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Recensione: Memento di Christopher Nolan

Ciao a tutti! Spero di trovarvi in salute nonostante questi sbalzi di temperatura. Questa settimana mi sono presa un po’ tardi con il film da vedere tanto che l’ho finito stamattina durante la pausa tra le lezioni. Il film di oggi è “Memento” e, dopo aver sentito pareri contrastanti al riguardo, è arrivato il momento di dire la mia.

memento
Titolo: Memento
Titolo originale: Memento
Regia: Christopher Nolan
Anno: 2000
Durata: 113 min
IMDB

Leonard Shelby indossa abiti molto costosi, guida una jaguar berlina, ma vive in un anonimo alberghetto pagando i conti con grossi rotoli di contanti. La sua unica preoccupazione è quella di rintracciare e punire l’uomo che ha violentato e ucciso sua moglie. L’impresa è resa difficile dal fatto che Leonard soffre di una rara malattia: una incurabile forma di perdita della memoria. Nonostante sia in grado di ricordare dettagli della propria vita prima di quel fatto, Leonard non ricorda invece niente di ciò che è accaduto quindici minuti prima. Per evitare questo inconveniente, Leonard ha pensato di tenere a mente quello che dice e quello che fa attraverso fotografie, cartelline, tabelle, tatuaggi e altre consuetudini che rimpiazzano la memoria e gli permettono di fissare spazio e tempo delle azioni.

Quando vedo film come questi rimango sempre affascinata, nel senso che per tutto il film non capisci molto e negli ultimi cinque minuti tutto viene chiarito, realizzi che quindi tutto ha un senso e inizi a ricomporre il puzzle. Mi piacciono un sacco questi film un po’ cervellotici e cerco sempre di capire i nessi tra i fatti che intercorrono. In particolare, Memento ha messo a dura prova la mia capacità di ricostruire tutti i collegamenti tra i vari personaggi e gli eventi che si succedono perchè il film si svolge a ritroso, ovvero il film inizia con l’omicidio di Teddy e ritorna indietro facendo vedere cosa succede di quarto d’ora in quarto d’ora. E, quando pensi di aver capito come effettivamente sono andate le cose, nada: le carte vengono ribaltate nuovamente.

L’idea narrativa del film è geniale e rappresenta una vera sfida per lo spettatore. Capovolgere il corso degli eventi, slegarli dal vincolo temporale, si rivela un espediente vincente, tanto che poi il regista (Christopher Nolan) riprende questo concetto nel suo celebre film “Inception”. Mi piace molto lo stile di Nolan e non ho mai trovato da ridire sui suoi film perché la trilogia di Batman, The Prestige, Inception, Interstellar e Memento, sono tutti dei capolavori, a mio modesto parere.

L’attore che interpreta la parte di Leonard, il protagonista, ha fatto un buon lavoro di recitazione, intenso e penetrante, in modo tale dia catturarti e tenerti attaccato allo schermo fino alla fine. Si tratta di un personaggio complesso e misterioso. Anche se effettivamente questo è più che giustificato visto che non ricordare le cose per un tempo maggiore ai quindici minuti deve essere terribilmente frustrante: non puoi fidarti di nulla se non delle note che tu stesso hai scritto per te. Confesso che anch’io devo scrivermi le cose perché sennò me le dimentico facilmente, quindi comprendo un pochino il disagio in cui Leonard deve vivere costantemente.

L’unica critica che posso fare al film sono i colori delle scene che sono sempre molto cupi e tristi e che in qualche modo appesantiscono la trama. Ma per il resto il film merita di essere visto, soprattutto perchè il finale è davvero un colpo di scena assurdo: rimani a bocca aperta, sconvolto perchè tutto ti saresti imaginato tranne quello.

rating 4
annafirma

Recensione: A man who was Superman di Yoon-Chul Chung

Ciao a tutti e benvenuti ad un nuovo appuntamento con il film di questa settimana! Si tratta di una pellicola coreana che ho visto lingua originale sottotitolata in inglese. Speravo di vederla con la mia coinquilina, ma lei mi ha abbandonato e quindi l’altra sera mi sono guardata “all by myself” questo film 🙂

A man who was Superman
Titolo: A man who was Superman
Titolo originale: Superman ieotdeon sanai
Non ancora doppiato in italiano
Regia: Yoon-Chul Chung
Anno: 2008
Durata: 102 min
IMDB

Song Soo Jung realizza documentari sui cosiddetti ‘casi umani’ per una piccola compagnia. Un giorno, mentre si sta dirigendo sul luogo del suo prossimo documentario, le rubano la telecamera da sotto il naso ma all’improvviso compare un uomo con una camicia hawaiana che riesce a riportarle il maltolto. Quest’ultimo sostiene di essere Superman e di aver ormai perso tutti i suoi poteri perché delle persone malvagie gli hanno impiantato della kryptonite nella testa. Nonostante ciò l’uomo passa il suo tempo perseverando nella sua missione: quella di aiutare gli esseri umani. Song Soo Jung è decisa a fare un documentario su di lui, ma mente lei userà l’uomo per un suo tornaconto quest’ultimo le insegnerà molte cose ed inizierà ad affezionarsi a lui, cambiandole totalmente la vita.

La prima cosa che ho pensato quando ho iniziato il film è stata che non avevo mai visto una versione di Superman con camicia hawaiana. In più, all’inizio non si capisce bene il senso del film: si vede, infatti, questo tipo sulla quarantina che aiuta tutte le persone in difficoltà che trova perché, attraverso questi gesti, la kryptonite nel suo cervello svanirà. Viene naturale pensare che non abbia tutte le rotelle che funzionano, ma se il film si fermasse qui sarebbe banale.

Questo Superman costituisce una sorta di anti-eroe: non ha super poteri ma è un vero eroe nei comportamenti umani. Lui mette la sua vita a servizio degli altri ed è proprio questo che, nonostante l’aspetto bizzarro, lo rende grande ai nostri occhi. Ed è proprio l’incontro con questo individuo del tutto singolare che cambia profondamente la reporter: da persona indifferente alla vita, inizia a comprenderne il valore e scopre il piacere di aiutare gli altri.

Procedendo con la storia scopriamo qualcosa in più sulla vera identità del nostro eroe e capiamo come, dietro l’apparenza, si nasconda molto di più. Un dramma, cioè la morte della moglie e della figlia, che non ha mai superato. Il rimpianto e il senso di impotenza di fronte agli eventi l’hanno portato a farsi carico delle difficoltà altrui: è per questo che lo vediamo portare le borse di una signora anziana, raccogliere i rifiuti, portare in spalla qualcuno all’ospedale, mettersi in mezzo alla strada e fermare i mezzi per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Queste scene sono molto esilaranti e, nonostante l’impatto iniziale, inizierete lentamente ad affezionarvi a questo Superman.

So che alcuni di voi storceranno il naso su questo film (lo so perchè anch’io all’inizio non ero molto convinta) ma mi sono dovuta ricredere al punto tale che mi sono anche commossa. Non ho capito bene come sia successo, ma il film è riuscito pian piano a farsi strada nella mia mente e in men che non si dica ero totalmente immersa all’interno della storia.

È un film semplice, onesto e diretto che alterna scene divertenti a parti tristi dalle quali abbiamo l’opportunità di capire la complessità della figura del protagonista. Quello che effettivamente ho imparato è che chiunque può essere un eroe, nel suo piccolo.
Sicuramente è un film strano, ma caratterizzato da una grande carica emozionale e che secondo me vale la visione, anche solo per vedere un film con uno stile diverso dal solito.

rating 3
annafirma

Recensione: Carnage di Roman Polanski

Salve a tutti! Come potete vedere noi non andiamo in vacanza e oggi pubblichiamo lo stesso! [in realtà vi confesso che il post lo sto scrivendo di notte sennò non avrei fatto in tempo tra una cosa e l’altra, ma per voi cari lettori questo ed altro :)] Il film di oggi è un film particolare del noto regista Polanski che solo ora rimembro essere lo stesso de “Il Pianista”.

carnage
Titolo: Carnage
Titolo originale: Carnage
Regia: Roman Polanski
Anno: 2011
Durata: 80 min
IMDB

In un misurato appartamento di Brooklyn due coppie provano a risolvere civilmente la rissa tra i rispettivi figli. Ricevuti con le migliori intenzioni dai coniugi Longstreet, genitori della parte lesa, i Cowan, legale col vizio del BlackBerry lui, broker finanziario debole di stomaco lei, corrispondono proponimenti e gentilezza. Almeno fino a quando la nausea della signora Cowan non viene rigettata sui preziosi libri d’arte della signora Longstreet, scrittrice di un solo libro, attivista politica di troppe cause e consorte imbarazzata di un grossista di maniglie e sciacquoni. L’imprevisto ‘dare di stomaco’ sbriglia le rispettive nature, sospendendo maschere e buone maniere, innescando un’esilarante carneficina dialettica.

Questa volta mi tocca dire che il film non mi è piaciuto, o meglio, non mi ha lasciato niente in realtà. Il film si svolge interamente all’interno di questo appartamento dove queste due coppie discutono dell’episodio avvenuto tra i figli. Quello che secondo me vuole essere messo in evidenza è come gli adulti in realtà mascherino i propri comportamenti sentendosi migliori degli altri e quindi cercando di apparire come tali. Però dietro alla facciata di ognuno si nasconde un malessere che pian piano emerge e bastano poche frecciatine per far perdere le staffe a tutti, mettendo in mostra il loro lato peggiore.

Ti ritrovi in questo appartamento, nel mezzo della lite e ti senti fuori posto, o almeno così mi sono sentita io. Non mi aspettavo che la discussione tra i genitori durasse tutto il film è, onestamente, guardare un film in cui vedi solo persone che discutono della rissa dei figli mi ha annoiato (meno male che il film è corto). Il vedere come poi loro diventino infantili e comincino a prendersela per delle cavolate invece di farmi ridere l’ho trovato un po’ triste.

Nancy e Alan infatti cercano più volte di tagliare la conversazione e tornare a casa ma non capisco come mai, alla fine rientrano sempre in discussione con l’altra coppia di genitori. Ora, voglio essere onesta: ma perché miseria devi rientrare in questa casa a discutere con persone che non ti piacciono di un fatto di cui, per quanto riguardi tuo figlio, a te non frega niente? Boh, fosse per me il film sarebbe terminato al primo tentativo di Alan di tornare al lavoro.

Un cast non da poco, troviamo infatti Kate Winslet, Jodie Foster e Christoph Waltz (attori di un certo calibro insomma) che in questo film mi sono sembrati limitati: bravi, ma sprecati per un film del genere. Ammetto che oltre al Pianista, non ho visto altri film di Polanski quindi forse non ho potuto cogliere le varie sfumature del film e apprezzarlo come in teoria avrei dovuto.

rating 2
annafirma

Recensione: Colazione da Tiffany di Blake Edwards

Ciao a tutti! È stato un intenso weekend tra pranzi e cene vari e stamattina, invece di scendere dal letto, sono rotolata giù xD. Come ogni lunedì, iniziamo con il nostro appuntamento con il cinema e il film che vi propongo oggi è un grande classico che probabilmente molti di voi hanno visto: Colazione da Tiffany.

colazione da tiffany
Titolo: Colazione da Tiffany
Titolo originale: Breakfast at Tiffany’s
Regia: Blake Edwards
Anno: 1961
Durata: 115 min
IMDB

Holly è una provinciale – ma molto sofisticata – che vive a New York. Paul è un giovane scrittore protetto da un’amante più anziana di lui. Holly e Paul abitano nello stesso palazzo. Si conoscono, diventano amici. La ragazza, che mira a sposare un miliardario, passa da una festa all’altra, rincorre il tempo, è fragile, passa da depressioni profonde a esaltazioni sfrenate. Ma non manca mai, la mattina, rientrando da una festa, di far colazione davanti alle vetrine di Tiffany, la leggendaria gioielleria. Sposare un ricchissimo messicano cancellerà i fantasmi del suo passato ma il magnate che frequenta si tira indietro. A Holly rimane Paul, che l’ama davvero, e forse anche lei contraccambia.

La prima cosa che ho pensato durante le scene iniziali è stata: “Cavolo, è un film vecchio ma mi sta piacendo un sacco”. Posso solo confermare che i classici non tramontano mai. L’impostazione della recitazione è quella dei film anni ‘60 e guardando il film ora fa un po’ strano ma l’ho trovata affascinante. Non so bene spiegarmi in realtà: è teatrale, perché le espressioni degli attori sono abbastanza caricate. La pellicola leggermente sgranata e i colori caldi conferiscono un che di vintage al film che non mi dispiace.

È stato il primo film con Audrey Hepburn che ho guardato e la cosa che mi ha colpito è che, attorno a sé, ha un’atmosfera particolare, ha un’aria molto elegante. Il suo personaggio nel film, Holly, è decisamente un tipetto: frequenta gente di ogni tipo tra artisti, uomini ricchi e addirittura malviventi. È una donna che ha paura di legarsi veramente a qualcuno o qualcosa e che alla fine rifiuta tuti gli uomini e non dà un nome al gatto. Tutto questo lo fa in nome della sua libertà ma, inconsciamente, è lei che si costruisce questa sorta di gabbia. Certe volte il comportamento di Holly ci può sembrare frivolo o inappropriato, ma è solo proseguendo col film che capiamo qualcosa in più sul suo conto venendo a conoscenza del suo difficile passato.

Holly fa spesso colazione davanti la vetrina di Tiffany. Infatti, solo in questa gioielleria riesce a trovare un’atmosfera tranquilla e serena, non tanto per i gioielli (a lei piacciono solo i diamanti) ma perché, come lei stessa dice, da Tiffany non ti può succedere nulla di negativo.

Se io trovassi un posto a questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany, comprerei i mobili e darei al gatto un nome!

Holly percepisce di essere prigioniera in questa sorta di gabbia e ne attribuisce la colpa agli altri. Solo grazie al forte amore che Paul prova nei suoi confronti, alla fine riesce a capire che è tutta opera sua, riuscendo così ad arrendersi alla realtà e decidendo di “appartenere a qualcuno”.

Il film è molto romantico, ma non un romanticismo melenso e sdolcinato (anche perché al loro primo incontro Paul viene friendzonato all’istante). L’amore tra i due è graduale e molto sottile, nasce man mano che lui inizia a comprendere lei e viene ricambiato quando Holly lo ammette a sé stessa, capendo che non può continuare a scappare dalla realtà: la felicità è un sentimento che si ottiene solo se condiviso con qualcuno. E il bacio finale sotto la pioggia penso sia diventata una delle scene più pittoresche e romantiche che un film mi abbia mai regalato.

Ho amato profondamente i vari vestiti e acconciature della Hepburn nel film. Inoltre tutta l’eleganza e la cura con cui lei appare nel film ho potuto ritrovarla anche nella sua recitazione. Detto ciò, dopo aver visto il film ho finalmente capito come Audrey Hepburn sia diventata un’icona del cinema. Una perfetta armonia tra regia, recitazione e ambientazione ha reso questo film un intramontabile evergreen del cinema.

rating 5
annafirma