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Recensione: La Rivincita di Lois Lowry

Buongiorno a tutti!
Quello di cui vi parlo oggi è un librino che ho letto in meno di una giornata. Mi aspettavano un paio di ore di treno e non avevo voglia di nulla di impegnativo. Spulciando il Kobo, ho trovato ‘La Rivincita: Gathering Blue’ di Lois Lowry, il secondo libro della serie The Giver.

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Titolo: La rivincita (The Giver #2)
Titolo originale: Gathering Blue
Autore: Lois Lowry
Editore: Giunti
Disponibile in italiano:
Goodreads

In una comunità del futuro prossimo, tornata ad uno stadio di vita semi-primitiva, un gruppo di funzionari, conosciuto come il Consiglio dei Guardiani, amministra le leggi dominando la popolazione dall’interno dell’unico edificio moderno del villaggio. Tutti vivono in capanne rudimentali, in lotta per la semplice sopravvivenza, incapaci di qualunque sentimento di empatia e di pietà. I più deboli sono emarginati e rifiutati, ma nonostante questo Kira, deforme dalla nascita, sarà l’unica in grado di guardare oltre quella coltre di abbrutimento a cui tutti sembrano ormai rassegnati. La Rivincita – Gathering Blue è il secondo libro della trilogia di Lois Lowry aperta da The Giver – Il Donatore.

Premesso che La Rivincita non c’entra assolutamente nulla con il primo libro – voci di corridoio mi dicono che le storie si riuniranno nel quarto – vi posso dire che l’ho trovato proprio carino. La storia, per nulla impegnativa, scorre senza problemi lungo le 150 pagine. Dopodichè ci si trova a cercarne altre.
Ne ‘Il Donatore’ ero rimasta parecchio impressionata dalla società che Lowry ci presentava. Una comunità del futuro molto schematica e organizzata in maniera maniacale, in cui una delle cose più inquietanti è la totale assenza di colori.
Qui i colori ci sono e sono uno dei punti intorno a cui ruota la storia. Anche questa società è particolare, seppur completamente diversa dalla prima. La vita in comunità è una lotta continua e le differenze – che ne Il Donatore venivano annullate in ogni modo possibile – qui sono accentuate. E chi è diverso è spesso costretto all’isolamento o all’esilio nella Landa.
Kir, la protagonista, nasce orfana di padre e con una malformazione alla gamba. Secondo le regole non dovrebbe nemmeno ricevere un nome a una sillaba – quelli dei bambini – per evitare che lo spirito entri a far parte del suo corpo. Ma sua madre decide di lottare per lei, di salvarla e di crescerla senza farla pesare sulla società. Le insegna a sopportare gli sguardi e le dicerie a testa alta e a trarre la sua forza dal dolore e la fatica. Kir cresce, conquista la seconda sillaba diventando Kira e intanto lavora nella capanna della tessitura. Sempre grazie a sua madre scopre di avere un dono, una capacità fuori dal normale, che la porta a intrecciare i fili e ricamare come nessun’altro.

La morte della madre determina l’inizio di un nuovo periodo della sua vita. Si ritrova in fatti abbandonata e, a causa della sua malformazione, anche mal vista e bersaglio di cattiverie e soprusi. Ma il futuro ha in serbo qualcosa di meglio per lei.
Ma è soprattutto l’amicizia che la aiuta ad andare avanti. Sia quella con Matt, un ragazzino della Palude, scalmanato e sporco ma estremamente gentile e sempre sorridente, sia quella con Thomas l’Intagliatore che la aiuta nei momenti di bisogno e solitudine.

Su un libro così breve non ci può essere molto da dire. Come per il primo la cosa che fa più pensare è l’organizzazione della società protagonista. Quello che ci presenta Lowry è un mondo in un certo senso primitivo, dove l’unico obiettivo è la sopravvivenza, a qualunque costo. I bambini crescono piangendo nel fango, senza l’amore di nessuno. Viene insegnato loro a rubare e a non avere nessun rispetto degli altri. Nessuno conosce quello che c’è al di fuori del villaggio, oltre alle Bestie. È la paura a fare da padrona, in ogni momento della vita, in particolare per donne e bambini.
È un mondo completamente contrapposto al benessere – per lo meno apparente – e alla perfezione in cui vivono i protagonisti de “Il Donatore”.

Personalmente sono proprio curiosa di leggere gli altri due libri della serie, per vedere come -e se – Lowry evolve questa sua particolare attenzione alla società in cui posiziona i suoi personaggi.


Recensione: Tutto può cambiare di John Carney

Ciao a tutti e rieccoci qui ad affrontare un nuovo traumatico lunedì. Come ogni volta che devo scegliere il film da recensire, puntualmente ero indecisa tra un paio. Non ero molto convinta circa questo film ma siccome era lì e non avevo troppa voglia di qualcosa di impegnativo, eccolo qui per voi.

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Titolo: Tutto può cambiare
Titolo originale: Begin Again
Regia: John Carney
Anno: 2013
Durata: 104 min
IMDB

Dan Mulligan, produttore musicale in caduta libera, con una figlia adolescente, un matrimonio fallito alle spalle e il vizio della bottiglia, incontra Gretta, una cantautrice inglese in panne sulla banchina della metropolitana. Arrivata a New York col fidanzato quasi celebre e la promessa di una vita da spendere insieme, Gretta perde in un baleno ragazzo e sogni. Autrice di ballate sentimentali, una sera si esibisce suo malgrado in un locale dell’East Village frequentato da Dan. Ubriaco di sventura ma avvinto dalla sua musica, Dan le propone di lavorare insieme per riprendersi il loro posto nel mondo.

Non è stato uno di quei film che mi ha lasciato a bocca aperta o che mi ha tenuto col fiato sospeso, si tratta di un film semplice e, se si può dire, poetico. Dan infatti propone a Gretta di registrare le sue canzoni all’aperto, sfruttando i posti più disparati della Grande Mela. Quest’idea bizzarra ma decisamente geniale ci permette di partecipare a questa recording session davvero curiosa. Dal registrare in un vincoletto sperduto chissà dove alla metropolitana, al tetto di un edificio davanti l’Empire State Building. In questo modo lo spettatore riesce a fare una sorta di passeggiata per i luoghi più intimi di New York con sottofondo le canzoni di Greta ed è proprio questo il punto di forza del film e l’espediente che più mi è piaciuto.

That’s what I love about music… One of the most banal scenes is invested with so much meaning, you know? All these banalities, they’re suddenly turned into these beautiful, effervescent pearls.

Il film in qualche modo vuole farci capire quanto la musica sia molto personale e come questa riempa e ponga sotto una luce completamente nuova alcuni momenti rendendoli unici. E non potrei essere più d’accordo, senza musica, infatti, le mie giornate sarebbero noiose, perderebbero quel qualcosa di “magico”. C’è da dire che ogni tanto inizio a cantare senza rendermene conto (Mon e Kia lo sanno bene), ma effettivamente la musica riesce a rendere speciale qualsiasi momento della giornata.

Detto questo, la recitazione di Keira Knightley è stata elegante ed è stata una sorpresa sentirla cantare (ammetto che ha una voce bellina). Mark Ruffalo non delude neanche questa volta e riesce a creare un bel personaggio che diventa il centro attorno cui ruota tutto il film: riesce infatti a dominare la scena con grande padronanza e carisma. Tra i due attori c’è una buona sintonia e lo scambio di battute nei dialoghi è molto ritmato e si alterna bene con le canzoni.

E’ un film fresco e rilassante, che parla di musica e di come, attraverso questa, i protagonisti riescano a inquadrare le loro vite rimettendole a posto. A mio parere una commedia piacevole e riuscita; l’unica pecca è che forse ricalca alcuni cliché tipici di questo film e per alcuni può apparire “mono-nota”, ma comunque un film di tutto rispetto.


Recensione: Desiderio di Natale di Alessia Esse

Rieccomi, dopo un po’ di blocco da pagina bianca, forse riesco a scrivere nuovamente qualcosa.
Il libro di oggi è ‘Desiderio di Natale’ di Alessia Esse, ovvero la novella che precede la sua nuova serie ‘Nel cuore di New York’.


Titolo: Desiderio di Natale (Nel Cuore di New York #0.5)
Autore: Alessia Esse
Editore: Self
Disponibile in italiano:
Goodreads

Violet Richmond è la proprietaria di World Toys, un negozio di giocattoli situato al centro di Manhattan. Ogni anno, in occasione del Natale, il World Toys si riempie di bambini pronti per la classica foto con Babbo Natale. Quest’anno, però, il solito Babbo Natale non può sedere sulla poltrona dorata, e Violet deve assumere un sostituto, David Connor. David è uno studente di architettura alla prima esperienza in un negozio di giocattoli.
Nonostante i dubbi iniziali, Violet si scopre felice di lavorare con David. Ma c’è dell’altro. Nel corso delle tre settimane che precedono la vigilia di Natale, Violet si scopre profondamente attratta dal ragazzo seduto sulla poltrona dorata.
Cosa succederà quando Violet e David rimarranno da soli nel negozio di giocattoli?

Ho conosciuto Alessia leggendo la Trilogia di Lilac. Tre libri che ho adorato e che mi hanno avvicinata senza possibilità di ritorno al mondo delle distopie.
Il suo lato legato alla romance l’ho scoperto grazie a ‘Vicini’ e ‘Ti ricordi di me?’.
Per una serie di motivi non ho letto subito Desiderio di Natale e oggi, dopo averla divorata in qualche ora, mi pento di non averlo fatto prima. Perché questa novella ha qualcosa di magico, qualcosa che ti tiene incollato alle pagine – che sono decisamente troppo poche – e che ti fa fare il conto alla rovescia in attesa del primo libro della serie.
Violet è la proprietaria di un grande negozio di giocattoli di New York che ha preso un consegna dai suoi genitori. Dopo l’ultima delusione d’amore ha deciso di affidarsi al galateo del sesso occasionale, che le permette di divertirsi senza però farsi male nella ricerca del significato della parola Amore.
Tutti gli anni, a dicembre, ospita nel suo negozio un Babbo Natale che faccia le foto con i piccoli clienti. Ma il Babbo Natale di quest’anno è diverso. Non fa parte di quel mercato ristretto di vecchietti con la pancia e la barba disposti a farsi assalire da centinaia di bambini per tre settimane. Decisamente no. Lui è bellissimo, con degli incantevoli occhi azzurri, i capelli spettinati e la voce che ti scioglie. E per di più è anche gentile, molto gentile.
Violet, quindi, non è più solo la giovane proprietaria del negozio di giocattoli, ma è una venticinquenne single che si è presa una cotta per Babbo Natale. E le cose si mettono male quando David, la sera della Vigilia, si ferma ad aiutarla a riordinare il negozio. Parlando scoprono che entrambi saranno soli quella sera e, complice una nevicata e la ‘sconcissima’ proposta di un panino al tacchino, si ritrovano nell’appartamento di lei.

Come reagirebbe, se gli togliessi il piatto dalle mani, salissi a cavalcioni su di lui e lo baciassi? Male, ecco come. Lascia perdere

Violet è rimasta scottata da una storia in cui pensava di aver trovato l’amore, e nonostante si trovi bene con David e la sua voce interiore continui a tentare di farla ragionare, si comporta in maniera decisamente vigliacca, provando a fuggire, forse più da sé stessa che qualcuno in particolare. David invece è impulsivo, crede che la ‘notte di solo sesso’ possa trasformarsi in qualcosa di più. E prova a trascinare con sé Violet, convincendola che possa realmente succedere qualcosa di bello.

E, chiamatela pure coincidenza, a New York, è Natale. Il giorno in cui i desideri e i sogni, se ci si crede davvero, si realizzano.
E se anche Babbo Natale non esiste, forse al suo posto esistono la magia e la felicità.

Lei dice che a Natale bisogna credere in qualcosa. Che Babbo Natale deve continuare a esistere anche quando sai che è solo una finzione, perché se continui a crederci, allora credi in una magia, e se credi in una magia hai la possibilità di realizzare ogni desiderio.

Vorrei ringraziare di cuore Alessia Esse per avermi regalato l’opportunità di leggere questa novella in cambio della mia onesta opinione.


Recensione: Castaway on the moon di Hae-jun Lee

Buongiorno a tutti e buon inizio marzo! Febbraio è volato e il mio unico rimpianto è non essere riuscita a mangiare neanche una frittella 🙁 spero voi ne abbiate mangiate anche per me! Ieri sera, o più correttamente ieri notte, mi sono guardata un film che avevo in lista da anni. Questo è il primo film coreano che ho visto e mi ha piacevolmente sorpreso, così spero capiti anche a voi se deciderete di guardalo.

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Titolo: Castaway on the moon
Titolo originale: Castaway on the moon
Regia: Hae-jun Lee
Anno: 2009
Durata: 116 min
IMDB

Kim è un uomo disperato, al punto che un giorno decide di saltare da uno dei più alti ponti di Seul sul fiume Han. Ma il tentato suicidio fallisce e Kim si ritrova il mattino dopo su un’isoletta in mezzo al fiume. Nonostante la città sia tutt’intorno, Kim non sa nuotare e non riesce a farsi notare da nessuno e deve rassegnarsi a fare il naufrago. Lo noterà, guardando dalla finestra con un cannocchiale, una donna che vive da anni segregata volontariamente in un appartamento e che si deciderà, affascinata da quella strana figura, a uscire dal suo eremitaggio metropolitano.

All’inizio conosciamo Kim, questo impiegato finito sul lastrico e pieno di debiti. Al fallimento del lavoro si somma il fallimento del tentato suicidio a seguito del quale si ritrova prigioniero su quest’isola in mezzo al fiume. Dopo un primo momento di disperazione, vede che pian piano riesce ad adattarsi a questa nuova situazione e diventa una sorta di Robinson Crusoe. Con il passare del tempo l’isolotto non rappresenta più per lui una prigione, ma si trasforma nella sua nuova casa. Nonostante la sventura dell’isolamento dal resto della città, infatti, riesce a trovare una nuova speranza e la volontà di vivere. C’è un momento del film in cui lui trova una bustina di condimento per gli spaghetti e proprio il voler riuscire a fare degli spaghetti con quel poco che trova sull’isola diventa il suo nuovo obiettivo.

Successivamente facciamo la conoscenza di questa ragazza (di cui non sappiamo il nome) che ha scelto di ritirarsi dalla vita sociale isolandosi in camera sua. Non esce da tre anni e per quanto assurdo possa sembrare questo suo stile di vita, lei ci descrive come avviene la sua giornata tipo. L’unica sua finestra sul mondo è questa macchina fotografica con la quale ama fotografare la luna e i vari angoli della città quando sono deserti. Ed è proprio durante una delle prove di evacuazione della città che scopre dell’esistenza di Kim. Da qui in poi comincerà a tenerlo costantemente sott’occhio e per quanto incredibile, i due (entrambi confinati nel loro mondo) inizieranno a tenere una corrispondenza.

Il film vuole lanciare un campanello d’allarme riguardo le varie forme di alienazione conseguenti ad una società che gira attorno al denaro e all’apparenza; non c’è quindi da stupirsi che alcune persone non riescano ad identificarsi e integrarsi in una realtà del genere. La cosa che più sconvolge sono le conseguenze estreme a cui questi sentimenti di alienazione possono portare, come il suicidio o il fenomeno degli hikikomori (coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento). Nonostante i temi che affronta siano di un certo peso, il film riesce in alcuni punti a farci sorridere inserendo i protagonisti all’interno di alcune scene davvero esilaranti, ma senza la pretesa di accaparrasi la simpatia dello spettatore.

Dall’ambientazione alla trama decisamente insolite, ma allo stesso tempo molto interessanti, ho davvero apprezzato il film in tutte sue sfaccettature e ha suscitato in me la curiosità verso il cinema coreano. L’unica pecca è la locandina che, detto tra noi, non è il massimo, ma in realtà raffigura tutti gli elementi chiave del film, quindi mi tocca accettarla così com’è.