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Recensione: Il Figlio di Lois Lowry

Nuovo libro, nuova recensione.
Ho finalmente ritrovato il tempo per leggere e curare il blog e spero che duri perché mi mancavano davvero tanto entrambe le cose.
Ci sono quei pomeriggi in cui non si ha voglia di letture troppo impegnative e, in uno di quelli, ho deciso di finire la serie di The Giver di Lois Lowry di cui mi mancava solo l’ultimo libro: Il Figlio.

Il figlio
Titolo: Il figlio (The Giver #4)
Titolo originale: Son
Autore: Lois Lowry
Editore: Giunti
Disponibile in italiano:
Goodreads

Questa è la storia di Claire, ma anche di Jonas, Matty, Kira e di molti altri personaggi dell’inquietante realtà distopica inventata dall’autrice. Siamo al Villaggio, Claire ha solo 14 anni e ha ricevuto il ruolo di “Birthmother”: dopo l’inseminazione artificiale diventerà un “contenitore” e partorirà il suo “prodotto”. Nessuno le ha spiegato quanto sarà doloroso, nessuno l’ha avvertita che dovrà portare una benda che le impedirà di vedere suo figlio. Ma il parto di Claire è tutt’altro che semplice: subisce il primo cesareo di tutta la comunità. Per un’imprudenza dell’infermiera viene a sapere che il figlio, il numero 36, sta bene. A causa delle complicazioni, però, Claire viene “decertificata”, dichiarata non adatta a essere una Birthmother e assegnata alla piscicoltura. La ragazza, sconvolta da un’atroce sensazione di perdita, ha ormai un unico scopo: ritrovare suo figlio. L’arrivo al vivaio della nave dei rifornimenti, giunta da un luogo sconosciuto chiamato “mare” con la sua strana ciurma, potrebbe essere il suo mezzo di fuga, quando rapirà il bambino…

 

Vi stavo dicendo ‘lettura poco impegnativa’ ma, come vi avevo già accennato nel parlarvi degli altri libri di questa serie, è poco impegnativa solo se la si prende come storia per ragazzi. In realtà se si pensa con attenzione a quello che si legge, la serie si rivela un po’ più impegnativa dell’apparenza e i temi trattati sono spesso meno leggeri di quanto sembrino.

In questo quarto e ultimo libro si riuniscono i personaggi di tutti gli altri tre, sfruttando come ambientazione sia la Comunità ‘perfetta’ e in bianco e nero dove è nato e cresciuto Jonas – il protagonista del primo libro della serie – sia il Villaggio che troviamo alla fine del secondo e nel terzo libro.

In questo ultimo capitolo della serie, Lois Lowry riporta l’attenzione sulle Partorienti, ovvero le ragazze cui ogni anno la Comunità assegna il compito di creare Neobimbi che verranno poi assegnati alle Unità Famigliari. Scopriamo come questo gruppo di ragazze viva completamente isolato dal resto della Comunità e dedito a questo unico compito. Dopo il terzo Prodotto le ragazze vengono ricollocate e assegnate ad altri lavori utili alla Comunità. Ma per Claire al primo parto si presentano dei problemi e, appena lei si riprende, viene riassegnata al Vivaio Ittico. Ma lei si ricorda il numero che è stato assegnato al suo Prodotto per il primo anno di vita, in attesa che gli venga assegnato un nome. E si mette a cercarlo. Nella storia di Claire entrano in gioco un sacco di sentimenti per noi molto comuni che però le sono sconosciuti in quanto eliminati, grazie a delle pillole, dalla Comunità.

“Ma si sentiva irrequieta adesso, e diversa, in un modo che lei stessa non riusciva a capire. In linea con le esigenze del suo nuovo lavoro e della meticolosità analitica che questo richiedeva, lei cercava di scandagliare sempre più a fondo i propri sentimenti. Non l’aveva mai fatto prima, non ne aveva mai avuto bisogno. Per tutta la sua vita quelli di Claire erano stati sentimenti di… cosa? Rovistò nella sua mente in cerca della parola adatta. Di appagamento. Sì, si era sempre sentita appagata. Tutti si sentivano così nella Comunità. Si provvedeva alle loro esigenze; non mancavano di niente, niente che… Ecco cos’era, capì Claire. Non aveva mai desiderato niente fino ad allora. Ma ora, fin dal giorno della Produzione, sentiva un costante desiderio, un disperato bisogno di colmare un vuoto interiore.
Voleva suo figlio.”

Anche Magia e Amore e forza di volontà fanno la loro parte per rendere queste quasi 300 pagine molto scorrevoli e avvincenti. Nell’ultima parte ritroviamo anche la lotta contro il male, argomento già trattato dall’autrice nella serie. Ritroviamo anche Jonas e Kira, finalmente felici e soddisfatti delle loro vite. Le storie lette negli altri libri si intrecciano fino a formarne una unica.
Le tre diverse società rappresentate sono delineate molto bene sia nelle cose buone che nelle carenze, così come i personaggi primari o comunque importanti per lo svolgimento della storia.

Come nel primo libro, la cosa che mi ha fatto più impressione è stata la Comunità, con la sua assenza di colori, emozioni e animali all’infuori dei pesci da allevamento e con il suo controllo maniacale di ogni aspetto della vita degli abitanti.

Vi dirò la verità, sono abbastanza soddisfatta di come è finita la serie, senza disperazione. Un sacco di finali ancora aperti? Sì, ma mi piace poterlo immaginare come lo preferisco.

rating 4
kia firma

Recensione: La ragazza che hai lasciato di Jojo Moyes

Rieccoci. Mi sono imposta di provare – perlomeno – a scrivere qualcosa di ogni libro letto, altrimenti qui non riprendo più. Qualche tempo fa vi avevo postato un teaser tratto da ‘La ragazza che hai lasciato’ di Jojo Moyes ed è di questo libro che vi voglio parlare oggi.

la ragazza che hai lasciato
Titolo: La ragazza che hai lasciato
Titolo originale: The girl you left behind
Autore: Jojo Moyes
Editore: Mondadori
Disponibile in italiano:
Goodreads

Francia, 1916. Sophie, sposa innamorata del pittore Édouard Lefèvre, allievo di Matisse, è rimasta sola dopo che il marito è partito per il fronte allo scoppio della Grande Guerra. La giovane donna ritorna quindi al suo paese natale nel Nord della Francia, ora occupato dai tedeschi. Con grande audacia Sophie aiuta le famiglie in difficoltà suscitando l’interesse e l’ammirazione del locale comandante delle truppe nemiche, fino al giorno in cui, disperata, è costretta a chiedergli aiuto, dopo aver saputo che Édouard è stato catturato e rischia la vita. Per riaverlo è disposta a offrire ciò che ha di più caro: un bellissimo quadro dipinto dal marito che la ritrae giovanissima, intitolato La ragazza che hai lasciato, divenuto per il tedesco una vera ossessione. Subito dopo, Sophie viene arrestata e portata via. Nessuno sa dove, né si hanno più sue notizie. Riuscirà a riunirsi al suo amato Édouard? Londra, 2010. Liv, vedova trentenne, sta ancora elaborando la dolorosa perdita del marito, un geniale architetto morto all’improvviso quattro anni prima. Ma quando incontra casualmente Paul, prova per lui una forte attrazione. L’uomo lavora per una società che si occupa di rintracciare opere d’arte trafugate durante la guerra, e proprio a casa di Liv vede il quadro che stava cercando da tempo, quello appartenuto un secolo prima a Sophie. Come mai Liv è in possesso di quel prezioso dipinto? E quali conseguenze avrà questa scoperta sulle loro vite?

Sì, sono partita con le aspettative al massimo perché avevo letto ‘Io prima di te’ e mi era piaciuto davvero molto. Partendo da questo presupposto, ‘La ragazza che hai lasciato’ non mi ha completamente soddisfatta.
Tolto il paragone, in realtà, l’ho trovato una lettura molto piacevole: la storia è decisamente carina e la scrittura della Moyes mi piace molto (anche se, secondo me, nella traduzione si è perso qualche tempo verbale).
Vi dico subito cosa non mi ha convinto. La storia si svolge su due piani temporali e spaziali diversi: uno in un villaggio francese occupato dai tedeschi durante la prima Guerra Mondiale e l’altro nella Londra dei giorni nostri. Le due storie si intrecciano intorno ad un quadro appartenuto alla protagonista francese ed ora nelle mani della ragazza inglese.
Ho adorato la parte ‘francese’ del libro così come l’intreccio tra le due storie presente nell’ultimo terzo del libro. La parte relativa solo al presente – e quindi la parte centrale del libro – mi ha lasciata in un certo senso delusa.
Provo a spiegarmi meglio evitando gli spoiler. Tutta la prima parte è ambientata in questo villaggio francese, ci vengono descritti gli abitanti, le relazioni tra loro e i sentimenti: mi sono immedesimata nella storia e nella protagonista senza riuscire a staccare il naso dalle pagine. Poi di botto ci si ritrova nella Londra del 2010 dove la storia gira intorno ad un unica persona, Liv, una giovane vedova sopraffatta dalla solitudine e dai problemi e convinta che l’unico modo per continuare a vivere giorno dopo giorno sia rinchiudersi nel proprio dolore ignorando tutto ciò che c’è fuori. Ripensandoci razionalmente il cambio nel modo di raccontare la storia rende molto la solitudine che prova Liv confrontata con il carattere di Sophie che, nonostante la guerra, è sempre piena di voglia di vivere e cerca sempre di aiutare tutti.
Resta comunque che non ho apprezzato questa parte, l’ho trovata sottotono e non troppo approfondita.

Per il resto niente da dire. Come accennavo all’inizio la lettura è molto piacevole. L’autrice riesce a non far staccare il naso dalle pagine, intrecciando storie – d’amore e non – e cambiando il corso delle cose quando meno ce lo si aspetta.
Mi è piaciuto molto anche il modo in cui si è approcciata al tema della guerra vedendola da punti di vista non comuni e in situazioni non comuni, ovvero la vicinanza forzata tra gli occupatori – tedeschi – di un paesino francese occupato e i suoi abitanti che si rifiutano di sottomettersi. Lo fanno nei piccoli gesti, rifiutandosi di chiamare le vie con i nuovi nomi tedeschi che vengono dati dagli occupatori, e in quelli più grandi, come organizzarsi per distribuire le informazioni che vengono dal fronte e nascondendo un maiale in un vecchio forno del pane per poterlo crescere di nascosto e mangiarlo – sempre di nascosto – a Natale.

Mi rendo conto che è proprio una baby-recensione ma, nonostante la parte ‘negativa’, consiglio il libro senza riserve. E se qualcuno ne vuole parlare, io sono qui.

rating 3.5
kia firma

Teaser Tuesday #25

Buongiorno a tutti. Teaser Tuesday di oggi tratto da un libriccino veloce, di quelli che sarebbero da leggere in un pomeriggio, ovvero ‘Finchè amore non ci separi’ di Anna Premoli. Niente di nuovo, l’impronta è sempre la sua, ma trovo che i libri di questa scrittrice siano sempre piacevoli da leggere. Voi avete letto qualcosa di suo?

teaser tuesday

Kayla lanciò l’ennesima occhiata preoccupata ad Amalia. La sua amica emanava un tale nervosismo che tutta l’aula era a disagio.
«A saperlo non mi sarei data tanto da fare per organizzare il vostro incontro sabato sera. Mi sarei aspettata che gli orgasmi multipli ti rendessero un tantino più rilassata. Invece scopro, mio malgrado, che nemmeno quelli bastano a scioglierti», la provocò.
Amalia le lanciò uno sguardo assassino alzandosi in punta di piedi, come suggerito dall’istruttrice.
«Voglio dire, se nemmeno il sesso ti rilassa, cara mia, temo che tu sia un caso disperato», insistette Kayla, desiderosa di una qualche reazione.
«Sappi che il sesso mi rilassa eccome. È stato il dopo a rendermi così», la informò seccata.
«E non potevate evitare il post? Voglio dire, potevate fermarvi al solo sesso “puro e semplice” e fare a meno delle discussioni sterili che nascono sempre dopo».
«Detto da te la cosa fa davvero ridere», si lamentò Amalia.
Kayla non si mostrò affatto colpita dall’accusa. «E perché mai? Io sto solo cercando di aiutarti…».
«E come, incastrandomi con Ryan un’altra volta?»
«Io vi ho lasciati seduti al tavolo di un pub. Il resto lo avete fatto da soli, bellezza. La colpa è solo tua, quindi vedi di non scaricarmi addosso tutta la tua rabbia».
«Non sono affatto arrabbiata», precisò Amalia.
«Ma certo che no, non so davvero come sia arrivata a pensarlo…»

Capitolo 16 – FINCHÉ AMORE NON CI SEPARI di Anna Premoli

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finché amore non ci separi

Amalia è un giovane avvocato newyorkese, nota nel foro come “la regina di ghiaccio”. È ebrea, benestante e ha dei genitori che da sempre le riservano poche attenzioni. Ryan, di origini irlandesi, è il maggiore di quattro figli maschi e la sua caotica famiglia gestisce un tipico pub nel cuore della Grande Mela. I due si sono conosciuti alla scuola di legge di Yale, dove hanno ferocemente lottato per il posto di direttore del giornale. Amalia è rimasta a New York, Ryan ha invece fatto carriera a Chicago, finché l’offerta per il posto da vice procuratore non lo riporta a New York. Il primo caso che si trova ad affrontare sembra davvero banale: arresto per guida in stato di ebbrezza di una giovane rampolla. E se quel che appare semplice si complicasse inaspettatamente? Se l’avvocato difensore della ragazza fosse proprio quella Amalia che Ryan non vede da dieci anni? Lo scontro in aula degenera a tal punto che il giudice li condanna a una serie di ore di lavori socialmente utili, da svolgere insieme. E cosa potrà accadere se i due giovani, che si detestano amabilmente, sono costretti dalla legge a collaborare?

kia firma

Recensione: L’amuleto d’ambra di Diana Gabaldon

Rieccomi. Quest’estate è stato un delirio e, una volta ritrovato il tempo per leggere, è stato parecchio difficile ricominciare a scrivere. La prima ‘vittima’ di questo – ormai – autunno di recensioni è ‘L’amuleto d’ambra’ di Diana Gabaldon. Tralasciando il fatto che ero convinta che la serie TV sarebbe tornata a settembre e invece prima del 2016 non se ne parla *disperazione*, l’idea è quella di leggere prima i libri e poi vedere la trasposizione. Quindi, meglio tirarsi avanti.

l'amuleto d'ambra
Titolo: L’amuleto d’ambra (Outlander #2)
Titolo originale: Dragonfly in Amber
Autore: Diana Gabaldon
Editore: TEA
Disponibile in italiano:
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Scozia, 1945. Claire Randall, infermiera militare, attraversa un magico cerchio druidico e, misteriosamente, si trova catapultata nelle Highlands del 1743, straniera in una terra dilaniata dalla guerra e dalle faide dei clan rivali. È il 1968 e dopo vent’anni di silenzio durante i quali Claire non ha svelato a nessuno il suo segreto, torna con la figlia Brianna, una splendida ragazza dai capelli color del rame, alla Collina delle Fate, il luogo incantato dove è cominciata la sua avventura. Qui cerca il coraggio di raccontarle il suo viaggio nel tempo e il suo amore per un guerriero scozzese che in un’altra vita e in un’altra epoca l’aveva conquistata. E sarà nel tentativo di ritrovare il suo amato che Claire si ritufferà nelle vertigini di un passato che dalle terre desolate e solitarie della Scozia l’aveva portata sino alla sfarzosa corte di Versailles. Ma il cammino che dovrà percorrere sarà lungo e non privo di ostacoli e di sorprese…

La smetto di blaterare e provo a dirvi qualcosa sul libro. Premetto che ero partita un po’ smontata perché la Mon non mi aveva dato un parere troppo positivo di questo libro e perché nella prima parte non c’è Jamie. Eh già, la prima parte di questo secondo libro della serie Outlander è ambientata nuovamente nel presente – o futuro a seconda dei punti di vista – e dalle prime pagine troviamo Claire che, per una serie di coincidenze, si trova costretta a raccontare a Brianna, sua figlia, chi sia il suo vero padre. Per fortuna, per il racconto, l’autrice ha fatto la scelta di tornare direttamente nel passato e raccontare la storia senza saltare da un periodo storico all’altro. Dopo i primi capitoli ritroviamo infatti Jamie e Claire a Parigi, ovvero poco dopo il momento in cui eravamo rimasti alla fine del primo libro. Dal piccolo stralcio di presente otteniamo delle informazioni sulla ‘fine della storia’ che però non fanno altro che lasciarci con ancora più domande lungo il corso del libro.
Comunque, nonostante la titubanza iniziale, questo libro mi è piaciuto quanto il primo, forse quasi di più. Il rapporto tra Jamie e Claire è fantastico e reale in ogni momento. I personaggi stessi sono molto reali, si fanno voler bene e ci permettono di immergerci nelle loro vite nonostante la distanza dovuta al periodo in cui è ambientato il libro. Mi piace molto come Claire riesce ad adattarsi al diciottesimo secolo.

“Distesa a terra, con i pannelli di legno scolpito del soffitto tremolanti nella penombra sopra di me, mi ritrovai a pensare che, pur essendo sempre stata convinta che la tendenza a svenire delle donne del diciottesimo secolo fosse causata da corsetti troppo stretti, c’era invece la possibilità che fosse dovuta all’idiozia degli uomini del diciottesimo secolo.”

Essendo la storia raccontata in prima persona da lei, riusciamo a conoscere i suoi sentimenti e le sue impressioni e, nonostante non si lamenti quasi mai direttamente delle carenze e delle usanze di quel periodo in relazione alla sua epoca, possiamo vedere che spesso la ‘civilizzazione’ più avanzata del suo tempo le manca.
Più che nella quotidianità, questa nostalgia la notiamo nel modo in cui deve rapportarsi coi rappresentanti dell’alta società francese.

Non che sia una novità, ma anche con questo libro mi sono ritrovata coi lacrimoni, per la disperazione prima e per la gioia e l’emozione poi. Ma io sono un caso disperato, si sa.

L’amuleto d’ambra non finisce con un cliffhanger come il primo libro della serie e spero proprio di non ritornare un’altra volta nel presente con l’inizio del terzo. Nell’attesa di leggere il terzo (devo intervallare i volumi delle serie altrimenti rischio di stufarmi) vi consiglio la lettura di questa serie, così come la visione della serie tv.

rating 4
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