Film

Recensione: Tutto può cambiare di John Carney

Ciao a tutti e rieccoci qui ad affrontare un nuovo traumatico lunedì. Come ogni volta che devo scegliere il film da recensire, puntualmente ero indecisa tra un paio. Non ero molto convinta circa questo film ma siccome era lì e non avevo troppa voglia di qualcosa di impegnativo, eccolo qui per voi.

20901080
Titolo: Tutto può cambiare
Titolo originale: Begin Again
Regia: John Carney
Anno: 2013
Durata: 104 min
IMDB

Dan Mulligan, produttore musicale in caduta libera, con una figlia adolescente, un matrimonio fallito alle spalle e il vizio della bottiglia, incontra Gretta, una cantautrice inglese in panne sulla banchina della metropolitana. Arrivata a New York col fidanzato quasi celebre e la promessa di una vita da spendere insieme, Gretta perde in un baleno ragazzo e sogni. Autrice di ballate sentimentali, una sera si esibisce suo malgrado in un locale dell’East Village frequentato da Dan. Ubriaco di sventura ma avvinto dalla sua musica, Dan le propone di lavorare insieme per riprendersi il loro posto nel mondo.

Non è stato uno di quei film che mi ha lasciato a bocca aperta o che mi ha tenuto col fiato sospeso, si tratta di un film semplice e, se si può dire, poetico. Dan infatti propone a Gretta di registrare le sue canzoni all’aperto, sfruttando i posti più disparati della Grande Mela. Quest’idea bizzarra ma decisamente geniale ci permette di partecipare a questa recording session davvero curiosa. Dal registrare in un vincoletto sperduto chissà dove alla metropolitana, al tetto di un edificio davanti l’Empire State Building. In questo modo lo spettatore riesce a fare una sorta di passeggiata per i luoghi più intimi di New York con sottofondo le canzoni di Greta ed è proprio questo il punto di forza del film e l’espediente che più mi è piaciuto.

That’s what I love about music… One of the most banal scenes is invested with so much meaning, you know? All these banalities, they’re suddenly turned into these beautiful, effervescent pearls.

Il film in qualche modo vuole farci capire quanto la musica sia molto personale e come questa riempa e ponga sotto una luce completamente nuova alcuni momenti rendendoli unici. E non potrei essere più d’accordo, senza musica, infatti, le mie giornate sarebbero noiose, perderebbero quel qualcosa di “magico”. C’è da dire che ogni tanto inizio a cantare senza rendermene conto (Mon e Kia lo sanno bene), ma effettivamente la musica riesce a rendere speciale qualsiasi momento della giornata.

Detto questo, la recitazione di Keira Knightley è stata elegante ed è stata una sorpresa sentirla cantare (ammetto che ha una voce bellina). Mark Ruffalo non delude neanche questa volta e riesce a creare un bel personaggio che diventa il centro attorno cui ruota tutto il film: riesce infatti a dominare la scena con grande padronanza e carisma. Tra i due attori c’è una buona sintonia e lo scambio di battute nei dialoghi è molto ritmato e si alterna bene con le canzoni.

E’ un film fresco e rilassante, che parla di musica e di come, attraverso questa, i protagonisti riescano a inquadrare le loro vite rimettendole a posto. A mio parere una commedia piacevole e riuscita; l’unica pecca è che forse ricalca alcuni cliché tipici di questo film e per alcuni può apparire “mono-nota”, ma comunque un film di tutto rispetto.


Recensione: Castaway on the moon di Hae-jun Lee

Buongiorno a tutti e buon inizio marzo! Febbraio è volato e il mio unico rimpianto è non essere riuscita a mangiare neanche una frittella 🙁 spero voi ne abbiate mangiate anche per me! Ieri sera, o più correttamente ieri notte, mi sono guardata un film che avevo in lista da anni. Questo è il primo film coreano che ho visto e mi ha piacevolmente sorpreso, così spero capiti anche a voi se deciderete di guardalo.

20901080
Titolo: Castaway on the moon
Titolo originale: Castaway on the moon
Regia: Hae-jun Lee
Anno: 2009
Durata: 116 min
IMDB

Kim è un uomo disperato, al punto che un giorno decide di saltare da uno dei più alti ponti di Seul sul fiume Han. Ma il tentato suicidio fallisce e Kim si ritrova il mattino dopo su un’isoletta in mezzo al fiume. Nonostante la città sia tutt’intorno, Kim non sa nuotare e non riesce a farsi notare da nessuno e deve rassegnarsi a fare il naufrago. Lo noterà, guardando dalla finestra con un cannocchiale, una donna che vive da anni segregata volontariamente in un appartamento e che si deciderà, affascinata da quella strana figura, a uscire dal suo eremitaggio metropolitano.

All’inizio conosciamo Kim, questo impiegato finito sul lastrico e pieno di debiti. Al fallimento del lavoro si somma il fallimento del tentato suicidio a seguito del quale si ritrova prigioniero su quest’isola in mezzo al fiume. Dopo un primo momento di disperazione, vede che pian piano riesce ad adattarsi a questa nuova situazione e diventa una sorta di Robinson Crusoe. Con il passare del tempo l’isolotto non rappresenta più per lui una prigione, ma si trasforma nella sua nuova casa. Nonostante la sventura dell’isolamento dal resto della città, infatti, riesce a trovare una nuova speranza e la volontà di vivere. C’è un momento del film in cui lui trova una bustina di condimento per gli spaghetti e proprio il voler riuscire a fare degli spaghetti con quel poco che trova sull’isola diventa il suo nuovo obiettivo.

Successivamente facciamo la conoscenza di questa ragazza (di cui non sappiamo il nome) che ha scelto di ritirarsi dalla vita sociale isolandosi in camera sua. Non esce da tre anni e per quanto assurdo possa sembrare questo suo stile di vita, lei ci descrive come avviene la sua giornata tipo. L’unica sua finestra sul mondo è questa macchina fotografica con la quale ama fotografare la luna e i vari angoli della città quando sono deserti. Ed è proprio durante una delle prove di evacuazione della città che scopre dell’esistenza di Kim. Da qui in poi comincerà a tenerlo costantemente sott’occhio e per quanto incredibile, i due (entrambi confinati nel loro mondo) inizieranno a tenere una corrispondenza.

Il film vuole lanciare un campanello d’allarme riguardo le varie forme di alienazione conseguenti ad una società che gira attorno al denaro e all’apparenza; non c’è quindi da stupirsi che alcune persone non riescano ad identificarsi e integrarsi in una realtà del genere. La cosa che più sconvolge sono le conseguenze estreme a cui questi sentimenti di alienazione possono portare, come il suicidio o il fenomeno degli hikikomori (coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento). Nonostante i temi che affronta siano di un certo peso, il film riesce in alcuni punti a farci sorridere inserendo i protagonisti all’interno di alcune scene davvero esilaranti, ma senza la pretesa di accaparrasi la simpatia dello spettatore.

Dall’ambientazione alla trama decisamente insolite, ma allo stesso tempo molto interessanti, ho davvero apprezzato il film in tutte sue sfaccettature e ha suscitato in me la curiosità verso il cinema coreano. L’unica pecca è la locandina che, detto tra noi, non è il massimo, ma in realtà raffigura tutti gli elementi chiave del film, quindi mi tocca accettarla così com’è.


Recensione: Little Miss Sunshine di Jonathon Dayton, Valerie Faris

Dopo due giorni tra valli bresciane e trentine in compagnia di alcuni amici rieccomi di nuovo qui! Questa settimana mi sono trovata un po’ indecisa nel decidere il film da recensire, ho infatti spuntato dalla mia Movie Challenge la voce film documentario con “Life in a day”. Molto bello ma non volevo iniziare la settimana parlando di questo film. Ieri sera ho avuto un’illuminazione e ho visto “Little Miss Sunshine”, un film forse non troppo conosciuto o che pochi ricordano. Anni fa avevo visto per caso il trailer, ma onestamente non mi aveva entusiasmato, quindi di fatto non è mai comparso all’interno della mia lista. Una cosa però non ho mai dimenticato: questo furgoncino volkswagen giallo (che più giallo non si può) e oggi finalmente riesco a parlare di questo film che per anni si è rifugiato negli angoli più nascosti della mia mente.



Titolo: Little Miss Sunshine
Titolo originale: Little Miss Sunshine
Regia: Jonathon Dayton, Valerie Faris
Anno: 2006
Durata: 101 min
IMDB

Sheryl, moglie e madre per vocazione, alle prese con il secondo matrimonio, fatica a reggere le fila di un nucleo familiare assemblato a suon di copia-incolla: Richard, marito/padre alla ricerca ossessiva di un improbabile successo editoriale, Dwayne e Olive, rispettivamente adolescente ribelle e mini-reginetta di bellezza di provincia, il nonno, cacciato dalla casa di cura perché cocainomane, e, ultimo in ordine di arrivo, lo zio Frank, fratello di Sheryl reduce da un tentato suicidio. Una sgangherata famiglia, quella degli Hoover, che si ritroverà in viaggio su un cadente pulmino verso il concorso di bellezza per bambine più famoso della California, Little Miss Sunshine, per cui la piccola Olive è stata selezionata.

Davanti a un film del genere non sai bene cosa aspettarti o per lo meno così è stato per me. La storia che si svolge letteralmente on the road vede come protagonisti questa famiglia sgangherata che vuole fare di tutto per far contenta la figlia e farla partecipare a questo concorso di bellezza. Il pulmino giallo (che personalmente adoro) diventa così il teatro su cui ci vengono presentati i vari personaggi e il viaggio rappresenta per tutti loro l’occasione per riconciliarsi con loro stessi prima di tutto e poi con il resto della famiglia.

Durante il tragitto si succedono una serie di eventi esilaranti alternati da momenti più spiacevoli che mettono a dura prova i protagonisti. Dietro l’apparenza, ciascuno sta lottando per superare le proprie sconfitte e ottenere ciò che vuole. Quindi in un certo senso, sostenere Olive nel suo desiderio di partecipare al concorso di ‘Little Miss Sunshine’ rappresenta la possibilità dei genitori di poter dare alla propria figlia il suo piccolo momento di gloria.

Il film si può definire una sorta di tragicomica perché alcune scene ti fanno sorridere lasciandoti una punta di amaro in bocca. Ho apprezzato molto come il film venga raccontato in maniera spontanea e diretta, scandito da scambi di battute incalzanti. Le cose che scopriamo riguardo ai personaggi ci vengono spiegate grazie alle domande che la piccola Olive rivolge ai suoi familiari. La sua curiosità verso il mondo degli adulti la spinge sempre a porre domande per capire la situazione.

Se c’è una cosa che non ho sopportato del film è l’atteggiamento del padre, sempre pronto a infierire e ossessionato dal perseguire i nove step (da lui ideati) per essere dei vincitori nella vita. Questa suo affannarsi infatti, non fa altro che rovinare sempre più il rapporto con la sua famiglia fino quasi a un punto di non ritorno. Come finisce la storia? Beh, non posso dirvi se Olive vince o meno il concorso, ma posso solo garantirvi che il finale sorprendente e inaspettato non deluderà le vostre aspettative.


Recensione: La custode di mia sorella di Nick Cassavetes

Ciao a tutti! Questa settimana ho visto un paio di film ed ero indecisa su quale recensire ma alla fine ho deciso di parlare di un film che ho voluto rivedere dopo tanto tempo: “La custode di mia sorella”. Ma una volta deciso mi sono ritrovata a fissare lo schermo del mio computer a lungo prima di metter giù due righe di senso compiuto. Per fortuna poi mi è venuta l’ispirazione e ho cominciato a picchiettare sulla povera tastiera del computer a ritmo sostenuto (immaginando la Kia e la Mon che mi dicono come sempre di non distruggere i tasti).

L’undicenne Anna Fitzgerald è nata grazie alla fertilizzazione in vitro con le caratteristiche necessarie per poter salvare la sorella maggiore Kate, malata da tempo di leucemia. Oltre ad assistere al calvario della sorella, Anna si è sottoposta a numerose analisi, trasfusioni e iniezioni per salvare Kate. Ma quando la sorella ha bisogno di un rene, Anna però si rifiuta di essere usata. Sente infatti di essere stata messa al mondo al solo scopo di salvare la sorella. Anna così si rivolge ad un avvocato e fa causa ai genitori per avere l’emancipazione medica ed il pieno controllo del proprio corpo.


 

Titolo: La custode di mia sorella
Titolo originale: My sister’s keeper
Regia: Nick Cassavetes
Anno: 2009
Durata: 109 min
IMDB

Il film si concentra sull’ultimo periodo di vita di Kate e noi veniamo accompagnati all’interno della realtà della famiglia attraverso la voci fuori campo dei genitori e dei fratelli che ci raccontano come ciascuno di loro convive con la situazione di Kate. Infatti vi è un continuo alternarsi tra presente e momenti del passato, in cui vediamo il peggioramento di Kate. La cosa che mi piace del film è che la sorella malata non è l’unico nucleo a cui gira la storia, ma il regista vuole farci notare che i genitori hanno sempre “sfruttato” la sorella minore come pezzo di ricambio. Scopriamo quindi che dietro una facciata di serenità familiare, si nascondono molte crepe che stanno distruggendo la famiglia.

This is it. I know I’m going to die now. I suppose I’ve always known that. I just never knew when. And I’m okay with it. Really. I don’t mind my disease killing me. But it’s killing my family, too.

Sebbene Kate abbia già accettato la realtà dei fatti, sua madre non vuole arrendersi, vuole fare il possibile affinché lei possa continuare a vivere. Il suo amore per la figlia la rende cieca a tal punto da non vedere come le sua azioni nei confronti degli altri figli non siano giuste. Kate se ne rende conto e per questo chiede ad Anna di far causa ai genitori, perché vuole far capire che è ora di smettere di lottare, lei infatti vuole trascorrere insieme con la famiglia gli ultimi momenti.

Remember that summer when I went away to camp? And I was so scared that I’d miss you so much guys. Before I got to the bus you told me to take a seat on the left side right next to the window, so I’d be able to look back and see you there. I get the same seat now.

I flashback felici in cui si vede Kate in salute sono accompagnati da canzoni azzeccate che amplificano la drammaticità della storia. Vediamo una giovane Abigail Breslin nei panni di Anna che dimostra grande padronanza del personaggio e un’inaspettata Cameron Diaz che interpreta la madre in maniera molto convincente (nonostante la vediamo soprattutto in commedie, la sua presenza in un film del genere devo dire che non stona).

Se dovessi descrivere il film con una parola sarebbe intenso. Questo perché fin da subito ti mette davanti alla realtà dei fatti. Si apre infatti con la voce di Anna che ci racconta come la sua nascita non sia frutto del caso. Ma oltre al dramma in sé, il modo sapiente in cui il regista racconta le dinamiche familiari, i conflitti interni, le speranze e le paure dei nostri protagonisti è ciò che rende davvero emozionante questo film. La storia viene raccontata in maniera semplice e genuina, senza filtri, in modo che lo spettatore si senta parte della famiglia e partecipi attivamente alle vicissitudini narrate. Infatti questo film ha messo nuovamente a dura prova la mia sfera emotiva perché le lacrime zampillavano dai miei occhi. Diciamo che al regista piace raccontare storie strappalacrime infatti, dopo aver raccontato di un amore ostacolato ne “Le pagine della nostra vita”, ritorna con un film di spessore sulla lotta contro la leucemia (ho pianto così tanto che dovrebbe essere illegale fare film del genere).