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Recensione: Hyperversum di Cecilia Randall

Torno dopo più di un mese con una recensione, la prima di questo 2016. In realtà l’ho scritta a dicembre, ma tra una cosa e l’altra non l’avevo ancora postata. Il libro è il primo di una trilogia, scritto da un’autrice italiana. Non leggo spesso libri italiani, ma mi piace trovare libri così piacevoli quando lo faccio.
hyperversum cover
Titolo: Hyperversum (Hyperversum #1)
Autore: Cecilia Randall
Editore: Giunti
Disponibile in italiano:
Goodreads

Daniel ha una passione bruciante per un videogioco online, Hyperversum, che trasporta la sua fantasia nella storia. Dentro la realtà virtuale ha imparato a essere un perfetto uomo del Medioevo e conosce tutte le astuzie per superare ogni livello di gioco.
Ian ha una laurea e un dottorato in storia medievale. Dalla morte dei suoi genitori è diventato parte della famiglia di Daniel. Al rientro da un soggiorno di studi in Francia, Ian raggiunge la sua “famiglia acquisita” per una cena e, naturalmente, per tornare a giocare col suo amico Daniel al loro videogame preferito.
Davanti allo schermo non sono soli: ci sono il piccolo Martin, Jodie, la ragazza di Daniel, e, collegati da un altro computer, Carl e Donna.
Mentre vivono la loro avventura virtuale nel Medioevo, vengono sorpresi da una tempesta che li tramortisce: Dan, Jodie, Ian e Martin si ritrovano in Fiandra, nel bel mezzo della guerra che vede contrapposte Francia e Inghilterra.
Si apre per loro una nuova vita, nuove strade, un nuovo amore…

 

Ricordo bene il momento in cui ho preso per la prima volta in mano Hyperversum. Ero in Austria, a casa dei miei zii e mi trovavo in un momento della mia vita in cui i miei cugini non erano esattamente le persone con cui avrei voluto passare il mio tempo e quindi passavo le ore a leggere sul divano. Non possedevo ancora il Kindle e i libri che mi portavo da casa mia finivano sempre troppo in fretta. Cosa fare quindi se non andare dalla zia e chiederle di poter sbirciare nella sua libreria?
Saranno passati almeno 5 anni da quando mia zia mi ha dato in mano tre mattoncini colorati dicendomi: “È una trilogia che ho appena comperato e ho divorato in pochi giorni. Non ti dico di cosa parla, prendi e leggi”. Sia mai che possa rifiutare un’offerta del genere e pochi minuti dopo ero accoccolata sul divano con una coperta e il primo volume: Hyperversum.

Tendenzialmente non leggo romanzi storici: non mi piace la storia e mai mi piacerà, ma questo volume aveva qualcosa di diverso, un videogame. Assurdo come a volte sia un dettaglio a convincerti a dare una possibilità ad una storia oppure ad allontanarti da essa.
A questo punto vi starete chiedendo (ma magari no) perché sto tirando fuori un libro letto così tanti anni fa. Beh, il succo della storia è che ho riletto tutta la trilogia in occasione dell’uscita di un nuovo libro della saga a inizio 2016. Mi ero rassegnata, al tempo, alla fine della storia e avevo accettato la conclusione, nonostante non l’avessi pienamente condivisa. Eppure l’idea di una continuazione mi ha fatto tornare la voglia di ritrovare quei personaggi e quelle storie e ne ho approfittato per vedere se ricordavo tutto e se a distanza di così tanti anni avrei valutato allo stesso modo i libri. Ma iniziamo questa benedetta recensione!

Daniel e Ian, amici da sempre, hanno una passione in comune, oltre al tiro con l’arco: giocare a Hyperversum, un gioco per computer in cui grazie a dei guanti e a un visore, il giocatore può calarsi nei panni di un avatar e affrontare le più svariate avventure in ogni luogo e tempo passato. Quando Ian rientra in America dopo anni passati in Francia a studiare, i due decidono di buttarsi in un’avventura creata proprio da Ian per l’occasione. Insieme al fratellino di Daniel, Martin, a Jodie, ragazza di Daniel e ad altri due amici, iniziano a giocare. Sono in Francia, circa nel 1200 e si trovano su una nave diretta verso il porto. All’improvviso arriva una tempesta e la nave affonda. È quando i ragazzi raggiungono la riva che iniziano a rendersi conto che qualcosa non va. Carl e Donna, gli amici di Daniel sono spariti e loro non hanno più indosso nulla degli oggetti che il gioco concede se non i vestiti. Sentono freddo e fame e tutto sembra estremamente reale. Il lettore a questo punto dovrebbe aver già capito cosa sta succedendo e piano piano anche i protagonisti ci arrivano. Hyperversum li ha trasportati nel tredicesimo secolo e loro non sono in grado di tornare a casa.
Con questa piccola introduzione concludo il racconto della trama perché non voglio rischiare di spoilerare nulla.

L’idea di un libro del genere, di per sè, è geniale, ma il libro ha un problema principale che nella prima lettura non avevo notato, forse perché ero troppo giovane o perché semplicemente da allora sono diventata molto più critica verso quello che leggo: i personaggi pricipali sono tutti perfetti. Pare esserci una distinzione tra buoni e cattivi assoluta. Ian e Daniel, ma soprattutto Ian, non sbagliano quasi mai e se per caso dovesse accadere, riescono comunque a tirarsi fuori dai guai senza troppi problemi. Ci fossi stata io al loro posto (o qualunque altra persona di mia conoscenza) sarei stata uccisa nel giro di due giorni oppure avrei combinato un disastro dietro l’altro, non essendo abituata agli usi e costumi del tempo. Anche avendo uno storico assieme a me, non penso sarei resistita a lungo. Lo sceriffo inglese che vuole uccidere Ian, sembra possedere ogni qualità negativa, in modo da renderlo il cattivo più cattivo di sempre. Peccato che la cosa, a lungo andare, sembri quasi forzata e più di una volta mi sono ritrovata a girare pagina sperando che succedesse qualcosa di grave perché non era possibile che andasse sempre bene tutto a questi benedetti ragazzi. Ora, lo so che di avventure ne hanno passate tante e hanno sofferto tutti, chi più ci meno, ma alla fine della fiera le cose sono sempre perfette.

Chi ha il coraggio di combattere e di affrontare il sangue per ciò che ritiene giusto rimane marchiato. È un marchio che ti viene inciso addosso, fuori e dentro, e che ti trasforma per sempre. Non è facile sopravvivere dopo averlo ricevuto… comincio a capire che ci vuole molto più coraggio a portarlo addosso che a riceverlo. E se il marchio è così profondo, forse solo un eroe può sopportarlo…

Altra piccola pecca che mi ha fatto un po’ storgere il naso è stato il fatto che l’autrice abbia praticamente ingnorato tutti i personaggi che non fossero Ian o Daniel. Certo, i due incontrano un sacco di persone e molte di queste compariranno più o meno volte all’interno dell’intero romanzo, ma sono sempre i due ragazzi al centro dell’attenzione. Jodie e Martin, a parte qualche frase buttata lì per caso o qualche colpo di genio per salvare la situazione, sono totalmente inutili. Non parliamo di Isabeau, bellissima dama medievale di cui Ian è perdutamente innamorato. La vediamo come coraggiosa donna all’inizio del libro per poi vederla relegata al ruolo della mogliettina che viene interpellata solo quando richiesto con il passare del tempo.

Tutto sommato, però, il libro scorre veloce ed è una lettura molto piacevole. Mi è piaciuto da morire tutto il gioco di intrighi e incastri a cui assistiamo e scoprire come i giovani si inseriscano piano piano all’interno della vita medievale è molto interessante.
Insomma, una possibilità ad Hyperversum gliela darei di sicuro se fossi in voi e se invece già lo avete letto, che ne avete pensato?

rating-4

mon firma

Recensione: Il Ritorno di Diana Gabaldon

Buongiorno!
Giuro che ci provo con ogni libro che finisco, ma il tempo è poco – e quindi sono pochi anche i libri – e le idee per le recensioni ancora meno.

Non che questa volta sia meglio, ma la vittima in questione è ‘Il ritorno’ di Diana Gabaldon, ovvero il terzo libro della serie della Straniera, conosciuta anche come Outlander. Stiamo tutti – più o meno – aspettando la seconda stagione della serie tv che ci ha definitivamente fatte innamorare di Jamie – o no? – e nel frattempo io intervallo ad altri libri questa serie. Prima o poi arriverò in fondo.
Tornando a noi, qui e qui potete trovare le recensioni dei primi due libri della serie, rispettivamente ‘La Straniera’ e ‘L’Amuleto d’Ambra’.

Il Ritorno
Titolo: Il ritorno (Outlander #3)
Titolo originale: Dragonfly in Amber (Part 2)
Autore: Diana Gabaldon
Editore: TEA
Disponibile in italiano:
Goodreads

Nell’Amuleto d’ambra Claire Randall, viaggiatrice nel tempo e nello spazio, aveva incominciato a spiegare una difficile verità alla figlia Brianna: negli anni in cui era ufficialmente data per dispersa, fra il 1945 e il 1946, era in realtà precipitata, attraverso il magico cerchio di pietre di Craigh na Dun, nella Scozia del Settecento, dove si era innamorata follemente del nobile James Fraser. In un susseguirsi di avventure palpitanti, tra campi di battaglia e manieri misteriosi, i due amanti consumano la loro ardente passione, consapevoli che Claire, prima o poi, si sarebbe trovata di fronte a una difficile e dolorosa decisione: seguire il suo uomo perdendosi definitivamente nel passato, o tornare a un presente che ormai non le appartiene più, con la sola speranza di portare con sé una traccia del suo amato…

Sullo sfondo di una Scozia settecentesca magica ed evocativa, Diana Gabaldon ci regala un romanzo intenso e appassionante che offre immagini suggestive di un passato lontano visto attraverso lo sguardo di una donna del ventesimo secolo.

 

Vediamo un po’ cosa posso dirvi di questo libro che ho apprezzato quanto i precedenti volumi della serie.
Prima cosa, è evidentissimo che nell’edizione originale fosse tutt’uno con ‘L’amuleto d’ambra’. Quel libro, infatti, iniziava ambientato nel presente, con Claire che racconta a Brianna, sua figlia, e a Roger – del quale scopriamo le origini alla fine – la sua storia per provare a convincere Brianna del fatto che il suo vero padre sia Jamie e non Frank come la ragazza ha sempre pensato. Ne ‘Il ritorno’ ci troviamo direttamente nella storia raccontata da Claire esattamente dove l’avevamo lasciata, con Claire che riappacifica con Jamie, e quindi nel passato. Solo verso la fine del libro ci ritroviamo nel presente. Con Claire che, finita la sua storia, ascolta la reazione di Brianna che, ovviamente, non vuole crederle.

Non che ci sia molto da dire in realtà. I personaggi ormai li conosciamo, e di nuovo troviamo solo il nonno di Jamie. Grazie a questa new entry conosciamo un altro pezzo della storia dello scozzese prima dell’arrivo di Claire.
Jamie e Claire continuano a viversi, conoscersi e innamorarsi sempre di più e sono dell’idea che il loro rapporto diventi ogni momento più bello. Claire sta iniziando ad abituarsi, anche se non del tutto, agli usi e costumi del tempo e questo rende in un certo modo più semplice il suo rapporto con Jamie.

“Jamie, io ti amo”
“Lo so” rispose sottovoce “Certo che lo so, tesoro. Lascia che io te lo dica nel sonno, quanto ti amo. Perchè non c’è molto che io possa dirti mentre siamo svegli, se non le stesse, povere parole, ripetute ancora e ancora. Mentre dormi tra le mie braccia, invece, posso dirti cose che suonerebbero sciocche nella veglia, e i tuoi sogni sapranno che sono vere. Dormi, mo duinne.”

Il libro scorre, secondo me, più velocemente del precedente, il quale si è svolto tutto a Parigi e dintorni ed era incentrato sulla vita di corte. Qui, invece, c’è molta più azione: la guerra, i combattimenti e un sacco di spostamenti dei due in giro per la Scozia.

Nonostante finora abbia decisamente preferito le parti ambientate nel passato rispetto quelle ‘attuali’, devo dirvi che la parte finale di questo volume non mi è dispiaciuta per nulla.
Sono curiosa di vedere dove ci porterà il quarto libro della serie e dove sarà ambientato. Ormai Claire, con la sua storia, è arrivata al momento del suo ritorno. Ma dubito che i prossimi millanta libri siano tutti ambientati nel presente.

Diciamo pure che questo discorso di Jamie fa ben sperare. Lo ritroveremo, ne sono certa.

“Ti troverò”, mi sussurrò all’orecchio. “Te lo prometto. Se dovrò sopportare due secoli di purgatorio, duecento anni senza di te… allora vorrà dire che sarà la punizione che mi sono meritato per i miei crimini: perchè ho mentito, ucciso, rubato e tradito. Ma c’è un’unica cosa che ristabilirà l’equilibrio. Quando sarò al cospetto di Dio, ci sarà un’unica cosa che farà pendere la bilancia in mio favore, contro tutto il resto”.
La sua voce si abbassò fin quasi a un sussurro, e le sue braccia si strinsero intorno a me.
“Signore, mi hai dato una donna straordinaria e Dio! io l’ho amata come si deve.”

Detto questo, ragazzi, buona lettura. E un abbraccio di incoraggiamento a chi sta aspettando la seconda stagione della serie, ce la possiamo fare!

rating 4

kia firma

Recensione: Megane di Naoko Ogigami

Buongiorno! Il Natale si avvicina, Michael Bublè ormai è diventato la colonna sonora dei nostri giorni e la preparazione fisica ai pranzi di Natale sta avendo inizio. In questo periodo sto recuperando tutti gli Star Wars e tra un film e l’altro e mi guardo qualche filmetto orientale come quello di oggi. ‘Megane’ (letteralmente ‘occhiali’) è della stessa regista giapponese Naoko Ogigami di cui avevo recensito un po’ di tempo fa Yoshino’s Barber Shop (la recensione la trovate qui).

Megane
Titolo originale: Megane
Regia: Naoko Ogigami
Anno: 2007
Durata: 106 min
IMDB

Taeko an stressed out career woman leaves her stressed out life in the city for an island vacation. The vacation does not become what expected, as everyone on the island are rather strange.

 

Il film è decisamente particolare e chi non si è mai approcciato al cinema orientale potrebbe trovarlo un po’ senza senso. Ammetto che anche ripensandoci molte volte dopo averlo visto devo ancora effettivamente capire la scelta del titolo. Il film parla di quest’insegnante, Taeko, che si rifugia per le vacanze in quest’isola sperduta del Giappone, talmente remota che i telefoni non prendono. Qui Taeko fa conoscenza con i pochi della locanda, ovvero il proprietario Yuji, una donna anziana di nome Sakura che gestisce un baracchino di granite lungo la spiaggia e Haruna, una giovane insegnate di biologia e quotidiana frequentatrice della locanda. Venendo dalla grande città, Taeko fa fatica a capire le abitudini della gente del posto che è molto cordiale e la invitano sempre a partecipare alle attività quotidiane come, ad esempio, i “merci exercises” ovvero esercizi di aerobica mattutini in riva al mare per ringraziare del nuovo giorno. Il resto del film si concentra principalmente sull’interazione di questi personaggi e sul come trascorrono le giornate in questa isoletta.

Il film ha un ritmo abbastanza lento che riflette l’atmosfera pacata e surreale che traspare dal susseguirsi di inquadrature di paesaggi dai colori pastello o da scene in cui i protagonisti sono impegnati nelle attività più banali quali il mangiare, la pesca, etc. Uno dei principali passatempi è quello che Yuji e Sakura chiamano “twilighting”, ovvero fermarsi a contemplare l’orizzonte riflettendo su qualcosa. Sono il proprietario della locanda e l’anziana donna a spiegare a Taeko che è proprio questo “fermarsi a osservare l’orizzonte” che attira le persone in quel luogo, dove non c’è molto altro da fare. Ma in tutto ciò, Haruna osserva che a Taeko non riesce molto bene il “twilighting” perché è ancora troppo presa dai ritmi della città e perché si fa mille problemi per le cose più semplici, non riuscendo a capire come gli altri riescano a sentirsi soddisfatti e appagati nel loro quotidiano.

Nonostante a prima vista il film possa sembrare noioso, devo dire che invece è molto divertente, non perché comico ma piuttosto perché ci sono delle scene e alcune reazioni dei personaggi che sono davvero inaspettate. Una delle tante, per esempio, è quella in cui Taeko si sveglia la mattina e si trova in camera Sakura in ginocchio che le sorride (un po’ in maniera inquietante) e le da il buongiorno; penso che se fosse toccato a me le avrei lanciato qualcosa. Ma come in altri film orientali, alla fine di tutto si nasconde sempre un piccolo insegnamento, che in questo caso consiste nell’apprezzare le piccole cose di ogni giorno e la vita stessa che molte volte diamo per scontato. Piano piano veniamo cullati da questa realtà calda e tranquilla e invitati a prenderci del tempo per noi stessi. Ed è a questo punto che osservare l’oceano e fare degli esercizi di aerobica diventano un momento importante e speciale della giornata.

rating 3
anna firma

Recensione: Carry On di Rainbow Rowell

Sono passati mesi dall’ultima recensione che ho scritto e questa non è decisamente quella che avrei voluto scrivere per prima, ma mi è venuta abbastanza di getto, quindi mi sono detta: “Perché no?!”.
Kia fra poco mi mangiava se non le scrivevo almeno una recensione quindi questa è decisamente dedicata a lei 😉

Vi lascio alla lettura senza perdere altro tempo!

carry on
Titolo: Carry On
Autore: Rainbow Rowell
Editore: St. Martin’s Griffin
Disponibile in italiano: No
Goodreads

Simon Snow is the worst chosen one who’s ever been chosen.

That’s what his roommate, Baz, says. And Baz might be evil and a vampire and a complete git, but he’s probably right.

Half the time, Simon can’t even make his wand work, and the other half, he sets something on fire. His mentor’s avoiding him, his girlfriend broke up with him, and there’s a magic-eating monster running around wearing Simon’s face. Baz would be having a field day with all this, if he were here—it’s their last year at the Watford School of Magicks, and Simon’s infuriating nemesis didn’t even bother to show up.

Carry On is a ghost story, a love story, a mystery and a melodrama. It has just as much kissing and talking as you’d expect from a Rainbow Rowell story—but far, far more monsters.

 

Carry On mi ha dato subito l’impressione di essere uno di quei libri che o ami alla follia o non riesci proprio a buttare giù. Nel mio caso è stato un miscuglio delle due cose. Il romanzo nasce dalla penna di Rainbow Rowell che fino ad ora non ha mai deluso le mie aspettative. I suoi libri sono sempre molto scorrevoli e dolci, ricchi di colpi di scena e personaggi che sembrano reali. Carry On è una sorta di spin-off di Fangirl, che io avevo letteralmente divorato e amato. Devo ammettere che, al tempo, non ero stata particolarmente attirata dai mini spezzoni che la Rowell aveva pubblicato su Simon e Baz, perché ero concentrata sulle vicende di Cath e sul suo cercare il proprio spazio nel mondo, ma piano piano la curiosità è salita e, quando ho scoperto che la Rowell avrebbe pubblicato un libro dedicato ai due maghi, ho deciso di provarci.

A distanza di anni dalla fine della saga di Harry Potter, mi ritrovo ancora a storcere il naso ogni volta che inizio una storia che parla di maghi e magia. Ho notato, da quando abbiamo aperto questo blog e da quando ho iniziato a prestare attenzione alle recensioni degli altri, che non è un problema solo mio. Chi ha letto e amato Harry Potter tende a trovarlo un po’ ovunque e Carry On non è escluso da tutto ciò.
Nella prima parte del romanzo, queste affinità erano tremendamente evidenti e a volte sono stata tentata di posarlo e non continuarlo perché mi risultava strano e un po’ anche perché non mi stava coinvolgendo per niente. Il romanzo viene raccontato da una moltitudine di personaggi diversi e piano piano si iniziano a capire gli intrecci tra di loro e potersi immergere nei loro pensieri permette una compresione della storia molto più profonda. Se il romanzo fosse stato raccontato interamente dal POV si Simon, avrei quasi sicuramente mollato a metà.

Simon è il Prescelto, il ragazzo destinato a sconfiggere il cattivo di turno e salvare il mondo dei maghi, ma se avete mai pensato che Harry Potter fosse un Prescelto ignobile, Simon vi sembrerà una barzelletta. È il mago più potente mai nato, racchiude in sé poteri inimmaginabili, ma è assolutamente incapace di utilizzarli. I poteri di Simon hanno solo due modalità: zero assoluto o bomba atomica. Snow è sempre affamato, non pensa mai prima di agire e non si rende minimamente conto che ogni azione ha una conseguenza. Dipende dal suo mentore in tutto e per tutto e mi ha dato l’idea di non riuscire a prendere una decisione di testa sua. Come ogni eroe che si rispetti, ha al suo fianco amici disposti a tutto per aiutarlo, o quasi. Penelope è una Hermione meno saccente, ma ugualmente determinata a fare la cosa giusta per il mondo magico e per proteggere i suoi amici. Ha una famiglia tutta strana e mille domande senza risposta, che cerca in ogni modo di risolvere. Agatha, la ragazza di Snow, non sono riuscita ad inquadrarla bene. Mi ha dato la sensazione di essere alla disperata ricerca di normalità, senza poterla mai ottenere davvero. Si è sempre comportata come ci si aspettava da lei, uscendo con Simon e cercando di essere la fidanzata perfetta, finché non capisce che non è quello che desidera davvero.

Più o meno nel momento in cui mi stavo decidendo a mollare il romanzo perché non riuscivo a farmi coinvolgere, è apparso il personaggio che ha cambiato tutto. Chi mi conosce sa che ho una passione per i bad boys in generale e che il bad boy per eccellenza nel mio cuore risponde al nome di Draco Malfoy. Il suo alter ego in Carry On si chiama Tyrannus Basilton ‘Baz’ Pitch ed è un vampiro. Dal momento della sua comparsa, con tanto si portone spalancato mentre tutti lo guardano entrare, Baz è diventato il mio personaggio preferito in questo libro. È un ragazzo aristocratico, cresciuto nel lusso e nella convinzione che ci siano maghi migliori di altri e che questi meritino di più degli altri. La sua famiglia vorrebbe che fosse lui a sconfiggere Snow perché cercano vendetta contro il suo mentore, “The Mage”.
Destino vuole che Baz e Simon siano compagni di stanza dal primo anno di scuola e che siano costretti ogni giorno a fare i conti con la propria rivalità e, per quanto riguarda Baz, anche con sentimenti che non si sarebbe mai aspetto di provare dei confronti dell’altro ragazzo.

Uniti da un patto che mette da parte le loro rivalità per un po’, i due si ritrovano ad affrontare non solo il cattivo della storia (un mostro che pare eliminare la magia ed ha le sembianze di un giovane Simon), ma anche i propri sentimenti, che li spingono inevitabilmente uno verso l’altro. La Rowell ha una delicatezza incredibile nel descrivere storie d’amore, rendendole sempre dolcissime e realistiche. Devo ammettere che, nonostante il romanzo non sia esattamente corto, avrei voluto che certi aspetti venissero approfonditi meglio, come il futuro che aspetta i ragazzi alla fine della battaglia, il passato di personaggi come “The Mage” o Lucy, che emergono piano piano dalla lettura, senza che gli sia dedicato il giusto spazio.

Carry On mi ha dato la sensazione che non ci siano buoni e cattivi in questa storia, ma che ognuno abbia delle convinzioni che lo portano a commettere azioni diverse che hanno conseguenze diverse a seconda della situazione. Baz non è cattivo, come Simon non è sempre buono. Ognuno commette errori e, chi più chi meno, ognuno cerca di risolverli.

Mi è piaciuto davvero tanto come la Rowell abbia deciso di creare gli incantesimi utilizzati all’interno della storia a partire da filastrocche e modi di dire, perché rende il tutto un po’ più divertente e particolare.
Non mi ha convinto del tutto il finale così aperto e avrei voluto qualche indicazione in più su ciò che i personaggi avrebbero dovuto affrontare più avanti, ma mi è piaciuto molto che il finale abbia mostrato che a volte, anche se si pensa di aver perso tutto, ci sono persone al nostro fianco che possono aiutarci a rialzarci e ad andare avanti.

Come dice la trama, Carry On è una storia di fantasmi, d’amore e di mistero con un pizzico di comicità e varie scene che fanno ridacchiare sotto i baffi. I personaggi, insieme, creano un mix da cui, superato il primo quarto di libro, è difficile staccarsi. Avrei voluto poter dare il massimo dei voti a questo romanzo, perché a modo suo fa tornare bambini, immersi in una magia che non potremo mai avere ma che continuiamo a sognare, ma per colpa dell’inizio un po’ lento non mi è stato possibile.

Se avete amato Fangirl, e in generale i libri della Rowell, fate un tentativo con questo romanzo e cercate di non farvi scoraggiare dall’inizio.

rating 4

mon firma