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#1 – 5 motivi per… guardare Galavant

Buongiorno a tutti! C’è chi in primavera fa le pulizie e chi crea nuove rubriche! Oggi infatti siamo orgogliose di dare il via a questa rubrica a cadenza casuale in cui vi esporremo 5 motivi per cui, secondo noi, bisognerebbe guardare un determinato film/serie tv, mangiare più mele, leggere un particolare libro, comprare una tartaruga, imparare il finlandese, etc.
Scherzi a parte, questa rubrica vuole regalarvi vari spunti per nuovi film, libri, serie tv e molto altro. Non abbiamo stabilito una scadenza fissa perché vogliamo che ogni appuntamento sia per voi una sorpresa!

5 motivi per

Detto ciò, inauguriamola con il primo post, ovvero 5 motivi per… guardare Galavant!

galavant

Cos’è Galavant?
Galavant è una serie tv a tema fiabesco in chiave musicale, pensata per riempire la pausa invernale di Once Upon A Time. Per ora è andata in onda solo la prima stagione.

Di cosa parla?
Galavant è un cavaliere a cui Re Richard ruba il suo unico e vero amore, Madalena. Determinato a salvarla e con l’aiuto del suo fidato scudiero Sid e di Isabella, una principessa i cui genitori sono tenuti prigionieri dal re, affronta il viaggio che si rivela ricco di bizzarri imprevisti.

5 buoni motivi per cui qualcuno dovrebbe guardare Galavant.

  1. È veramente divertente! La solita fiaba in cui la fanciulla viene rapita e poi salvata dall’eroe viene stravolta. Galavant è un cavaliere ingenuo che si vede strappare via l’amore della sua vita: Madalena, infatti, preferisce la fama e la ricchezza al vero amore. Una fiaba decisamente non convenzionale i cui sviluppi inaspettati e demenziali saranno causa di risate a non finire.
  2. È una fiaba musicale! Ok, forse a molti non piacciono i musical, ma ci sono al massimo una/due canzoni per episodio quindi si può fare uno sforzo 🙂 A volte anche i personaggi della serie intervengono dicendo che non ne possono più di queste performance musicali, quindi non siete soli da questo punto di vista. Se invece vi piacciono i musical, amerete alla follia questa serie. Le canzoni, infatti, sono allegre e frizzanti e nessun personaggio si salva da queste malattie (le canzoni s’intende).
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  3. È uscita solo una stagione e di conseguenza non dovete fare recuperoni. Quindi, cari telefilm-addicted e persone che non siete ancora entrate nel giro (attenzione una volta entrati è difficile uscirne), 8 episodi da venti minuti li potete guardare tranquillamente in una serata.
  4. Sarà una piccola serie, ma durante gli episodi si incontrano i personaggi più strampalati: monaci che hanno fatto un voto di canto, i pirati di terra, un mago che ha perso la licenza e molti altri! Quindi non c’è tempo per annoiarsi, in ogni episodio succede qualcosa di sorprendentemente assurdo.
  5. Rappresenta qualcosa di unico: una commedia musicale con brani originali! Parola mia, ne verrete conquistati e, senza sapere come, vi ritroverete a cantare le grandi gesta del nostro super affascinante Galavant!
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Un voto da 1 a 5 cupcake?
4 cupcakes con panna!

anna firma

Recensione: Carnage di Roman Polanski

Salve a tutti! Come potete vedere noi non andiamo in vacanza e oggi pubblichiamo lo stesso! [in realtà vi confesso che il post lo sto scrivendo di notte sennò non avrei fatto in tempo tra una cosa e l’altra, ma per voi cari lettori questo ed altro :)] Il film di oggi è un film particolare del noto regista Polanski che solo ora rimembro essere lo stesso de “Il Pianista”.

carnage
Titolo: Carnage
Titolo originale: Carnage
Regia: Roman Polanski
Anno: 2011
Durata: 80 min
IMDB

In un misurato appartamento di Brooklyn due coppie provano a risolvere civilmente la rissa tra i rispettivi figli. Ricevuti con le migliori intenzioni dai coniugi Longstreet, genitori della parte lesa, i Cowan, legale col vizio del BlackBerry lui, broker finanziario debole di stomaco lei, corrispondono proponimenti e gentilezza. Almeno fino a quando la nausea della signora Cowan non viene rigettata sui preziosi libri d’arte della signora Longstreet, scrittrice di un solo libro, attivista politica di troppe cause e consorte imbarazzata di un grossista di maniglie e sciacquoni. L’imprevisto ‘dare di stomaco’ sbriglia le rispettive nature, sospendendo maschere e buone maniere, innescando un’esilarante carneficina dialettica.

Questa volta mi tocca dire che il film non mi è piaciuto, o meglio, non mi ha lasciato niente in realtà. Il film si svolge interamente all’interno di questo appartamento dove queste due coppie discutono dell’episodio avvenuto tra i figli. Quello che secondo me vuole essere messo in evidenza è come gli adulti in realtà mascherino i propri comportamenti sentendosi migliori degli altri e quindi cercando di apparire come tali. Però dietro alla facciata di ognuno si nasconde un malessere che pian piano emerge e bastano poche frecciatine per far perdere le staffe a tutti, mettendo in mostra il loro lato peggiore.

Ti ritrovi in questo appartamento, nel mezzo della lite e ti senti fuori posto, o almeno così mi sono sentita io. Non mi aspettavo che la discussione tra i genitori durasse tutto il film è, onestamente, guardare un film in cui vedi solo persone che discutono della rissa dei figli mi ha annoiato (meno male che il film è corto). Il vedere come poi loro diventino infantili e comincino a prendersela per delle cavolate invece di farmi ridere l’ho trovato un po’ triste.

Nancy e Alan infatti cercano più volte di tagliare la conversazione e tornare a casa ma non capisco come mai, alla fine rientrano sempre in discussione con l’altra coppia di genitori. Ora, voglio essere onesta: ma perché miseria devi rientrare in questa casa a discutere con persone che non ti piacciono di un fatto di cui, per quanto riguardi tuo figlio, a te non frega niente? Boh, fosse per me il film sarebbe terminato al primo tentativo di Alan di tornare al lavoro.

Un cast non da poco, troviamo infatti Kate Winslet, Jodie Foster e Christoph Waltz (attori di un certo calibro insomma) che in questo film mi sono sembrati limitati: bravi, ma sprecati per un film del genere. Ammetto che oltre al Pianista, non ho visto altri film di Polanski quindi forse non ho potuto cogliere le varie sfumature del film e apprezzarlo come in teoria avrei dovuto.

rating 2
annafirma

Recensione: Colazione da Tiffany di Blake Edwards

Ciao a tutti! È stato un intenso weekend tra pranzi e cene vari e stamattina, invece di scendere dal letto, sono rotolata giù xD. Come ogni lunedì, iniziamo con il nostro appuntamento con il cinema e il film che vi propongo oggi è un grande classico che probabilmente molti di voi hanno visto: Colazione da Tiffany.

colazione da tiffany
Titolo: Colazione da Tiffany
Titolo originale: Breakfast at Tiffany’s
Regia: Blake Edwards
Anno: 1961
Durata: 115 min
IMDB

Holly è una provinciale – ma molto sofisticata – che vive a New York. Paul è un giovane scrittore protetto da un’amante più anziana di lui. Holly e Paul abitano nello stesso palazzo. Si conoscono, diventano amici. La ragazza, che mira a sposare un miliardario, passa da una festa all’altra, rincorre il tempo, è fragile, passa da depressioni profonde a esaltazioni sfrenate. Ma non manca mai, la mattina, rientrando da una festa, di far colazione davanti alle vetrine di Tiffany, la leggendaria gioielleria. Sposare un ricchissimo messicano cancellerà i fantasmi del suo passato ma il magnate che frequenta si tira indietro. A Holly rimane Paul, che l’ama davvero, e forse anche lei contraccambia.

La prima cosa che ho pensato durante le scene iniziali è stata: “Cavolo, è un film vecchio ma mi sta piacendo un sacco”. Posso solo confermare che i classici non tramontano mai. L’impostazione della recitazione è quella dei film anni ‘60 e guardando il film ora fa un po’ strano ma l’ho trovata affascinante. Non so bene spiegarmi in realtà: è teatrale, perché le espressioni degli attori sono abbastanza caricate. La pellicola leggermente sgranata e i colori caldi conferiscono un che di vintage al film che non mi dispiace.

È stato il primo film con Audrey Hepburn che ho guardato e la cosa che mi ha colpito è che, attorno a sé, ha un’atmosfera particolare, ha un’aria molto elegante. Il suo personaggio nel film, Holly, è decisamente un tipetto: frequenta gente di ogni tipo tra artisti, uomini ricchi e addirittura malviventi. È una donna che ha paura di legarsi veramente a qualcuno o qualcosa e che alla fine rifiuta tuti gli uomini e non dà un nome al gatto. Tutto questo lo fa in nome della sua libertà ma, inconsciamente, è lei che si costruisce questa sorta di gabbia. Certe volte il comportamento di Holly ci può sembrare frivolo o inappropriato, ma è solo proseguendo col film che capiamo qualcosa in più sul suo conto venendo a conoscenza del suo difficile passato.

Holly fa spesso colazione davanti la vetrina di Tiffany. Infatti, solo in questa gioielleria riesce a trovare un’atmosfera tranquilla e serena, non tanto per i gioielli (a lei piacciono solo i diamanti) ma perché, come lei stessa dice, da Tiffany non ti può succedere nulla di negativo.

Se io trovassi un posto a questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany, comprerei i mobili e darei al gatto un nome!

Holly percepisce di essere prigioniera in questa sorta di gabbia e ne attribuisce la colpa agli altri. Solo grazie al forte amore che Paul prova nei suoi confronti, alla fine riesce a capire che è tutta opera sua, riuscendo così ad arrendersi alla realtà e decidendo di “appartenere a qualcuno”.

Il film è molto romantico, ma non un romanticismo melenso e sdolcinato (anche perché al loro primo incontro Paul viene friendzonato all’istante). L’amore tra i due è graduale e molto sottile, nasce man mano che lui inizia a comprendere lei e viene ricambiato quando Holly lo ammette a sé stessa, capendo che non può continuare a scappare dalla realtà: la felicità è un sentimento che si ottiene solo se condiviso con qualcuno. E il bacio finale sotto la pioggia penso sia diventata una delle scene più pittoresche e romantiche che un film mi abbia mai regalato.

Ho amato profondamente i vari vestiti e acconciature della Hepburn nel film. Inoltre tutta l’eleganza e la cura con cui lei appare nel film ho potuto ritrovarla anche nella sua recitazione. Detto ciò, dopo aver visto il film ho finalmente capito come Audrey Hepburn sia diventata un’icona del cinema. Una perfetta armonia tra regia, recitazione e ambientazione ha reso questo film un intramontabile evergreen del cinema.

rating 5
annafirma

Goodbye Glee – commento di fine serie

Ho pianto. Ho passato la sesta stagione a ripetere che Glee aveva perso tutta la carica e l’essenza delle prime stagioni ma, al momento di dire addio, ho pianto. Sono passati già sei anni dalla prima volta che abbiamo varcato i corridoi del William McKinley High School e dalla prima granita in faccia che abbiamo ricevuto. Il tempo è volato, i nostri glee kids sono cresciuti e ciascuno ha trovato la sua strada, e noi con loro. È giunto quindi il momento di dire goodbye a questa meravigliosa serie.

Non so esprimere bene come mi sento, in realtà devo ancora realizzare che tutto è giunto al termine. Non passerò più le settimane ad aspettare con ansia e trepidazione quali nuove canzoni e incredibili mash-up avrebbero cantato i nostri glee kids (tutto questo mi mancherà un sacco). Una cosa è certa: le canzoni che hanno interpretato mi hanno fatto un po’ da colonna sonora in questi anni e non smetterò mai di ascoltare le loro cover spettacolari! Glee mi ha insegnato a perseguire i miei sogni, a non arrendermi nonostante gli altri pensino che tu non ce la possa fare, che ci vuole coraggio e forza di volontà per riuscire a rimanere fedeli a sé stessi. Ho imparato che i migliori amici sono quelle persone che non avresti mai pensato e che, a volte, i nemici si rivelano degli inaspettati alleati.

Glee mi ha regalato molte emozioni, ho gioito con i glee kids quando riuscivano a vincere le competizioni, ho esultato nel vedere le nostre coppiette mettersi insieme, ho sofferto terribilmente per la scomparsa di Cory Monteith (Finn), ho insultato chi si prendeva gioco dei nostri kids e ho pianto quando è stato il momento di dire addio. A questo ci pensa Mercedes che ci regala un’ ultima emozionante canzone dicendoci “Someday we’ll be together” dicendoci che questo è solo un arrivederci, salutandoci come se domani dovessimo rivederci nell’aula del Glee Club (e già arrivata a questo punto della puntata stavo piangendo a dirotto).

Rivedere tutti i personaggi che hanno partecipato alla serie ha fatto riaffiorare ricordi, episodi, canzoni che avevamo dimenticato. I nostri ragazzi sono cresciuti e ora sanno camminare con le loro gambe e vorrei ringraziare tutti loro per averci regalato emozioni che porteremo sempre con noi. Tra performance entusiasmanti, tutti noi abbiamo sognato (e sognamo ancora) di esibirci insieme ai ragazzi del Glee Club.

Questo episodio conclusivo ha terminato degnamente la serie tv che verrà tramandata negli anni: commuovente al punto giusto (anche se io stavo per affogare nelle lacrime ma questa è un’altra storia) e con canzoni bellissime tra cui un inedito scritto da Darren Criss (Blaine) e interpretato magnificamente da Rachel.

Prima dell’ultima canzone finale con cui tutto il cast si congeda, Sue Sylvester, diventata vice-presidente degli Stati Uniti, ci sorprende un’ultima volta con delle parole che non potrebbero essere più vere e toccanti:

You know, a great big fat person once stood on this stage and told a group of a dozen or so nerds in hideous disco outfits that “glee,” by its very definition, is about opening yourself up to joy. Now, it’s no secret that for a long time, I thought that was a load of hooey. As far as I can see, the glee club is nothing more than a place where a bunch of cowardly losers go to sing their troubles away, and delude themselves that they live in a world that cares one iota about their hopes and dreams, totally divorced from the harsh reality that out in the the real world, there’s not much more to hope for than disappointment, heartbreak and failure. You know what? I was exactly right. But I was wrong about the cowardly part. What I finally realize, it takes a lot of bravery to look around you, and see the world, not as it is, but as it should be. A world where the quarterback becomes best friends with the gay kid, and the girl with the big nose ends up on Broadway. Glee is about imagining a world like that, and finding the courage to open up your heart and sing about it. That’s what Glee Club is. And for the longest time, I thought that was silly. And now, I think it’s just about the bravest thing that anyone could do.

E, dopo aver reso il mio personale grazie ai creatori di questa serie, torno a cantare le mie canzoni preferite (per la gioia della Mon e della Kia).