Detto questo torno a studiare, leggerò il terzo a breve, sono curiosa di vedere cosa decide America e cosa c’entrano i ribelli, non possono essere lì a caso. E soprattutto la lettura è piacevole e scorre bene, senza particolare impegno. Se i cupcakes che ho dato a questo libro vi sembrano pochi, prendetevela con America. In realtà non ho nulla contro il libro in sè.


Recensione: The Artist di Michel Hazanavicius

Buongiorno a tutti! Ho appena realizzato che è già dicembre e sono quasi due mesi che il nostro blog ha preso vita… miseria, il tempo vola! Sembra ieri che decidevamo i colori per il titolo e l’immagine di rating (meno male che alla fine siamo riuscite a trovare dei dolcissimi cupcakes altrimenti a quest’ora avremmo delle tartarughine).
Questa volta, ho voluto fare uno strappo alla regola e ho scelto per voi un film che da un po’ si nascondeva nel mezzo della mia infinita lista di film (infinita perché ci saranno segnati almeno un centinaio di film e ogni volta che ne depenno uno, ne aggiungo come minimo altri tre). Il film in questione s’intitola “The Artist”.


  • Titolo: The Artist
  • Titolo originale: The Artist
  • Regia: Michel Hazanavicius
  • Anno: 2011
  • Durata: 100 min
  • IMDB

Hollywood 1927. George Valentin è un notissimo attore del cinema muto. Un giorno, all’uscita da una prima, una giovane aspirante attrice lo avvicina e si fa fotografare sulla prima pagina di Variety abbracciata a lui. Di lì a poco se la troverà sul set di un film come ballerina. È l’inizio di una carriera tutta in ascesa con il nome di Peppy Miller. Carriera che sarà oggetto di una ulteriore svolta quando il cinema sonoro prenderà il sopravvento e George Valentin verrà rapidamente dimenticato.

Il film, in bianco e nero, non parla solo del cinema muto ma è esso stesso un film muto. Prima di continuare, é bene che sappiate che io e i film in bianco e nero e i film muti non andiamo proprio d’accordo; li ho sempre trovati noiosi e non sono mai riuscita a guardarli per più di una decina di minuti. L’unica eccezione è stato Schindler’s List (grande capolavoro) che però era solo bianco e nero.

Uscito nelle sale nel 2011, questo film crea un degno contrasto con i film 3D che vengono proiettati contemporaneamente. Se mi concedete il termine, lo definirei come una ventata di vintage all’interno dell’ambiente cinematografico. Al contrario di ogni mia aspettativa, il film non mi ha annoiato, anzi è riuscito a farmi ridere e simpatizzare con le emozioni dei protagonisti. Quando la recitazione è muta, ecco che la capacità espressiva di un attore diventa fondamentale. Può succedere che se uno marca in maniera eccessiva le espressioni, la sensazione dello spettatore sia quella di un’interpretazione finta e sgradevole. Questo non è il caso, gli attori sono molto capaci e riescono a raccontarci senza troppi formalismi la storia di questo artista e senza accorgertene ti ritrovi nel bel mezzo degli anni Venti. Personalmente adoro lo stile di quegli anni, dall’abbigliamento alle macchine, ma più di tutto i cappelli delle signore (si mi piacciono i cappelli e ne ho uno simile ai loro di cui vado fiera).

Altro elemento essenziale sono le musiche, molto belle e fedeli allo stile del film, che aiutano a trasmettere appieno le emozioni delle scene. Solo in due scene ci sono dei veri e propri rumori ma non vi dico quali perché vorrei incuriosirvi riguardo il film. L’assenza di dialoghi mi ha fatto riflettere su quante cose riusciamo a comunicare anche senza usare le parole. Quando si dice che uno sguardo o un gesto valgono più di mille parole: è proprio vero. Solo ogni tanto compaiono dei cartelli con trascritte le frasi chiavi dei ‘dialoghi muti’ più lunghi.

Questo film ha rappresentato per me una sorta di scommessa che si è trasformata in una bella scoperta. Caratterizzato da uno stile elegante e suggestivo, lascia lo spettatore contento e piacevolmente stupito grazie ad un quasi inaspettato finale!


Recensione: L’anello di fuoco di Pierdomenico Baccalario

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Titolo: L’anello di fuoco (Century #1)
Autore: Pierdomenico Baccalario
Editore: Piemme
Disponibile in italiano:
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Roma (città di Fuoco), il 29 dicembre: è notte e fa un freddo cane, un uomo corre affannosamente lungo il Tevere, deve trovare i quattro ragazzi e consegnare loro la valigetta. Intanto Elettra, Harvey, Mistral e Sheng escono di nascosto dalla loro camera dell’hotel Domus Quintilia per scoprire cosa ha cusato il black out e iniziano a passeggiare per la città sommersa dalla neve. Questi ragazzi fino a poco tempo prima non si conoscevano ma, per uno sbaglio di prenotazione, si sono incontrati e hanno scoperto di essere nati tutti e quattro il 29 febbraio. Quando l’uomo li vede non ha dubbi: “sono loro” pensa e consegna loro la valigetta. All’interno vi trovano una strana mappa di legno, un ombrello a scacchi, quattro trottole e un foglio di carta. La sfida è iniziata e i ragazzi finiranno addirittura nelle fondamenta della basilica di San Clemente per riuscire a ritrovare l’Anello di Fuoco ma dovranno stare attenti, perché anche loro sono sulle tracce delle trottole.

 

Premessa: io sono una bambina sotto molti aspetti, tra cui quello letterario. Non sono mai cresciuta, rimanendo affascinata da quei libri fantasy pieni di magia e mistero. Trovassi un libro con un protagonista sulla mia età immerso in un’atmosfera del genere, probabilmente ne farei il mio libro preferito. Non essendo ancora inciampata su un libro così (è un’incitazione a trovarlo voi per me), mi butto su libri come L’anello di fuoco.

Quando una della ragazze della Banda ha iniziato a parlare di questa serie di libri, sono corsa immediatamente a cercare la trama e tutta felice ho preso il mano il primo volume. La storia ha un gran potenziale, il mistero c’è, i protagonisti anche. Cos’è che non ha funzionato allora, direte voi? Non viene spiegato quasi nulla.
Si viene a sapere che c’è un “qualcosa” che accade ogni cento anni e che servono quattro ragazzi, speciali perché nati il 29 febbraio. Ci sono poi delle persone, chiamate Loro, che devono impedire ai quattro di compiere la missione. Questo viene spiegato nei primi capitoli e io, sdraiata sul divano in posizioni assurde, ero tutta eccitata di scoprire qualcosa in più. E invece no, perché non si capisce assolutamente niente.

Il non avere risposte è la cosa che mi ha turbata di più, perché sul resto avrei potuto chiudere un occhio. Non mi capacito del fatto che quattro ragazzini di 12 anni girino per Roma di notte senza problemi o che non si facciano vedere per giornate intere dai genitori e questi non dicano niente. Voi mi direte: bhè, Harry Potter aveva 11 anni nel primo libro e guarda cosa ha combinato! Avete ragione, infatti ho messo da parte questi pensieri e ho provato a godermi la storia.

Nel complesso i quattro protagonisti mi sono piaciuti. Elettra è sarcastica, sempre con la risposta pronta, una ragazza con un gran bel caratterino ed una massa di riccioli neri (non so perché io continuo ad immaginarla rossa e con le lentiggini). Harvey sembra il solito ragazzino svogliato e viziato, invece si rivela sveglio, pronto ad agire. Mistral mi è sembrata un po’ piatta, ma spero che nei prossimi libri sia caratterizzata meglio. Sheng, non lo so..doveva essere quello simpatico del gruppo probabilmente e spesso lo è, ma ogni tanto fa delle battute dopo le quali ti ritrovi a fissare il libro chiedendoti se è completamente idiota.
Sui genitori non mi esprimo perché sono caratterizzati poco e quel poco è terribile.

I cattivi. Loro. Dunque, abbiamo Jacob Mahler, violinista assassino. Di lui si sa poco o niente, ma il modo in cui usa lo strumento mi ha incuriosita. Quando suona, fa addormentare le persone (come funziona non viene, ovviamente, spiegato) e l’archetto può essere usato come arma.
Beatrice è una comparsa praticamente. Aiuta Mahler all’inizio, ma poi ha dei ripensamenti, probabilmente dopo essersi fatta un esame di coscienza. Non sono riuscita ad inquadrare nemmeno lei.

La trama non è malaccio dai, una buona ricerca, anche se abbastanza scontata. I ragazzi hanno ricevuto aiuto da personaggi che non avevo previsto, vedi una zingara, e hanno dovuto risolvere degli indovinelli interessanti, anche se abbastanza grotteschi, vedi una cassa piena di denti.
Alla fine i quattro trovano quello che stavano cercando e finalmente speravo di avere qualche risposta. Ma no, loro tornano a casa e festeggiano Capodanno come se non fosse successo niente, promettendosi però di ritrovarsi prima o poi per usare di nuovo la mappa.
Il finale ci fa capire che c’è qualcosa di grande dietro la missione dei ragazzi, ma non ci dà nessuna risposta, anzi, ci regala mille domande in più.

Voglio provare a leggere il secondo volume, perché sono curiosa e vorrei capire qualcosa in più. Questo primo libro mi è sembrato una grande incipit ad una storia che è appena cominciata e magari andando avanti riuscirò a farmi coinvolgere di più.


Recensione: Dragonfly di Leigh Talbert Moore

Ciao a tutti, è un po’ di tempo che non mi faccio sentire con una recensione, ma il motivo c’è. Finalmente, quindici giorni fa, ho deciso di riprendere la mia sfida personale di lettura in inglese. D’altronde, le serie tv in lingua e coi sottotitoli in inglese le guardo, perché non dovrei leggere? Il fatto è che faccio una fatica bestiale. Quando vedo che a leggere un libro di meno di 200 pagine mi ci vogliono 2 settimane mi viene il nervoso e, finito il libro ormai iniziato – più per orgoglio che altro-, mollo l’inglese e torno all’italiano. Ogni tanto però mi saltano i 5 minuti e decido di riprovarci. Un po’ di tempo fa avevo letto The Truth About Letting Go di L. T. Moore e mi era piaciuto, sia come storia che come inglese: lo avevo letto senza grosse difficoltà. Durante l’ultimo attacco ‘devo leggere in inglese’ ho quindi pensato alla Moore e, visto che ho sentito parlar bene di questa serie, mi sono buttata. Della serie ne parlano bene, del primo libro un po’ meno e così è stato. Eh già, il libro di cui oggi vi (s)parlo è Dragonfly di Leigh T. Moore.

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Titolo: Dragonfly (Dragonfly #1)
Autore: Leigh Talbert Moore
Editore: Self
Disponibile in italiano: No
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Anna Sanders expected an anonymous (and uneventful) senior year until she crossed paths with rich-and-sexy Jack Kyser and his twin sister Lucy.

Pulling Anna into their extravagant lifestyle on the Gulf Coast, Lucy pushed her outside her comfort zone and Jack showed her feelings she’s never experienced… Until he mysteriously withdrew.

Anna turned to her internship at the city paper and to her old attraction for Julian, a handsome local artist and rising star, for distraction. But both led to her discovery of a decades-old secret closely guarded by the twins’ distant, single father.

It’s a secret that could cost her the boy she loves and permanently change all their lives.

 

Avessi letto Dragonfly in italiano, probabilmente l’avrei trovato un libretto leggero, un po’ insulso ma nemmeno troppo, di quelli da leggere in un pomeriggio o spalmato in momenti di delirio durante una settimana di studio intenso. Leggerlo in inglese e metterci un bel po’ di tempo dovendomi concentrare di più su ogni frase, mi ci ha fatto riflettere di più.

Partendo dal finale: ha delle potenzialità, quindi il resto della serie lo leggerò, con calma ma sicuramente; anche perché con l’inglese della Moore mi trovo bene e mi invoglia a mettermi in gioco.
Per il resto non saprei che dire, è un grosso boh, un grosso punto di domanda. Lei, Anna, la protagonista, l’ho trovata insulsa, incapace di portare a termine qualsiasi idea ad esclusione del giornalismo, che ama e di cui vuole fare il suo lavoro a fine scuola. Comincia il suo senior year convinta che sarà un anno bruttissimo e infelice perché la sua migliore amica si è trasferita e lei prevede di rimanere da sola per tutta la durata dell’anno. Deve affrontare l’ultimo anno di liceo e un fase della sua adolescenza da sola, ma non trovo che basti a giustificare tutti i suoi comportamenti. Sarà che è giovane, e quindi non ci aspettiamo grande maturità, ma non può nemmeno andare avanti a stare raggomitolata sul letto a piangersi addosso, sia perchè un ragazzo non le parla, sia perché le parla e quindi lei non sa cosa fare. Come minimo 6 volte nel corso del libro si è messa a letto sostenendo che non sarebbe mai riuscita a dormire a causa dei troppi pensieri e poi “Sleep must have come, because the next time I opened my eyes it was daylight”. Bah.
Lui, Jack, il figo, lo prenderei a botte, a calci, a insulti. A scelta, davvero. Non l’ho potuto soffrire fin da subito. Ha i soldi ed è bello e per questo è fermamente convinto di potersi comportare male a piacere. Ha ed ha avuto i suoi problemi, una famiglia complicata alle spalle che influenza anche le sue scelte nel corso del libro
Lui, Julian, è l’amore. Però anche lui non mi finisce di convincere. L’artista, l’amico che vorrebbe qualcosa di più, ma non è in grado di capire che Anna ha bisogno di tempo. Si ritrova così a tornare sui suoi passi con le orecchie basse e la coda tra le gambe più di una volta. E devo dire che la cosa mi dispiace.
La storia è abbastanza piatta, non tanto perchè scontato, anzi, quanto perché, in un certo senso, la trama continua a girare su sè stessa, intorno a un’ipotetica storia d’amore che ci viene promessa quasi ad ogni pagina. L’unica ‘svolta’, in un certo senso inverosimile, che fa uscire dal letargo la nostra protagonista improvvisamente interessata alla vita e al mondo che la circonda, viene portata a galla, spiegata e sviscerata nel giro di poche pagine, per poi tornare alla normalità.
Anche il rapporto di Anna coi suoi genitori mi lascia perplessa, non si fa vedere per giorni a casa, rientra solo per mettersi nel letto a piangere e dormire.

Mi rendo conto che probabilmente del mio sproloquio sulle perplessità e su quel fondo amaro che mi ha lasciato questo libro, vi interessa relativamente, quindi mi fermo qui. Se c’è qualcuno che lo ha letto – o lo leggerà grazie (?) a questa “recensione” (hahaha) – e vuole parlarne io sono qui, e ben disposta a pareri contrari – e non-.