2.5 cupcakes

Recensione: Trainspotting di Irvine Welsh

Hola! Mi sono un po’ costretta a scrivere questa recensione, quindi non so cosa verrà fuori. Il libro in questione è Trainspotting di Irvine Welsh.

trainspotting
Titolo: Trainspotting
Titolo originale: Trainspotting
Autore: Irvine Welsh
Editore: Le Fenici
Disponibile in italiano:
Goodreads

Un pugno di ragazzi a Edimburgo e dintorni: il sesso, lo sballo, la rabbia, il vuoto delle giornate. Sono i dannati di un modernissimo inferno “chimico”, con la loro vita sfilacciata e senza scampo. Alla ricerca di un riscatto, di un senso da dare alla propria esistenza – che non sia il vicolo cieco fatto di casa, famiglia e impiego ordinario – trovano nella droga e nella violenza l’unica risposta possibile. Sboccato, indiavolato, travolgente: l’esordio di un talento letterario, il romanzo shock che ha fatto epoca e dato voce a una nuova generazione.

 

Premetto che non mi è piaciuto e, nonostante il genere, mi ha lasciato molto poco, quindi scrivere la recensione mi risulta complicato. Avevo visto il film qualche anno fa e, passatemi il termine, mi era piaciuto. Non si può dire che un film così, in cui i protagonisti sono un gruppo di eroinomani, sia ‘bello’. Però mi aveva lasciato qualcosa, se non altro la pelle d’oca e un po’ più di consapevolezza su un tema che di tende a evitare, con l’idea ‘meno ne so meglio è’.
Il libro no. Verrebbe da dire che se il film ti lascia qualcosa, il libro farà sicuramente di più. Di solito i libri sono in grado di far pensare di più rispetto ai film, la storia non ci scorre davanti veloce, ma possiamo darle noi i tempi che vogliamo, prendendoci i nostri spazi per pensare e per crearci un parere a riguardo. E invece no. È raro che arrivi in fondo a un libro senza ricordarmi i nomi di tutti i protagonisti. Capiamoci, mi ricordo i nomi dei personaggi di Game of Thrones, dove quelli fondamentali saranno una trentina. Qui erano 4, eppure nulla.

Il libro sostanzialmente ci catapulta nella vita di Mark Renton e del suo gruppo di amici e conoscenti. La storia ci viene raccontata in prima persona ma non tutti i capitoli hanno lui come protagonista. Il soggetto che parla lo capiamo per le differenze di linguaggio, per le esclamazioni e per i rapporti con gli altri protagonisti. Un po’ un casino insomma.
In più, posso capire la volontà di voler rendere l’idea della confusione dei protagonisti e dello sbando in cui si trovano. Però non mi è piaciuto il modo di renderlo attraverso il linguaggio dei ragazzi. In pratica il racconto è un insieme di discorsi e pensieri in prima persona, molto sboccati, molto confusionari e molto sconclusionati.

La vita è una rottura di palle, non ti dà mai un cazzo. Partiamo tutti pieni di belle speranze, che poi ci restano in canna. Ci rendiamo conto che tanto dobbiamo morire, magari senza riuscire a trovare le risposte che contano veramente. Ci facciamo venire un sacco di idee del cazzo, tanti modi diversi di vedere la realtà della nostra vita ma senza mai veramente capire un cazzo delle cose che contano, delle cose importanti.

Il libro, che racconta la storia di questo gruppo di ragazzi, ci vuole avvicinare e far prendere coscienza di quello che era, nella Edimburgo dei primi anni 90, – ed è tuttora in molti luoghi – un grosso problema: quello della droga, in particolare dell’eroina. Mark Renton, così come i suoi amici, cercano di raccontarci in prima persona le motivazioni che li spingono a bere e drogarsi, cosa li porta a provare a smettere e cosa fa si che poco dopo ricomincino a bucarsi.

Nel libro non c’è crescita dei personaggi, ci sono delle prese di coscienza, dei momenti di lucidità e consapevolezza che durano il tempo di un paio di pagine. Dopodiché risprofondano tutti nell’abisso dell’alcool, delle anfetamine e dell’eroina. Chi riesce a rimanerne fuori per un periodo si trova poi invischiato nella droga nel tentativo di risolvere delusioni familiari o d’amore. Chi si droga, si rende conto di quanto sia stupida come cosa ma non riesce a farne a meno. Un circolo vizioso insomma, che non lascia scampo a nessuno, rovinando la vita a questi ragazzi.

Rimane però che non mi piaciuto il modo in cui l’autore ha deciso di mettere noi lettori davanti ai fatti. Tempo fa avevo letto ‘Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino’. Come dicevo prima, quando gli argomenti sono così forti non si può parlare di ‘bellezza’. Ma l’avevo letto in un certo senso volentieri, mi aveva permesso di scoprire un mondo di cui non sapevo poco nulla, mi aveva lasciata sgomenta davanti alle condizioni a cui si può arrivare.
Trainspotting no, come dicevo prima, non mi ha lasciato nulla. Non è stato in grado di farmi pensare, di rendermi sensibile.

Quindi, personalmente, se voleste avvicinarvi all’argomento non ve lo consiglio, a differenza di ‘Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino’ che trovo sia un libro che tutti dovremmo leggere.

rating 2.5

kiafirma

Recensione: Teorema Catherine di John Green

Premessa triste: se un libro non mi piace non riesco a scriverne. Parlarne forse sì, ma non è nemmeno lontanamente la stessa cosa. Quindi approcciatevi alla lettura preparati.
Il libro di cui vi parlo oggi è ‘Teorema Catherine’ di John Green.

teorema catherine
Titolo: Teorema Catherine
Titolo originale: An Abundance of Katherines
Autore: John Green
Editore: Rizzoli
Disponibile in italiano:
Goodreads

Da quando ha l’età per essere attratto da una ragazza, Colin, ex bambino prodigio, forse genio matematico forse no, fissato con gli anagrammi, è uscito con diciannove Catherine. E tutte l’hanno piantato. Così decide di inventare un teorema che preveda l’esito di qualunque relazione amorosa. E gli eviti, se possibile, di farsi spezzare il cuore un’altra volta. Tutto questo nel corso di un’estate gloriosa, passata con l’amico Hassan a scoprire posti nuovi, persone bizzarre di tutte le età, ragazze speciali che hanno il gran pregio di non chiamarsi Catherine.

Allora. Di John Green avevo letto solo ‘Colpa delle stelle’: lacrime a fiumi, occhi a cuoricino e immenso amore per quel libro.
Insieme alla Mon ho scelto ‘Teorema Catherine’ come libro per il primo mese della nostra Book Jar Challenge (qui il regolamento) e devo dire che ci sono rimasta male. Un po’ perché non è piaciuto a me – e voi direte chissenefrega – ma soprattutto perché l’ho ‘consigliato’ a una ventina di persone. Partecipanti alla Book Challenge, non vogliatemene. I rating erano mooolto alti e ci siamo fidate. Poi non escludo che vi sia piaciuto, sia chiaro.

Tornando al libro.
La storia di per sè, devo dire la verità, non è per niente male, un romance come un altro. Anzi forse un po’ diverso, un po’ meno pieno dei soliti clichè tipici degli Young Adult che leggiamo normalmente. La trama mi aveva attirato e, ripensandoci a posteriori, il libro – appunto – è anche piacevole. John Green, in Teorema Catherine, ci racconta una storia non del tutto surreale, uno stralcio di vita di 3 ragazzi che si incontrano per caso e finiscono per passare l’estate godendo della reciproca compagnia.
Non riesco a definire perfettamente quindi il problema di questo libro. Credo che la pecca principale sia il protagonista – Colin – che, per citare il suo amico Hassan, ‘non è interessante’. Mi spiego meglio. Colin, come ci dice la trama, è un bambino prodigio. E la cosa può sembrare interessante. Per qualche motivo, non lo è. Sarà la sua natura, ma pensa troppo e risulta – secondo me – piuttosto noioso. La storia incentrata sostanzialmente solo su di lui, inoltre, non aiuta.

I prodigi riescono a imparare rapidamente ciò che altri hanno già capito; i geni scoprono ciò che nessun altro ha scoperto prima. I prodigi imparano, i geni fanno.

Come vi ho già detto lo spunto non è male. L’idea di Colin di analizzare matematicamente le sue relazioni per creare una funzione che gli permetta di prevedere come andranno le prossime è effettivamente divertente.
Ma manca qualcosa, e probabilmente c’è qualcosa di troppo.
Manca probabilmente un po’ di suspence, un po’ di amore in più. Si capisce da subito come andrà a finire, ma non si rimane col fiato sospeso, come in molti romance, ad aspettare che la coppia di turno apra finalmente gli occhi. Non so se riesco a spiegarmi, in effetti ne dubito.

E poi i racconti delle interviste, i pianti di TUTTE le nonnine disperate perché non vedono Lindsey da tempo, da quando sta col suo nuovo fidanzato. Ok una, ok due, poi basta.
La funzione, tutti i giorni quella. L’asocialità di Colin, idem. Ok che deve essere il ragazzo prodigio, asociale, intrattabile e escluso. Ma a un certo punto la trasformazione uno se la aspetta. E sicuramente prima delle ultime 4 pagine.

Voleva piangere, ma invece sentiva solo un dolore dietro il plesso solare. Piangere è aggiungere qualcosa: piangere è tu-più-le-lacrime. Ma la sensazione che Colin provava era l’esatto – e orribile – contrario del pianto. Era tu-meno-qualcosa. Continuava a pensare a una sola parola, sempre, e sentiva quel dolore bruciante proprio sotto la cassa toracica.

Detto questo, non mi sento di sconsigliarvelo, ne ho sentito parlare bene. Ma per me rimane un nì, più no che sì. La verità? Mi ha piuttosto annoiata.

rating 2.5
kiafirma

Recensione: The Tourist di Florian Henckel von Donnersmarck

Buongiorno! In questi giorni tra lavoro, salute che va e viene e preparazione atletica al pranzo di Natale il tempo per vedere film è scarseggiato un po’. L’altro giorno ho guardato questo nel tentativo di finire la Movie Challenge di quest’anno e sono finalmente riuscita a trovare un film che durasse meno di due ore (ultimamente tutti i film che sto guardando non durano meno di due ore). Probabilmente l’avrete già visto o per lo meno sentito parlare. Tre quarti del film sono stati girati a Venezia, ovvero una trentina di km più in là di casa mia e nonostante uno dei giorni in cui giravano fossi proprio lì a Venezia, non sono riuscita a incontrare nessuno di famoso (siamo andate a chiedere per bar e ristoranti per cercare di capire dove potessero essere ma nada).
the tourist
Titolo: The Tourist
Titolo originale: The Tourist
Regia: Florian Henckel von Donnersmarck
Anno: 2010
Durata: 103 min
IMDB

Frank (Johnny Depp) è un turista americano che si trova in vacanza in Italia per cercare di lasciarsi alle spalle un passato di delusioni sentimentali, ma mai avrebbe potuto immaginare che questo viaggio avrebbe sconvolto la sua vita. Tutto inizia quando conosce Elise (Angelina Jolie), una donna travolgente e misteriosa, e ne resta folgorato. Ma l’incontro è tutt’altro che casuale e, inseguendo una potenziale storia d’amore, Frank si troverà presto invischiato e travolto in una spirale di intrighi e pericoli, sullo sfondo di una Venezia mozzafiato.

Il film vuole essere una sorta di thriller ma non di quelli pesanti, l’interpol americana vuole infatti catturare un criminale che ha rubato un’ingente somma di denaro ad un mafioso e per farlo segue la sua amante. Dall’affascinante Parigi passiamo alla surreale Venezia della quale ci vengono offerte delle panoramiche spettacolari e si vedono alcuni scorci veramente carini della città lagunare.

Nonostante la presenza e la recitazione impeccabile di Angelina Jolie e Johnny Depp, il film non riesce comunque ad apparire il thriller che sperava di essere. Sembra più una sorta di breve avventura, a tratti comica per le situazioni che si vengono a creare, risultando un film piacevole e adatto a passarsi una serata in tranquillità. Vediamo anche comparire alcuni attori italiani come Cristian De Sica e Raul Bova, ma indubbiamente sfigurano un po’ di fianco alle grandi star di Hollywood.

Secondo me il film non è stato in grado di soddisfare le aspettative iniziali ma c’è da dire che il risultato finale non è male. Onestamente non saprei cos’altro dire se non che vale la pena di guardarlo per due motivi: primo, l’eleganza e lo splendore di Angelina Jolie che qualunque ruolo interpreti fa sempre una gran figura e secondo, vedere interagire insieme De Sica e Johnny Depp è un’esperienza unica.

rating 2.5
anna firma

Recensione: The Heir di Kiera Cass

Non avrei dovuto scrivere questa recensione, ne volevo fare un’altra. L’altra non mi viene – mi impegnerò di più per la settimana prossima e spero di farcela – quindi vi tocca accontentarvi di questa.
Dunque, il libro in questione è The Heir di Kiera Cass, il quarto libro della trilogia di The Selection. Sì, avete letto bene e non sono io che sto dando i numeri. The Selection è nata come trilogia, non la più entusiasmante delle serie che abbia letto, ma secondo me comunque una lettura leggera e disimpegnata. Niente per cui serva l’utilizzo di troppi neuroni, tre libri su cui ridere, scuotere la testa e nei quali odiare un po’ America. Dimenticavo, il terzo libro finisce molto stile ‘E vissero tutti felici e contenti.’. E allora, perché non si poteva finire lì? Bella domanda. Con The Heir si riparte per un’altra Selezione che vede, questa volta, 35 uomini in competizione per la mano della principessa Eadlyn. Un disastro.
Comunque, io parlo e parlo, ma mi sono letta il libro in inglese appena uscito. Sarà la curiosità oppure non lo so, ma non riuscivo a starci lontana.

the heir
Titolo: The Heir (The Selection #4)
Autore: Kiera Cass
Editore: HarperTeen
Disponibile in italiano: No
Goodreads

Princess Eadlyn has grown up hearing endless stories about how her mother and father met. Twenty years ago, America Singer entered the Selection and won the heart of Prince Maxon—and they lived happily ever after. Eadlyn has always found their fairy-tale story romantic, but she has no interest in trying to repeat it. If it were up to her, she’d put off marriage for as long as possible.
But a princess’s life is never entirely her own, and Eadlyn can’t escape her very own Selection—no matter how fervently she protests.
Eadlyn doesn’t expect her story to end in romance. But as the competition begins, one entry may just capture Eadlyn’s heart, showing her all the possibilities that lie in front of her… and proving that finding her own happily ever after isn’t as impossible as she’s always thought.

Avete odiato America? Fantastico. Eadlyn è peggio. È una ragazzina viziatissima, puzzaculo (cit.) e nevrotica, cresciuta con la convinzione di essere superiore a tutti.

I was Eadlyn Schreave. No one was more powerful than me.

Prima di andare avanti, mi scuso da subito per il fatto che sarò un po’ spoilerosa riguardo le trame dei libri precedenti, non riesco a fare altrimenti.
Detto questo, America e Maxon, saliti al potere, hanno abolito le caste e per qualche anno le cose sembrano andare per il meglio. Gli abitanti di Ilea sembrano particolarmente felici di questa nuova organizzazione della società che permette loro di crearsi una propria vita senza essere incatenati alla casta di appartenenza.
Eadlyn ha un gemello, Ahren, con cui condivide qualsiasi cosa. Lui, però, è nato 7 minuti dopo di lei che, per questo, è l’erede designata. Cresce felice, in un periodo di pace e tranquillità, circondata dall’amore della sua famiglia e dal lusso del palazzo. Fin da piccola viene istruita per quello che sarà il suo futuro, ovvero regnare Ilea. Passa buona parte delle sue giornate a lavorare con il padre, aiutandolo nei vari impegni che comporta l’essere re.

Più o meno all’improvviso, la gente inizia a ribellarsi, a non essere più contenta del sistema senza le caste. E allora che si fa? Una Selezione al maschile, nulla di più logico. L’idea è quella di far convergere l’attenzione della popolazione su qualcosa di apparentemente molto importante, su una distrazione architettata ad hoc.
L’idea è di America e Maxon che, quando la propongono a Eadlyn, si ritrovano a dover quasi litigare per convincerla. Dopo averci pensato un po’, aver pestato i piedi – come si conviene a una vera regina – e aver parlato con Ahren, decide di acconsentire. Con una condizione, però: promette di far durare la Selezione per almeno tre mesi, a patto che, se non si dovesse innamorare di nessuno, non sarà costretta a terminarla con un anello al dito.
Tutti d’accordo, quindi. Si passa alla comunicazione ufficiale e, successivamente, all’estrazione dei 35 candidati.
Vi ricordate Marlee, l’amica di America che alla fine si era sposata con Woodwork, la guardia con la quale era stata colta in flagrante? Bene. Ora loro vivono a palazzo e hanno due figli. Kile, un ragazzo dell’età di Eadlyn, sempre con il naso nei libri e Josie, la ragazzina entusiasta di vivere a palazzo nonostante sia cresciuta nell’ombra della futura regina. Eadlyn e Kile si odiano, non si possono vedere. Indovinate un po’ uno dei nomi dei Selezionati.
Ma nonostante lo smarrimento iniziale tra i due potrebbe anche esserci del tenero. È grazie alla Selezione che riescono a conoscersi meglio e a scoprire e apprezzare le qualità e le capacità l’uno dell’altra. Per Eadlyn è una specie di ancora, qualcuno di conosciuto; per il pubblico è qualcosa di molto romantico: l’amico d’infanzia che sembra diventare qualcosa di più.
Ma se America non si riusciva a decidere tra Aspen e Maxon, la figlia non può essere da meno. Ed è qui che entrano in scena anche il carinissimo Henri e il suo fedele traduttore Erik che, nonostante non faccia parte dei selezionati, potrebbe rubare il cuore della futura regina – sempre che ne abbia uno -.

Eadlyn, comunque, non mette da parte la sua altezzosità nemmeno per un attimo quando ha a che fare con i ragazzi. Dopo nemmeno 24 ore ne elimina più o meno un terzo, qualcuno scappa perché si sente ignorato e maltrattato, altri cominciano a chiedersi se non sia completamente senza cuore. Capisco che sia l’unico modo che ha per salvarsi dal mondo esterno che, nonostante tutto, le si sta ribellando contro. Il suo atteggiamento, però, non fa che peggiorare le cose.
L’ho mentalmente insultata una quantità innumerevole di volte, perché davvero ha una capacità innata nel rendersi antipatica.

A parte la storia, di cui ormai avete capito cosa ne penso, mi è piaciuto come la Cass ha caratterizzato i personaggi (quelli nuovi), secondo me in maniera più approfondita rispetto ai primi libri. Non sono figure sfaccettate – ma nemmeno il calibro del libro ha la pretesa che lo siano – ma sono dell’idea che in questo libro ognuno dei personaggi ‘principali’ abbia un carattere più definito rispetto a chi avevamo incontrato in precedenza.
Un’altra critica che avevo fatto era di aver buttato lì delle cose senza capo nè coda, giusto per fare storia. Sono rimasta piacevolmente sorpresa per non aver trovato nessun passaggio di questo tipo in The Heir.

Detto questo, non è una serie che consiglio spassionatamente. Ma nemmeno mi sento di dirvi di evitarla, anzi. Ok, è un po’ trash, un po’ scontata e esagerata, ma a volte ci stanno anche libri di questo tipo. E poi, si può sempre utilizzare come esercizio di inglese. Se ci sono riuscita io, ce la può fare chiunque. E comunque, io aspetto già il prossimo (*scappa a nascondersi*), perchè le risate, i momenti di perplessità e i commenti con la Mon sono, nonostante tutto, impagabili.

rating 2.5
kia firma